Con il suo accattivante titolo legato al "Passo della città" , il professore Rosario Pavia, ordinario di Urbanistica alla Facoltà di Architettura di Pescara e direttore della rivista «Piano Progetto Città», sottolinea che questo non è più il passo ormai tramontato dell’uomo di oggi, ma si domanda quanto sia possibile restituire un ruolo strutturante al nostro "passo" nelle città del futuro. E non ci si vuole qui riferire alle prodezze dell'informatica tipo quelle semplici ‘app’ dei telefonini che, all'istante, ci contano passi e distanze percorse a piedi dal punto di partenza all’arrivo nella metropoli o, ancora, quanto ci resta da camminare, "in passi" o in tempi medi, per farci sapere quanto siamo distanti dal programma che avevamo stabilito.
Nel libro (Donzelli Editore), il professor Pavia analizza due tipi di percorsi intesi come infrastrutture ambientali: quelli pedonali e quelli relativi alle filiere di gestione dei rifiuti. Un tema, quest’ultimo, su cui da anni sta lavorando. Ambedue sono intesi come reti essenziali e primordiali per l’equilibrio e la qualità dell’ambiente.
di Giulia Nemiz Gregory
L’arte del camminare (a partire dalle prime migrazioni cui seguono le appropriazioni dei territori attraverso sentieri, strade, nodi d’interscambio) è condizione essenziale dell’uomo che è innanzitutto un essere in movimento: il camminare racchiude in sé l’osservare, sostare, incontrare, pensare… E ciò significa instaurare un rapporto più misurato fra paesaggio e geografia, dove la visione del particolare non è sacrificata allo sguardo panoramico tipico della velocità che comprime ogni luogo nella percezione istantanea dello spazio. Riflettere sulla cosiddetta 'mobilità lenta' significa, perciò, riportare al centro della progettazione il corpo e la sua sensorialità, significa restituire alla città il senso delle sue strade. dei marciapiedi, gli spazi pubblici.
Le strade e i marciapiedi – spiega il professore citando il saggio sulle metropoli americane “Vita e morte delle grandi città” (1961) di Jane Jacobs - costituiscono i più importanti luoghi pubblici di una città e i suoi organi più vitali che da tempo hanno perso il loro ruolo di connettivo e di inclusione sociale. Ma non solo: in questa analisi sono anche compresi gli spazi verdi , quelli dorati, le ville urbane, i boschi.
Il reticolo dei percorsi pedonali non fa parte più dei piani urbanistici. L’espressione “una città a misura d’uomo” che aveva nel 'passo' la sua ragione originaria (non a caso il passus era l’unità di misura dei romani) non ha più alcun rapporto con la forma e la vita della città sempre più assimilabili a labirinti difficili da attraversare e decifrare.
Le reti pedonali, divenute “figlie di un dio minore”, con l’urbanistica funzionale si sono separate dal tessuto edilizio provocando una generale banalizzazione dello spazio pubblico esterno. “Non riattraversiamo qui le critiche, alla pianificazione funzionalista - ricordate dal libro - che hanno il pregio di riportare l’attenzione non solo sull’attrattività di strade famose, ma anche sul loro dimensionamento e misura, ma sottolineiamo come le strade (e in particolare le reti minori, intese come spazi pubblici indispensabili per la vita sociale, lo scambio interpersonale, il radicamento di una comunità di vicinato) siano tornate all’attenzione generale (urbanisti e architetti non solo) per legare di nuovo l’uomo - spiega Pavia - al suo abitare la Terra”.
“Riportare i percorsi pedonali al centro dell’organizzazione della città è un atto ordinario (perché costringe il progetto a misurarsi con un’attività quotidiana) – prosegue Pavia - e anche rivoluzionario insieme”; riconosce infatti ai percorsi pedonali il ruolo di corridoi ecologici per la specie umana e la biodiversità: espandendo lo spazio pubblico e le reti pedonali e ciclabili, non solo si riducono i gas serra e le polveri sottili, ma “avvolge la città con una maglia protettiva che preserva il suolo, ricuce le aree verdi, si sviluppa lungo i corsi d’acqua, intensifica le connessioni” attraverso reticoli transcalari che divengono vere e proprie infrastrutture ambientali integrate con le altre reti, a partire proprio da quelle naturali.
Pavia insiste sul concetto di rete a partire da una riappropriazione degli spazi (veicolari, di risulta…) attraverso pratiche oggi definite come tactical urbanism, applicato anche a città da sempre restie alla pedonalizzazione (come New York, di cui il nuovo assetto di Times Square è l’esempio più riuscito). Una tattica, questa, che coinvolge attivamente gli abitanti e si produce con approcci “lighter, faster, cheaper”, attraverso la creazione di isole pedonali (come nella nostra Via del Pigneto, a Roma), il depaving per recuperare alla città nuovi spazi verdi, l’individuazione di attraversamenti che percorrano parti di città, connettendosi a parchi, giardini, ville, aree agricole… Il tutto per rendere la città accessibile, sicura, riconoscibile nelle sue parti, dunque 'smart', ecologica, resiliente.
