Il Premio Nobel, intervistato sul pericolo dell’inquinamento atmosferico, che non può essere certo debellato con il solo fermo delle auto per qualche ora alla settimana, sostiene l’idrogeno per centrali elettriche e mezzi di locomozione. Il risultato, una riduzione dei costi e inquinamento più basso.
Lo smog ci sta avvelenando. I politici, con provvedimenti restrittivi e contingenti (limiti alla circolazione), e gli scienziati, con soluzioni a lungo termine, lavorano per salvare l’uomo e l’ambiente, per mantenere cioè la vita sulla terra. Il ‘nucleare’, riguardo alla sicurezza dell’uomo, è visto dalla gente anche con terrore. Di questi temi ne parla il Premio Nobel Carlo Rubbia -oggi alla guida dell’ENEA, l’Ente per l’energia elettrica e alternativa - che ha allo studio un progetto clamoroso: usare l’idrogeno come energia alternativa, applicandolo prima - e presto - ai bus pubblici, poi alle macchine private, ma anche per riscaldare le case, illuminare le città.
Professor Rubbia, quando accadrà?
I primi autobus ad idrogeno li vedremo a Milano. Un programma è stato stipulato anche tra Torino, Parigi e Lisbona. Stiamo già lavorando con la Cina per portare a Pechino, fra 3-4 anni, i bus a idrogeno con polluzione zero. E fra meno di 5 anni ci sarà la prima centrale elettrica dimostrativa, ancora a Milano.
Quali i criteri delle priorità?
I trasporti pubblici sono il vero problema delle città, che invece deve essere la cosa più pulita al mondo in quanto ci abitano migliaia di persone. In Cina l’inquinamento è altissimo. A Pechino non si vede il sole. Noi trasformeremo il carbone, lì molto impiegato, in idrogeno all’interno della miniera, dove lasceremo le sostanze inquinanti.
E altrove?
Ovunque, tutte le volte che bruciamo un combustibile fossile, dal carbone al gas naturale, produciamo CO2, seppure in misura minore rispetto al carbone. Dunque occorre evitare l’impatto ambientale locale dovuto alla combustione. Con l’idrogeno, elemento abbondante perché è componente dell’acqua, si può usare la pila combustibile che ha un’efficienza di produzione di energia elettrica superiore di due volte a quella di una centrale classica. Il vantaggio è duplice: si dimezza la bolletta del gas per lo stesso ordine di consumi - e la bolletta dell’energia elettrica - e in più si ha polluzione zero. La cella combustibile è fattore rivoluzionario dell’innovazione, tanto che Internet conta 1.600 società che le fabbricano. L’Enea si sta inserendo con forza in molti Paesi. Con la Francia gli accordi sul nucleare li abbiamo adeguati alle tecnologie alternative pulite.
Come avviene il processo tecnico?
Lo schema è semplice. Si prende il gas naturale, lo facciamo passare attraverso una struttura analoga alla raffineria di petrolio (si sa che compriamo petrolio ma bruciamo benzina). Otteniamo così da un lato anidride carbonica, dall’altro idrogeno da bruciare. Come facciamo? Prendiamo del metano, cioè CH4, vale a dire idrogeno del carbone, prendiamo dell’acqua dove c’è dell’idrogeno e dell’ossigeno e in questo sorta di scatolone, come la raffineria per il petrolio, avviene una trasformazione, una reazione ben conosciuta: l’idrogeno si libera e il carbone del metano si mette d’accordo con l’ossigeno dell’acqua e forma CO2. Sono due sostanze separabili: l’idrogeno, perfettamente pulito, e l’anidride carbonica. Per procedere alla separazione abbiamo inventato delle membrane, che sono trasparenti all’idrogeno ed opache per il CO2. L’idrogeno, molecola piccola piccola, passa, e il CO2, molecolone grosso, rimane prigioniero. Tiriamo fuori il pulitissimo idrogeno, lo inviamo col metanodotto. Bruciando, si trasforma in acqua, e, poiché noi stessi siamo acqua, non c’è polluzione. Pertanto possiamo utilizzarlo per far girare le automobili, gli autobus e via dicendo. Il problema petrolio è eliminato. Resta il CO2.
