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Del seguente articolo:

Aprile - Giugno/2020 -
L’angolo del coach - Psicologia
Paura del contagio
di Maria Teresa Lofari

La paura o l’ansia sono emozioni che possono, nella maggior parte dei casi, risultare utili o funzionali alla nostra sopravvivenza e al nostro benessere. La paura si presenta come un campanello di allarme per avvisarci di un pericolo, affinché vengano messe in moto le risorse necessarie per fronteggiarlo e quindi affrontare la situazione. Quando queste paure però diventano sproporzionate rispetto alla minaccia parliamo di fobie.
Un evento come la diffusione del coronavirus nel nostro paese, oltre a conseguenze già ampiamente diffuse, come danni economici per varie categorie, stati di emergenza in tanti settori, carenze sanitarie di vario tipo, comporta anche un’altra minaccia: un’epidemia di paura e di psicosi.
Una situazione di allerta come quella attuale è del tutto nuova per gli italiani e non solo per loro, quindi risulta comprensibile il disorientamento e la paura che questa innesca.
Contrariamente però a quanto ci si dovrebbe aspettare, nonostante le autorevoli raccomandazioni di non cadere in allarmismi, di non uscire, di essere responsabili non solo per se stessi ma anche per gli altri, tali avvertimenti vengono per lo più disattesi venendo a mancare quindi la funzione principale della paura.
Le continue notizie e statistiche che, quotidianamente, come è giusto che sia, vengono diffuse dai mass media, così come i toni allarmati e il linguaggio pessimistico utilizzato da alcuni, senza tenere in considerazione tutto quello che circola sui social, fanno in modo che aumenti la percezione del rischio ed un’alta percezione genera un elevato livello di ansia e di paura, conseguentemente alcuni comportamenti non solo, come già accennato, di evidente disorientamento ma per lo più irrazionali e che spesso hanno più a che fare con il panico.

Percezioni e panico.

Il panico non è di aiuto a nessuno, al contrario spesso è proprio la causa che ci mette nella condizione di disattendere quelle misure necessarie ad arginare un determinato fenomeno a favore della nostra sicurezza, in questo caso il contagio, come chi scappa dalla quarantena senza minimamente considerare che la sanità è una questione collettiva, perché ognuno è chiamato a fare la sua parte in primis rispettando le norme imposte.
La cooperazione tra cittadinanza e sanità non è importante solo per arginare il contagio ma anche per arginare la paura e l’ansia.
È proprio a questo proposito che deve anche essere tenuto in considerazione che, il più delle volte, i “nuovi“ rischi vengono percepiti come più pericolosi dei rischi già noti proprio perché sconosciuti e quindi impossibili da controllare.
Non solo, se anche i messaggi di cui fruiamo non sono univoci, ovvero se all’interno di una stessa categoria, come nello specifico quella dei virologi, c’è chi ha un atteggiamento allarmista ed una conseguente comunicazione pessimista e, contemporaneamente, c’è chi si dimostra ottimista e quindi meno allarmista, il risultato frequentemente non è quello di una percezione “mediata” tra i due messaggi ma, invece, di maggiore confusione proprio perché non ci si aspetta che anche gli scienziati siano discordi tra loro perché questi rappresentano per noi sicurezza e conforto, quel conforto e quella sicurezza che in questo caso viene del tutto a mancare.
La somma di tutte queste percezioni, allora, possono facilmente trasformarsi in fobie e queste a loro volta condizionano la nostra vita attraverso la modifica delle nostre abitudini.
Non solo, anche i suggerimenti più elementari per evitare il contagio, ad esempio, si scontrano con le nostre abitudini quotidiane, dandoci la percezione piuttosto di un fastidio; non indossiamo mascherine e guanti per andare a fare la spesa quindi tale necessità viene avvertita più come un disagio che come una necessità precauzionale, come una fatica e sicuramente con un carattere di non usualità.
L’accortezza di non toccare le cose che entrano in contatto con tante persone potrebbe indurci a rinunciare completamente al senso del tatto, il distanziamento sociale ad un isolamento autoindotto e forzato, questo solo per fare un esempio di come le nostre abitudini potrebbero essere influenzate dalla fobie e dalle psicosi.
L’essere bloccati in casa è fonte di nervosismo non solo per gli adulti che hanno comunque la capacità di tradurlo in parole e magari di sfogarlo, ma anche per gli adolescenti che spesso non ne parlano, per i bambini che invece magari ne parlano ma non sono in grado di contenere le emozioni che si trasformano in capricci, in piagnistei, lamentele aggiungendo inconsapevolmente nervosismo a quello già esistente.

