Aborto: diritto o privilegio?
L’interruzione volontaria di gravidanza rischia di diventare, di fatto, un diritto negato. Continui ostacoli vengono imposti alle donne che decidono di ricorrervi, dai complessi iter burocratici all’ostruzionismo dei medici obiettori di coscienza, e nonostante il governo sostenga che “è più facile abortire che nascere” la realtà mostra tutto un altro scenario
Quest’anno la Francia ha segnato una svolta storica diventando la prima nazione al mondo a inserire il diritto all’aborto nella propria Costituzione. Un riconoscimento che sottolinea l’urgenza di proteggere un diritto sempre più sotto attacco in varie parti del mondo. Nel nostro Paese, la questione ha guadagnato nuova attenzione dopo la decisione del governo di inserire un emendamento nel decreto di attuazione del Piano di Ripresa e Resilienza Nazionale (PNRR) che legittima l’ingresso delle associazioni antiabortiste nei consultori e negli ospedali, scelta che ha sollevato interrogativi anche da parte dell’Unione europea riguardo alla coerenza e alla destinazione dei fondi legati al PNRR. Se questo non è nei fatti una novità assoluta, è però indicazione della linea dell’esecutivo. Il diritto all’aborto in Italia resta formalmente garantito, ma la sua applicazione viene talmente osteggiata che, nei fatti, sembra più una concessione piuttosto che un diritto fondamentale, come riconosciuto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il governo ribatte alle accuse con le parole della Ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità, Eugenia Roccella, la quale con convinzione afferma che in Italia «è più facile abortire che nascere». Tuttavia, tale affermazione appare in contrasto con la realtà dei fatti: la mancanza di strutture adeguate, l’alto tasso di medici obiettori e iter burocratici complessi rendono l’accesso all’aborto una sfida per moltissime donne. Un percorso a ostacoli La legge 194/1978, garantisce il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni e disciplina l’aborto terapeutico oltre tale termine. In teoria, tutte le strutture ospedaliere con reparti di ostetricia e ginecologia dovrebbero offrire il servizio di interruzione volontaria di gravidanza. Nei fatti, solo il 59,6% delle strutture italiane lo garantisce, secondo i dati raccolti da LAIGA (Libera Associazione Italiana Ginecologi per l’Applicazione della 194). Sorprendentemente, non esiste una mappa ufficiale di queste strutture: è stata la LAIGA stessa a compilarla, evidenziando una mancanza di trasparenza istituzionale. Il percorso per accedere all’interruzione di gravidanza è tutt’altro che lineare. La donna deve ottenere un certificato medico che attesti la sua…
di Vanessa Fieschi
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