Qui diventa, però, fondamentale sottolineare il cambio di paradigma determinato dalle reti di comunicazione digitale e dalla mobilità delle informazioni: nella società contemporanea al concetto di prossimità è subentrato quello di connessione e tuttavia, come scrive Adriano Labucci nel suo "Camminare, una rivoluzione" (edito sempre da Donzelli, 2011) che sottolinea come l’isolamento dia la sedentarietà non con il movimento (che è sempre un esporsi all’altro), ma all’alterità.
La rivoluzione digitale e il web hanno riconfigurato le categorie spazio-temporali. Oggi attraverso l’utilizzo di dispositivi tecnologici si può essere sempre connessi (social networks, programmi di comunicazione istantanea, app,..) che permettono di muoversi nel territorio con maggiore agilità e consapevolezza. La rete digitale offre all’individuo il software di cui i mezzi di trasporto e le infrastrutture costituiscono l’hardware. Ciò fa si che la mobilità diventi smart, affiancando al sistema di trasporto regolare un sistema personalizzato, on demand (car-sharing, bike-sharing, bus on demand..) che porta l’individuo da un modello di possesso a un modello d’uso dei mezzi di trasporto (una condivisione) con una maggiore responsabilizzazione. Questo porta – secondo Ascher, "L’age de Métapoles, (2009) – a una riscoperta del corpo come mezzo principale, al quale si possono affiancare altri sistemi di trasporto, aumentando la walkability e la transmodalità
Le reti di interconnessione nelle città, sia fisiche che informatiche
Quando pensiamo alle reti dobbiamo pensare insieme a quelle fisiche e a quelle immateriali, e alla loro interferenza. Non si tratta, perciò, solo di pensare la città attraverso le sue reti (da quelle della mobilità a quelle telematiche, dalle reti materiali a quelli sociali) ma proprio di interconnettere le reti fra loro. Senza considerarle solo in termini rigidamente settoriali ed efficientisti, ma integrandole in una prospettiva sostenibile ampia, capace di attribuire a ciascuna di esse una pluralità di funzioni, di “far dialogare la tecnologia con la natura, la rete infrastrutturale con quella insediativa e ambientale, l’opera di ingegneria con quella di architettura”.
La strategia, tuttavia, non può essere quella della geo-ingegneria alla ricerca di soluzioni estremamente avanzate sul piano tecnologico: piuttosto si tratta di gestire una transizione verso modelli urbani più sostenibili, ripensando il ruolo delle reti infrastrutturali e naturali che devono divenire “Infrastrutture ambientali” il cui compito – accanto al servizio di sostegno per la qualità dell’ambiente – è anche quello di operare quale sistema di ricucitura e organizzazione del territorio urbano.
In questo senso tutta la seconda parte del libro di Pavia è dedicato alle eco-logiche e alla questione di riciclo dei rifiuti, anch’essa da riferire all’idea di infrastruttura ambientale. “Da un lato infatti le reti naturali (fiumi, laghi, foreste, parchi, paludi, terreni agricoli) devono potenziare attraverso la tecnologia la loro capacità di riproduzione; dall’altro le reti tecnologiche (della mobilità, dell’industria, del territorio, della città) devono incorporare più natura al loro interno, svolgendo un ruolo attivo nel risparmio energetico, nella produzione di energia rinnovabile, nella cattura del carbonio, nel contenimento di consumo del suolo, nella bonifica dei siti inquinati, nella filiera di gestione dei rifiuti”. La gestione stessa dei rifiuti non può essere separata dai piani urbanistici territoriali, dalla scala regionale a quella locale: “dalla raccolta differenziata alla realizzazione di isole ecologiche di prossimità (magari a scomparsa), dalle stazioni ecologiche (i depositi di maggiore ampiezza in cui convergono i rifiuti urbani e assimilabili) – che dovrebbero divenire un luogo d’incontro, accogliendo mercati dell’usato – ai centri di compostaggio dei rifiuti organici e degli scarti vegetali, sino ai grandi impianti di trattamento dei rifiuti indifferenziati (e in misura che dovrebbe essere sempre minore alle discariche), la “via del riciclo” potrebbe trovare proprio nei nodi terminali uno spazio di transizione fra la città dei consumi e dei rifiuti e il territorio produttivo del riciclo”.
“Si tratta anche di recuperare un dialogo - prosegue l’autore - fra il ventre oscuro della città moderna (a partire dalle reti fognarie, dalle gallerie delle prime metropolitane) e il paesaggio di superficie; fra i gasdotti, oleodotti, reti ferroviarie, acquedotti, ma anche discariche sepolte o depositi sotterranei di stoccaggio del gas, e struttura superficiale del territorio, ristabilendo fra questi due labirinti oggi sovrapposti un possibile legame. La metafora del labirinto – intrinseca nello stesso concetto di rete – trasfigurazione fisica della danza dei riti arcaici – movimento che si avvolge e si dispiega – ma anche traccia a terra del crollo della torre di Babele (riprendendo il geografo Farinelli), luogo del misterium magnum per eccellenza che esprime la circolarità della vita e della morte - torna nella conclusione del libro - indicando nel sottile filo di Arianna l’unica possibilità – nella città contemporanea - del suo attraversamento e della (forse) salvifica via d’uscita.”
Un attraversamento che dovrà ritrovare (anche) il passo leggero e profondo della danza, esponendoci alla possibilità di una ritrovata dimensione naturalistica
|