La dura lezione  di Valencia

La dura lezione di Valencia

L’alluvione che ha sconvolto la terza città della Spagna ha aperto gli occhi a milioni di persone. Una tragedia figlia del cambiamento climatico in corso ma anche del cinismo e del “climascetticismo” di una certa classe politica di un Paese che, per populismo e disinformazione, assomiglia tristemente al nostro. È ormai giunto il tempo di riflettere sugli errori commessi e sulle contromisure da intraprendere. Perché siamo tutti a “rischio Valencia”

«Secondo le previsioni il temporale si sta spostando, cosa che fa sperare che intorno alle ore 18 diminuirà la sua intensità in tutto il territorio della comunità. Considerato quello che sta succedendo, le cose stanno andando avanti fortunatamente senza danni materiali e senza allerta idrologica». Con queste parole, alle ore 13 di martedì 29 ottobre, il presidente della Generalitat Valenciana, Carlos Mazòn, tranquillizzava la popolazione di Valencia. Ora sappiamo tutti come è andata. Sappiamo che le istituzioni locali e centrali erano state avvertite per tempo, addirittura da giorni, e che nella mattinata del 29 l’allerta lanciata dall’agenzia spagnola per gli eventi atmosferici (AEMET) era passata da arancione a rossa. Ma negli uffici della Generalitat quell’allarme è stato ignorato o, almeno, sottovalutato, e nel pomeriggio molti lavoratori si sono recati o sono comunque rimasti sul luogo di lavoro. Poco dopo il “rassicurante” proclama del Governatore, su Valencia e le zone limitrofe si è scatenato l’inferno della Dana. Un bilancio pesantissimo, oltre 330 morti e danni inestimabili. Carlos Mazòn, cresciuto tra le fila del Partito Popolare, tradizionale partito di centro destra, in Spagna è diventato dunque il simbolo politico del negazionismo climatico. Ovviamente non è il solo e l’atteggiamento di tutto il suo partito, così come dell’alleata estrema destra di Vox, non è mutato neanche dopo la tragedia del 29 ottobre. Di tutta risposta, un mese dopo, lo scorso 30 novembre, 100mila persone hanno marciato per le strade della città chiedendo le dimissioni dello stesso Mazòn che, nell’ormai consolidata tradizione condivisa anche dal nostro “universo” politico di destra, sembra poco intenzionato a mollare la poltrona. Una “nuova normalità climatica” Si parlava di dura lezione ma le lezioni di Valencia sono tante. Il fenomeno meteorologico della DANA era arcinoto agli esperti e meno esperti. Come spiega Luca Lombroso sul portale web Valori: «La DANA, o “goccia fredda”, è una depressione isolata ad alta quota che si stacca dalla corrente a getto e che vede al suo interno aria fredda e instabile. Prende energia dal contrasto termico e i fenomeni sono poi accentuati dall’orografia. Non è un fenomeno nuovo ma, con i cambiamenti climatici, diventa più intenso per via del calore accumulato nel Mediterraneo». Già qui otteniamo una prima risposta, ossia in quella che il già citato Lombroso definisce “nuova normalità climatica”: «I cambiamenti climatici fanno sì che, di fronte a questi episodi, non possiamo più parlare di “evento eccezionale”, ma di “nuova normalità” con cui fare i conti. Fino a pochi anni fa, i climatologi allargavano le braccia (…) Ora, con modelli e tecniche di nuova generazione, non è più così». È vero, di modelli e tecniche ora ne abbiamo in abbondanza (poche, d’altro canto, le orecchie ad ascoltarle) ma come spiega Umberto Mazzantini su Greenreport, lo studio di questa “nuova normalità” è piuttosto recente e risale alla prima anomala e caldissima estate del 2003: «la prima prova innegabile che il cambiamento climatico non era una minaccia astratta e lontana del futuro». L’evidente impatto del cambiamento climatico è dunque storia del nuovo millennio. La comunità scientifica si è attivata soprattutto in seguito a eventi di portata estremamente drammatica, come nel 2008, quando il ciclone tropicale Nargis, in Myanmar, causò circa 138mila morti. Riprendendo Mazzantini: «nuovi studi hanno scoperto che il riscaldamento globale ha……

di Matteo Picconi

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