In molti hanno recentemente manifestato “stupore” relativamente all’invio di truppe, più o meno regolari o inquadrate, da parte della Turchia in territorio libico. Stupore a dire il vero storicamente ingiustificato ed ingiustificabile, atteso che il territorio cirenaico fu, dagli italiani, ottenuto a seguito della guerra italo-turca da cui conseguì lo sfaldamento dell’impero Ottomano.
Le mire espansionistiche turche non sono, in verità, mai state tanto sottaciute nemmeno dal novello Sultano Erdogan ed è attualità lo sconfinamento in territorio siriano con la scusa di “limitare” e “ridurre” la portata del secolare vicino scomodo, conosciuto da tutti come l’etereo Kurdistan.
Nonostante l’escalation di questi ultimi tempi, è sfuggita (più o meno opportunamente) una velina di qualche tempo fa, che ha addirittura fatto rizzare i capelli anche ai componenti il consiglio di sicurezza O.N.U. ed ai suoi ispettori: la notizia è riconducibile alla nave libica Al Entisar.
L’Al Entisar è immatricolata come unità da pesca professionale nel registro navale di Bengasi con codice IMO 8904044 (il “numero di telaio” delle navi n.d.r.) e nel mese di settembre 2012 viene inviata, carica di armi e munizioni dalla Libia alla Siria, passando prima dal porto turco di Iskenderun per poi rientrare a Bengasi il 3 settembre dello stesso anno. Gli ispettori ONU, contattate le autorità marittime turche, apprenderanno dalle stesse che la Al Entisar sarebbe stata in Turchia caricata di “aiuti umanitari” e scopriranno anche che nessuno di questi fantomatici aiuti è stato notato in banchina, per di più nessuna ispezione è stata dai turchi effettuata sugli stessi e sulla nave, durante le operazioni di carico. Gli ispettori dal “manifesto di carico” (ovvero dal documento internazionalmente richiesto per accompagnare i beni viaggianti per mare n.d.r.) annoteranno che la stessa avrebbe trasportato abiti, scarpe, indumenti vari, medicine, strumenti medici, etc.
Il trasporto era organizzato da I.H.H. Humanitarian Relief Foundation, una Organizzazione islamica con base in Turchia. Nell’occasione gli ispettori ONU hanno ricevuto perfino conferma dalla sede della IHH di Bengasi sulla consistenza del carico in viaggio e l’assicurazione circa l’impossibilità che armi di qualsiasi specie potessero essere trasportate sulla stessa.
Verrà successivamente scoperto che le centinaia di fucili d’assalto AK103 di fabbricazione sovietica, tutti rigorosamente senza matricola, come nella prassi delle più famose famiglie criminali, avevano viaggiato dalla Libia alla Siria, per poi finire nelle mani dei combattenti anti-Assad.
Dal 2018, dopo la sua uscita dalla Conferenza di Palermo, la Turchia pare preparasse qualcosa di molto grosso in Libia. È del 7 novembre 2019 la notizia con cui viene stigmatizzata, in 85 pagine di rapporto ONU, la responsabilità turca, giordana e degli Emirati Arabi Uniti con cui viene ufficialmente dichiarato che dal 2011 quei paesi hanno violato in continuazione l’embargo sancito con le risoluzioni ONU, continuando a rifornire di armi le fazioni libiche anti Haftar.
Il 23 dicembre 2019 viene sequestrato dal sedicente esercito nazionale libico un cargo battente bandiera di Grenada, con equipaggio turco, al largo della città di Derna, stracarico di armi.
Qualche giorno dopo si viene a sapere di un boeing 747 non tracciato, che dall’aeroporto di Sabiha Gokcen, il secondo scalo di Istanbul, è decollato alla volta di Tripoli, carico di “non si sa cosa”.
Non tardano le autorità del porto di Al-Khamis, ad est della capitale Tripoli, a sequestrare una nave che dichiarava di trasportare materiale da costruzione in 40 container, ma che in realtà nascondeva diverse tonnellate di armi. La nave sarebbe poi salpata il 25 novembre 2019 dal porto di Mersin, nel sud della Turchia e avrebbe fatto scalo in diversi porti turchi, fino a quando ha raggiunto il porto di Ambarli, nella regione occidentale di Istanbul. Gli ufficiali libici avrebbero rinvenuto più di due milioni di shot gun 9 mm, circa tremila pistole 9 mm e 120 Beretta, quattrocento fucili da caccia e quasi 5 milioni tra proiettili e munizioni. Il carico sarebbe stato di origine turca, prodotto dalla società turca Zoraki e dai sistemi di difesa Retay”.
Nel dicembre 2019 le autorità aeroportuali di Alessandria d’Egitto, hanno fermato un passeggero proveniente da Istanbul su un volo della Turkish Airlines per Burj Al Arab, atterrato al Cairo. L’uomo nascondeva, nel suo bagaglio a mano, 4 orologi con macchina fotografica, diverse schede di memoria, 5 accendini su cui era stata montata una videocamera e memoria USB. Strumenti utilizzati dagli 007 turchi.
La potenza turca si muove anche nel Mediterraneo verso l’Europa, la Grecia, che nelle ultime settimane ha fatto molte pressioni, denunciando l’invasione delle acque territoriali da parte di Ankara e da tempo mette in guardia sulla crescente aggressività della Turchia nel Mediterraneo. La Guardia costiera ellenica, infatti, ha operato una serie di sequestri di armi e di munizioni ed altri interventi in cui è palese la posizione della Turchia nello scacchiere libico e mediterraneo.
Probabilmente l’esclamazione “Mamma li turchi” che fino a qualche anno fa non faceva più paura, attualmente, inizia a trovare una buona collocazione.
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