L’acronimo NEET è un mantra che si abbatte sui giovani del terzo millennio e in un ipotetico premio per il neologismo più rappresentativo dei nostri tempi sarebbe lì, tra i primi. Il suo signficato è: “Not in Education, Employment or Training”.
Questo inusuale acronimo è il classico caso di una parola che nello stesso momento in cui descrive un fenomeno contribuisce ad alimentarlo. Da quando è diventata anche una chiave per accedere a fondi pubblici o privati il gioco a chi scova più giovani NEET si è fatto anche piuttosto stucchevole. Tuttavia il fenomeno esiste, ed è anche misurabile in modo abbastanza soddisfacente: 2.214.000 sono i giovani NEET in Italia secondo Istat. Ma cosa significa essere NEET ?
Abbiamo in Italia questo consistente numero di giovani che sembrano essere contrari a qualsiasi forma di educazione, di inserimento sociale e di lavoro.
Secondo i dati di un sondaggio ad hoc dell'Università Cattolica svolto nel 2017, in Italia fra gli oltre due milioni cnsiti, nella regione Lombardia al primo posto ve ne sarebbero oltre il 16 per cento di giovani che non partecipano a percorsi di istruzione o formazione e nemmeno stanno svolgendo un'attività lavorativa.
Un fenomeno purtroppo in crescita rispetto al 2016, “quando il dato era già lievitato di oltre una decina di punti rispetto al 2008, l'anno della grande crisi internazionale”, stando a quanto hanno denunciano studiosi, educatori e sondaggisti al convegno internazionale "Neeting2" promosso a Milano da Fondazione Cariplo, dall'Istituto Toniolo e dall'Università Cattolica del Sacro Cuore.
Chi sono i “Neet”
Stando ai dati presentati in Italia la fascia d'età dei Neet va dai 15 ai 29 anni per ragioni legate alla situazione di maggior difficoltà in cui versano qui i giovani rispetto agli europei. Questo universo è composto a livello nazionale da oltre 2,2 milioni di giovani di cui 239.000 residenti in Lombardia (dato del 2016 secondo fonte Istat ed Eurostat), pari al 16,9% della popolazione della stessa fascia d'età.
Nel 2007 il tasso Ue era pari al 13,2%, è lievitato di 2,7 punti percentuali durante la crisi del 2008 per poi scendere a 14,2% nel 2016 (solo +1 superiore al 2007). Il dato italiano era nel 2007 pari a 18,8%, è cresciuto di 7,4 durante la crisi, per poi scendere nel 2016 a 24,3% (ancora +5,5 rispetto al 2007). Il dato lombardo era pari a 10,9% nel 2007, durante la crisi è salito ben oltre la media europea (picco pari a 18,6), per poi scendere a 16,9% nel 2016 (ancora +6,1% rispetto al 2007).
La composizione dei Neet è molto eterogenea: va dal neolaureato con alta motivazione e alte potenzialità che sta attivamente cercando un lavoro in linea con le proprie aspettative (prima eventualmente di riallinearsi al ribasso con ciò che il mercato offre), fino al giovane uscito precocemente dagli studi, scivolato in una spirale di marginalità e demotivazione. Ma rientrano anche le persone che non hanno un impiego per scelta, perché vogliono prendersi tempo per esperienze di diverso tipo o per dedicarsi alla famiglia. “Il quadro che emerge – ha sottolineato uno dei relatori, il professor Alessandro Rosina, coordinatore dell'indagine Rapporto Giovani dell'Istituto Toniolo - è quello di una generazione non aiutata con adeguata formazione e strumenti di politiche attive efficienti a trovare il proprio posto nei processi di sviluppo solido e competitivo del Paese. Ne consegue un elevato rischio sia di lasciare ai margini i più vulnerabili, sia un alto grado di sottoutilizzo del capitale umano dei giovani ad alto potenziale".
