Dove si forma(vano) gli uomini

Società

Il valore sociale della naja

Sono ormai venti anni circa che la leva militare è finita. Il servizio militare ha lasciato posto ai professionisti nelle forze armate. E’ venuto meno quindi per chi osserva questo fenomeno, quel rito di passaggio che caratterizzava la “fine della scapigliatura” – ovvero quel momento dalla vita del ragazzo alla vita dell’adulto. Con la fine del servizio militare si iniziava a fare sul serio, si metteva su famiglia, si facevano sacrifici per acquistare casa, o ci si preparava a diventare professionisti.
Gli unici riti di passaggi attualmente sono determinati dal frequentare l’università fuori sede o le occasioni date dal progetto Erasmus, ma un momento di passaggio così simbolico ed intenso nella sua durata, non esiste più.

La caserma

Il “C.A.R.”, primo mese di addestramento reclute che avveniva nella caserme delle forze armate italiane, per poi andare a destinazione per il restante periodo della leva, è stato il soggetto del reality televisivo “La caserma”, che ha simulato la vita della caserma per un gruppo di ragazzi per un mese. Una sorta di replica di quel primo mese di addestramento reclute, come vissuto da quasi tutti gli oramai cinquantenni e oltre, di cui sicuramente non si dimenticano.
Siamo abituati e distratti dai tanti reality e talent che vediamo, dove la costante è che: ne resta solamente uno: quello che vince – con la votazione del popolo “sovrano” o altre forme di giudizio, caratterizzate da eliminazioni fino alla finale. Tutti riconoscono le dinamiche che si innescano in questi reality ove si evidenziano tutte le ipocrisie, false amicizie, finti amori, sotterfugi e strategie per favorire questo o quel concorrente o eliminarne uno potenzialmente pericoloso per la classifica, per il proseguo del gioco e per aumentare il gradimento del programma tra bisticci urla e pianti.
La caserma è l’unico reality che non ha eliminato nessuno (tranne un abbandono volontario, osteggiato dagli altri ragazzi). Abbiamo assistito quindi al contrario, cioè come avveniva nel mese dei CRA o RAV (vari acronimi usati per questi centri di addestramento) i ragazzi hanno solidarizzato, fraternizzato tra loro, per portare a conclusione – tutti assieme – l’esperienza.
Sono entrati come individui, alcuni dotati anche di forte senso di individualismo, come si conviene alla gioventù social, fortificati da “like” e visualizzazioni, ne sono usciti, dopo un mese di disconnessione forzata (prima sofferta e poi quasi gradita), come appartenenti ad un gruppo, cresciuti a livello di solidarietà, spirito di gruppo ed amicizia.

La vera esperienza

Questi ragazzi sono stati formati da un gruppo di istruttori, guidati da Renato Daretti (l’istruttore capo del programma) incursore vero, come i suoi colleghi sulla cui professionalità non ammettiamo dubbi. Questa citata professionalità, che avrebbe potuto mettere in evidenza una sorta di lato più operativo e derivare nell’autoreferenziale, ha invece, condotto i ragazzi a costruire un’autentica e forte relazione di gruppo. Tra esercitazioni a volte anche dure, in cui si è innescata solidarietà, spirito di sacrificio e lavoro di gruppo, per aiutare chi rimaneva indietro, ha evidenziato le persone con migliori caratteristiche, accettate dagli altri, che si sono adeguati con spirito gregario al bene e l’interesse delle due squadre coinvolte nelle attività. Alla fine – però – ha visto tutti vincitori, in quanto, assieme hanno superato le prove, le difficoltà, la lontananza dalle famiglie che per alcuni si è fatta sentire e hanno capito il valore del gruppo.
Tutti assieme nel rispetto delle differenze e delle specificità che ogni ragazzo ha portato come contributo al gruppo, tutti assieme si vince e si arriva alla fine o tutti assieme si perde. I migliori fanno da stimolo a chi è più indietro, per migliorarsi e innalzare il livello qualitativo del gruppo. Finalmente un reality specchio di come dovrebbe essere il mondo della scuola o del lavoro, dove si vince tutti assieme se tutti crescono.
Renato Daretti e il suo team che coerenti a loro stessi e ai loro valori, hanno saputo prendersi “cura” di questi  “nostri” ragazzi, accompagnandoli – tra prove sempre più difficili, punizioni e ricompense – nel loro percorso di crescita.
La Caserma, nella sua semplicità sia di realizzazione sia di scrittura, ci ha fatto assistere ad un esempio positivo e ad una bellissima immagine della nostra gioventù dei loro sogni, della loro autenticità, delle loro vite e delle loro storie.
Un auspicio che, in questo momento di difficoltà del paese, si possa ripartire proprio dalla autenticità e dare spazio ai sogni di questi ragazzi, aiutando le loro energie ad esprimersi al meglio, per ricostruire un futuro migliore per loro e per l’Italia.

di Marco Ricciotti

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