Per capire se il materiale di protezione, fornito agli operatori per la sicurezza, sia più o meno idoneo, va innanzitutto commensurato alla tipologia di minaccia a cui ci si contrappone. I Dispositivi di Autotutela forniti a tutti coloro che si occupano di sicurezza urbana, dai militari di Strade Sicure, agli operatori delle varie forze di Polizia per finire con le Guardie Particolari Giurate, sembrano efficaci per difendersi dalle armi da fuoco (anche se non da tutti i calibri) e piuttosto insufficienti per evitare aggressioni, con oggetti da punta e da taglio, sia convenzionali (es. coltelli a scatto, butterfly etc.) sia improvvisati (punteruoli, bottiglie rotte etc.).
È opinione comune, quando si parla di armi, pensare alle armi da fuoco e che, queste, siano quelle maggiormente utilizzate nelle aggressioni. Non è così. L‘utilizzo di strumenti armi non da fuoco (o di “strumenti atti ad offendere” anche conosciuti come “armi improprie”) sta diventando sempre di più un problema reale. Queste armi sono davvero “egalitarie” sono usate da tutti senza distinzione di età, etnia, lingua, cultura o paese. I violenti, gli arrabbiati, gli estremisti, che siano dediti all’utilizzo di droghe, o vogliano emulare qualcuno visto sui social media, o ancora siano malati mentali, per agire i loro propositi distruttivi, utilizzano armi non da fuoco.
Il problema delle armi improprie, soprattutto quegli strumenti da punta e da taglio, che, pur potendo occasionalmente servire all’offesa, hanno una specifica e diversa destinazione, come, ad esempio, gli strumenti da lavoro, e quelli destinati ad uso domestico, agricolo, scientifico, sportivo, industriale e simili (punteruoli, cacciaviti, bisturi, taglierini, ecc.) sono comunemente acquistabili e disponibili. Non è pensabile impedire alle persone di utilizzare il cutter o entrare nel negozio di ferramenta ed afferrare un cacciavite: dall’utilizzo del cutter o dall’afferrare un cacciavite, lo sfregiare i colleghi o bucare passanti a caso, il passo è breve. Se uno ha la seria intenzione di arrecare danno, usando degli oggetti di utilizzo quotidiano, è scontato - se non certo - che chi è preposto alla sicurezza altrui farà sempre fatica a prevenire tale atrocità.
Quindi affrontare un aggressore armato di coltello o altra tipologia di oggetto affilato e/o appuntito è sicuramente una situazione in cui nessuno vorrebbe trovarsi e non esistono garanzie di sorta se si armati di pistola, figurarsi se si è disarmati (o non è legalmente possibile usare l’arma da fuoco) e senza adeguate protezioni.
Gli attacchi con armi non da fuoco possono essere perpetrati da individui altamente addestrati, i quali, tendono ad attingere intenzionalmente un’area vulnerabile per inabilitare la persona, o da persone “comuni” che invece tenderanno invece a tagliare compulsivamente gli arti in un attacco frenetico. In entrambi i casi i danni alle vittime sono rilevanti.
In commercio esistono indumenti di protezione ed autotutela resistenti al taglio e alla perforazione (più o meno costosi ed efficaci) la cui funzione chiave è quella di ridurre efficacemente il rischio di lacerazioni e proteggere le arterie principali, ci sono infatti delle aree del corpo che sono più vulnerabili di altre e che vengono ricercate ed attinte dagli aggressori. Un sondaggio effettuato dal Dipartimento di Ingegneria e Scienza Applicata della Cranfield University - Regno Unito, ha evidenziato che il 63% delle ferite attribuibili a armi da taglio sulla base dei dati dei ricoveri ospedalieri, sono dovute a lacerazione e non a penetrazione. Questo vuol dire che la vittima viene inabilitata o muore per dissanguamento in un tempo più o meno lungo, rimanendo alla mercé dell’aggressore.
In ambito safety (prevenzione degli incidenti), la tutela della salute dei lavoratori dal rischio si basa sull’attività di prevenzione e protezione. Questo concetto svela una scala di priorità, sottolineata anche dalla norma (D.Lgs. 81/2008): quando i rischi non possono essere evitati o sufficientemente ridotti da misure tecniche di prevenzione, da mezzi di protezione collettiva, da misure, metodi o procedimenti di organizzazione del lavoro, devono essere impiegati i Dispositivi di Protezione Individuale. I Dispositivi di Protezione Individuale sono “qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro, nonché ogni complemento o accessorio destinato a tale scopo“. L’efficacia protettiva dei D.P.I. deve essere certificata dalla ditta produttrice con l’apposizione della marcatura CE (obbligatoria dal 31/12/1994), secondo le modalità previste dal D.L. 475/92.
In ambito security (prevenzione degli atti illeciti intenzionali) sono disponibili i Dispositivi di Autoprotezione come i Giubbotti Anti-Proiettile e le protezioni per Ordine Pubblico e questi, ai sensi dell’art 74 comma 2 del D.Lgs 81/2008, non sono considerati Dispositivi di Protezione Individuali e di conseguenza, sono obbligatori solo se previsti da altre norme e non in un quadro generale di protezione del lavoratore.
Al fine di aumentare la protezione, in un quadro generale di minimizzazione dei ferimenti (e delle uccisioni) degli operatori di security pubblici e privati, sarebbe molto importante che il legislatore in primis e il datore di lavoro successivamente, si adoperassero a rendere obbligatorio l’uso degli strumenti di autotutela nelle funzioni preposte, considerandoli alla stregua di un D.P.I.: un passo molto importante verso una maggior tutela di chi si occupa di proteggere giornalmente la sicurezza altrui.
Sono disponibili sul mercato varie tipologie di protezioni che possono aiutare gli operatori per la sicurezza ad espletare il proprio lavoro e tutti quanti posso salvare delle vite. Tutto sta alla capacità del datore di lavoro e del singolo a comprenderne la necessità.
Ci sono uomini e donne là fuori che hanno fatto una scelta professionale nella loro vita: quella di proteggere altri esseri umani, strutture, luoghi, eventi e infrastrutture. Questi individui hanno il diritto morale e legale di essere adeguatamente equipaggiati con indumenti protettivi appropriati, anche quando la legge non lo prevede espressamente.
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