Perché sono così tanti
"L'elevato numero di Neet deriva in larga parte dalle inefficienze nella transizione scuola-lavoro" – conclude Rosina – "In particolare, in Italia molti giovani all'uscita dal sistema formativo si trovano carenti di adeguate competenze e sprovvisti di esperienze richieste dalle aziende. Secondo i dati del Rapporto giovani, meno del 40% degli intervistati (in età 20-35 anni) considera la scuola utile per trovare più facilmente un'occupazione e meno del 33% ha trovato nella scuola conoscenze e informazioni utili per capire come funziona il mondo del lavoro. Meno del 10% degli intervistati, inoltre, dichiara di aver trovato lavoro attraverso i servizi per l'impiego. Pesano anche le scarse opportunità nel sistema produttivo. Molti giovani, infatti, con elevata formazione non trovano posizioni all'altezza delle loro capacità e aspettative: il 44% di chi è occupato si adatta a svolgere un'attività poco o per nulla coerente con la propria formazione...”.
Questi dati non possono non creare “allarme e preoccupazione” secondo quanto hanno confessato - oltre al professor Rosina - Paola Bignardi, membro CdA Fondazione Cariplo e membro CdA Istituto Toniolo, Elena Marta, professore di Psicologia sociale Università Cattolica del Sacro Cuore - Osservatorio Giovani Istituto Toniolo, Francesco Pastore, docente di Economia Università della Campania Vanvitelli, Francisco Simões, ricercatore del Center for social research and intervention – University Institute of Lisbon e Kyriaki Kalimeri ricercatrice di ISI Foundation. Nella Tavola Rotonda "Connettersi con i giovani" sono intervenuti Daniela Battisti, team per la Trasformazione Digitale Governo Italiano, Nico Colonna, direttore di Smemoranda, Claudio Gubitosi, fondatore e direttore artistico del Giffoni Film Festival. Tra l'altro, è stata illustrata l'esperienza di “intercettazione dei giovani” messa in campo da Fondazione Cariplo con il Progetto NEETwork.
Giovani NEET: per quale motivo non studiano
I NEET sono i giovani che non studiano, non hanno un lavoro e non sono impegnati in percorsi formativi. Il famigerato acronimo compare per la prima volta in un articolo dal titolo Social exclusion and the transition from school to work: the case of young people Not in Education, Employment, or Training (NEET), apparso su una rivista specialistica, e lo dobbiamo ai due autori John Bynner e Samantha Parsons. Era il 2002, e prima di allora milioni di giovani vivevano spensierati la loro transizione all’età adulta senza sapere che quelle quattro lettere li avrebbero presto marchiati come problema sociale.
Transizione all’età adulta? Già, quella di NEET è una condizione strettamente associata a questa fase della vita, in cui si passa da giovane ad adulto. Quei barbosi dei sociologi ci spiegano che la transizione nel modello di società occidentale è segnata da cinque tappe: l’uscita dalla casa dei genitori, il completamento del percorso educativo, l’ingresso nel mercato del lavoro, la formazione di una famiglia, l’assunzione di responsabilità verso i figli.
Se è questo che vi state chiedendo sì, si diventa adulti anche non completando tutte le tappe, è ovvio che qui stiamo parlando dal punto di vista della società e non della persona. Quello che ci interessa è che a partire dagli anni settanta/ottanta questa fase ha cominciato a diventare sempre più lunga. Se prima il modello era “scuola-lavoro-famiglia” più o meno alla stessa età per tutti, oggi il percorso è molto più accidentato, personalizzato e imprevedibile.
Se una ragione indubbia di questa evoluzione è l’estrema difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro, è vero anche che rispetto a prima si studia di più, si viaggia di più, ci si diverte di più. Insomma, si diventa grandi più tardi per necessità ma anche per piacere.
I giovani NEET sono figli di questi mutamenti sociali, economici e culturali. Prima di vedere quanti sono è bene tenere presente che stiamo parlando di un dato importante ma che tiene dentro, per dire, anche il neolaureato che si prende un anno per girare il mondo.
Quanti sono in Italia
e in Europa
Ma quanti sono questi giovani NEET? Addentriamoci nelle informazioni che abbiamo sul fenomeno con due operazioni che a noi di Le Nius piace fare: confrontarci con il resto d’Europa e vedere come è cambiata la situazione nel tempo.
Intanto, una precisazione. Cosa intendiamo per giovani? Eurostat, la nostra principale fonti di dati, ci consente di scegliere tra diverse fasce di età. Scegliamo quella dai 15 ai 29 anni. Ci sembra la più adeguata per leggere il fenomeno, comprendendo sia i giovani in fascia scolare che quelli potenzialmente già in fascia lavorativa.