Impatto del virus e comportamenti.

Quello che ci spaventa quindi è ciò che non riusciamo a gestire, qualcosa di sconosciuto e un virus risponde interamente a queste caratteristiche: è invisibile, non ne conosciamo l’origine, non sappiamo esattamente come proteggerci davvero e solo in pochi sanno come è fatto e l’imprevedibilità del futuro mette a dura prova la stabilità emotiva. Un virus dalle proporzioni del covid-19 oggi e dell’HIV ieri non ha sulla popolazione un impatto unicamente infettivologico quindi ma anche un impatto relazionale, psicologico e sociale.
È questo il motivo per cui si rendono necessari, quale antidoto a tali conseguenze, una buona comunicazione, una comunicazione seria e l’instaurarsi di un rapporto di fiducia verso le fonti.
Non è necessario sminuire o mistificare i fatti ma è necessario offrire strumenti di facile interpretazione e mettere le persone nella condizione di essere consapevoli dei reali rischi ma, allo stesso tempo, della possibilità sempre più vicina di difendersi.
L’informazione ha quindi un ruolo fondamentale in questo compito, sia quella diffusa dagli organismi competenti sia quella individualmente ricercata, non certo sui social o attraverso il passa parola, ma attraverso le fonti istituzionali messe a disposizione. È la cattiva informazione a generare caos e allarmismi.
Quando le fonti comunicative non fanno fronte unito nasce la confusione mediatica che genera una mancanza di equilibrio dove da una parte c’è chi, in maniera piuttosto superficiale, affronta questo periodo come se nulla fosse successo o cambiato, dall’altra chi si segrega in casa, fa scorte alimentari e vive nell’ansia. Chi invece sviluppa comportamenti ancora più irrazionali come l’odio verso i presunti untori stranieri o italiani che siano. Una paura del contagio che prende le sembianze così di vero e proprio razzismo tale da evitare qualsiasi contatto con persone dai tratti asiatici al principio della pandemia per esempio, per poi rivolgersi anche verso i propri connazionali, (per gli Inglesi sono gli Italiani gli untori d’Europa, come per i Cinesi gli Africani), una forma di razzismo cioè che tende a generalizzare il nemico nei tratti somatici piuttosto che nel luogo dei focolai. Non è una reazione nuova in caso di malattie contagiose ma diventa un pretesto per rispondere alla necessità di trovare sempre un colpevole verso il quale indirizzare la propria rabbia e ostilità.
Chi attua l’approvvigionamento compulsivo di scorte alimentari che ha come conseguenza negativa quella di concentrare tante persone in spazi chiusi favorendo così la diffusione del virus oltre a disattendere il senso civico che dovrebbe, almeno in questi casi, basarsi sull’altruismo piuttosto che sull’opportunismo di non considerare che, così facendo, si rischia di far mancare alimenti di prima necessità a chi non ha agito lo stesso comportamento.
La corsa alle mascherine, scelta emotiva e scarsamente logica visto che sono stati soprattutto i sani a farne incetta, venendo a mancare per i reali malati. Chi, noncurante delle raccomandazioni, continua a non voler stravolgere la propria vita e continua a praticare le attività che ha sempre praticato senza la consapevolezza che così facendo mette a repentaglio la propria e l’altrui salute. E infine chi suppone che disattendere gli obblighi sia da furbi e che tutti gli altri siano stupidi, senza rendersi conto che tale atteggiamento è in realtà una forma reattiva all’angoscia che in questo modo viene celata e che sarebbe invece più saggio affrontare. Insomma, la distorsione della realtà genera malessere e comportamenti irrazionali ed è solo attraverso il realismo che ci si può opporre.
Conoscenza, consapevolezza e cultura sono basilari, non solo adesso per affrontare un’emergenza, ma sempre.


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