Che ci facciamo?
Se lo comprimiamo a 70-100 atmosfere, pressione ragionevole, viene fuori liquido, con una densità pari una-due volte quella dell’acqua. Perciò abbiamo pensato di immetterlo sottoterra, dove alla profondità di mille metri la pressione è di 100 atmosfere. L’anidride carbonica viene sequestrata ed essendo un liquido, non comporta problemi di spazio. I fossili, dunque, ci vengono a basso prezzo e le emissione sono zero, due volte zero: per la città e per l’atmosfera.
Si tratta di tecnologia. Ma anche di economia?
La polluzione costa. Provoca malattie che comportano assenza dal lavoro e conseguenti cure mediche. Perciò l’uso dell’idrogeno appare conveniente anche sotto l’aspetto economico.
Quale la posizione del nostro Paese su questo versante?
E' all’avanguardia tra i Paesi europei. Siamo tra quelli che si stanno impegnando più a fondo su questo programma. I francesi, come si sa, sono legati al nucleare, i tedeschi hanno un po’ di tutto. La nostra posizione deve essere chiara: la soluzione verso il gas naturale e verso l’idrogeno è la soluzione corretta.
Questa dell’idrogeno è una innovazione?
Sì, ma ha una storia alle spalle. Alcuni si ricordano, altri sanno, altri vedono in vecchie foto e film i lampioni a gas delle città dei primi del Novecento. Quel gas era per il 50% idrogeno. A Roma era il 70%. Stiamo riprendendo una tecnologia del secolo scorso in cui si prendeva del carbone e lo si trasformava in questo gas naturale che era anidride CO, con monossido di carbone, un veleno tremendo. Ora immaginiamo di usare quella membrana di cui ho parlato che separi l’una dall’altra. Si esce con l’idrogeno pulito. Avremo tutti i vantaggi del gas di città (e anche tutti i rischi, è ovvio), però trasformiamo il combustibile fossile, in qualche modo pericoloso, in un’altra sostanza che non dà né emissioni alla combustione, né emissioni del tipo CO2. Credo che la nostra missione, il nostro interesse sia quello di imparare a bruciare combustibili fossili col minimo impatto ambientale. Con la sequestrazione riusciamo a fare addirittura una cosa, se vogliamo, assurda: bruciare del carbone senza produrre anidride carbonica.
Non c’é rischio a mettere sottoterra l’anidride carbonica?
Ricordiamoci che l’anidride carbonica è l’acqua gasata e l’acqua senza gas è quella naturale. Noi le abbiamo ambedue. Quindi, anche se questi gas riuscissero a penetrare, - cosa molto improbabile, difficilissima - le regioni dove andiamo a prendere l’acqua non avremmo nulla di più che acqua minerale gasata. In realtà di CO2 ce n’è moltissimo sulla terra, quindi non faremmo altro che aggiungere un qualcosa: una situazione ben diversa dai residui radioattivi. Anche se mettiamo il CO2 nell’acqua dei mari, alla profondità di mille metri, resta sotto perché è più pesante.
Non si modificherà qualcosa?
Crescerebbero le alghe, come avviene dove c’è eccessiva presenza di fosfati. Per evitarlo dobbiamo mettere nella struttura la pressione iniziale che Dio ha dato. Non possiamo metterlo in forma di metano, lo mettiamo in forma di CO2, che è inoffensiva. Ci sono altri modi di eliminare il CO2. Li stiamo studiando. Possiamo prendere, ad esempio, dell’ossido di magnesio che a contatto con CO2 fa carbonato di magnesio, che è una dolomite. Un materiale dunque col quale si può costruire.
|