Come siamo messi quindi rispetto al resto d’Europa? Così, secondo i dati Eurostat relativi al 2016.
Già, siamo il paese europeo con la più alta percentuale di giovani NEET. Un italiano su quattro tra i 15 e i 29 anni non lavora, né studia, né si sta formando. La media europea è del 14,2%. Questo potrebbe anche significare che un sacco di giovani italiani sono in giro per il mondo a godersi la vita. Oppure che sono depressi e chiusi in casa senza neanche più la spinta a studiare o cercare lavoro. O ancora che stanno lottando per trovare una via d’uscita dall’universo NEET senza trovarla. È il limite dei numeri, quello di non raccontarci le storie.
Come è evoluto invece il fenomeno nel tempo? I dati Eurostat sono disponibili dal 2004 e da quell’anno, in cui eravamo al 19,6%, il dato è sceso fino al 18,8% del 2007 ed è poi salito vertiginosamente fino al 26,2% del 2014.
In fondo all’articolo trovate la tabellina relativa a tutti i paesi europei. Negli ultimi dieci anni il fenomeno è diventato più significativo in molti paesi europei, con l’eccezione, tra i paesi più grandi, di Germania, Ungheria, Slovacchia, Svezia, Regno Unito, Polonia, Austria e Repubblica Ceca. La crescita più importante della percentuale di giovani NEET negli ultimi dieci anni si è avuta in Grecia (+7 punti percentuali), Italia (+5,5), Romania (+5,4), Spagna (+5,3).
Se scomponiamo però l’analisi, notiamo che la crescita del fenomeno in molti paesi europei riguarda soprattutto gli anni della crisi con un apice tra il 2011 e il 2013. Da allora, la percentuale di NEET è in declino nella maggioranza dei paesi, ad eccezione di Finalndia (+0,8 tra il 2013 e il 2016), Francia e Romania (+0,6), Austria (+0,3).
Negli ultimi tre anni in Italia la percentuale di NEET è calata di 1,7 punti percentuali, di cui un calo molto significativo di 1,4 solo tra il 2015 e il 2016, anche se nonostante questo restiamo il paese con più giovani NEET in Europa. Anche nell’ultimo anno le percentuali sono in diminuzione quasi ovunque, con valori molto significativi, oltre che per l’Italia, anche per Grecia, Irlanda e Belgio.
Se diamo uno sguardo di insieme al fenomeno e alla sua evoluzione, possiamo certamente dire che esso è particolarmente rilevante nei paesi dell’Europa mediterranea, con l’eccezione del Portogallo, e nei paesi dell’est Europa, che stanno però migliorando quasi tutti le loro performance. La percentuale di giovani NEET è invece inferiore nei paesi del centro-nord Europa, con la parziale eccezione di Francia e Irlanda e una situazione in preoccupante peggioramento in Finlandia.
Se è vero quindi che c’è stato un periodo più o meno difficile per tutti (tra il 2007 e il 2012 indicativamente), è vero anche che non ci sono tendenze globali in atto ovunque, ma contesti più favorevoli e altri meno.
Perché? Alcuni fattori sono economici: sappiamo come la crisi di questi ultimi anni abbia colpito in maniera molto accentuata i paesi dell’Europa mediterranea che, crisi a parte, sono comunque strutturalmente più deboli dei paesi del centro-nord Europa. Altri riguardano il mercato del lavoro: questi paesi hanno generalmente un mercato del lavoro che tende a tutelare molto chi è dentro rendendo complicato l’ingresso a chi è fuori. Altri ancora chiamano in causa l’organizzazione del welfare state, molto sbilanciato sugli anziani nei paesi mediterranei. Infine ci sono elementi socio-culturali, come il ruolo della famiglia e la scarsa predisposizione alla mobilità, a cui però tendo a dare meno peso che agli altri.
In conclusione i giovani NEET sono un segmento di popolazione che nel nostro paese assume proporzioni molto rilevanti. Quando i numeri sono così grandi significa che le cause sono strutturali. Risiedono cioè nel modo in cui sono organizzate la società e l’economia. Più che pensare a politiche e interventi rivolti ai giovani NEET sarebbe quindi il caso di agire su queste ultime, creando un contesto dove i giovani abbiano la possibilità e il desiderio di studiare, lavorare e vivere appieno come cittadini.
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