La pellicola di Mel Gibson, che alla sua uscita ha scatenato in America polemiche anche esasperate, è destinata a entrare nella storia del cinema e rappresenta un manifesto contro le condanne capitali
motivate da motivi politici o religiosi.
Questo film, "La Passione di Cristo", andava proprio fatto. Che abbia acceso, fin dalla vigilia e alle prime proiezioni in America, dure polemiche e ora le faccia scoppiare qui da noi, in Europa e altrove (nei Paesi di religione musulmana è stato autorizzato) era scontato. Che sia un film anti-semita o un’opera capace di fomentare odio nei riguardi degli Ebrei è tutto da dimostrare. Allo stesso modo si potrebbe dire che è contro i Romani, nel senso che sono stati i centurioni e i soldati romani a mettere in atto la Crocifissione. Ma quei Romani, intesi come rappresentanti o esecutori dell’Impero dei Cesari, non ci sono più. Così come non ci sono più gli Ebrei di quel tempo, i farisei, i cirenei, i cananei, gli scribi. Come non esiste più l’aramaico, la lingua di Gesù allora parlato in gran parte dell’Oriente, più del greco e del latino, e non si parla più, normalmente e correntemente, salvo eccezioni, il latino. Le persecuzioni contro il popolo ebraico, nella loro terra d’origine e nel mondo, sono state un’aberrazione della storia. Gli eccidi, le deportazioni, i forni crematori sono stati condannati in chiave storica e politica. La coscienza comune li respinge e ne prova orrore. La shoa, in quanto rievocazione dei massacri di tanti cittadini delle più diverse nazioni ad opera del nazismo, é considerata un crimine che ha segnato le coscienze di tutti e che richiede la compartecipazione di tutta la comunità. Molti sono stati, nei tempi più recenti, gli atti significativi che hanno voluto seppellire tanti odi - veri o presunti - tra cristiani ed ebrei, come le visite dei Papi in Terrasanta o nelle sinagoghe, e gli incontri con governanti ed esponenti della religione ebraica.
Il film, destinato a caratterizzare la presente stagione cinematografica e a rimanere nella storia della filmografia, firmato da Mel Gibson, un regista (cresciuto in Australia ma nato a New York), che ha interpretato come attore diecine di importanti film e come regista ha legato il suo nome a Breveheart con l’Oscar, è - semmai - un manifesto contro ogni condanna capitale determinata da motivi politici o religiosi, è un grido contro la violenza, è la ribellione contro sofferenze che uomini possono infliggere ad altri uomini. Al di là delle interpretazioni che si vorranno dare - e che ognuno darà per proprio conto - il film rievoca le ultime 12 ore dell’esistenza terrena di Gesù, quelle che vanno dall’arresto nell’Orto del Getsemani, alla traduzione nei cortili delle tre potenze (i sacerdoti, Erode e Pilato), alla flagellazione, alla condanna, fino alla crocifissione, dopo la straziante via crucis. Sono scene crude e crudeli, alle quali si potrebbe anche non resistere (e infatti negli Usa qualcuno è uscito dalla sala, altri sono svenuti), se non si pensasse che i trucchi del cinema sono molto raffinati, tanto che il protagonista, Jim Caviezel, si è sottoposto financo a 7 ore di trucco, ma ne ha risentito al punto che le vesciche gli hanno impedito di dormire. Sulla scena il sangue corre copioso, il corpo di Cristo
è ridotto una piaga, i chiodi si conficcano sul palmo delle mani.
Con brevi e significativi flash-back Gesù, nel corso della cruenta passione, ritorna a qualche momento felice del suo passato: quando assolve l’adultera e fa dileguare coloro che volevano lapidarla, quando istituisce l’eucaristia, quando lavora come falegname sotto gli occhi della madre. Quella madre che ora, con le Pie donne, lo segue lungo il Calvario.
Non c’è nessuna agiografia in questo film, nessun quadro idilliaco. C’è un realismo esasperato, la descrizione di una violenza cieca che non dovrebbe mai esercitarsi contro nessun uomo, mentre purtroppo ciò accade ancora oggi, come avviene in qualche parte dove persiste la lapidazione, o nei quasi centro paesi dove vige tuttora la pena di morte. Questo stesso senso del reale ha spinto Gibson a usare l’aramaico, con la consulenza dello studioso padre William Fulco, e il latino. Sentire queste lingue accresce l’atmosfera del film. Gesù risponde
a Pilato in latino e questo fa capire che egli era un uomo colto, non solo nelle sacre scritture.
La Passione, affrontata spesso dal cinema fin dai suoi esordi (anche dal nostro Pasolini nel "Vangelo secondo Matteo" che proprio in questi giorni viene ripresentato dopo un complesso restauro) al quale Gibson ha dichiarato di essersi ispirato, così come si è anche ispirato a grandi pittori come Caravaggio, era stata coltivata dal regista per 12 lunghi anni, da quando ebbe la crisi spirituale che lo portò a riesaminare la sua fede e a meditare sulla sofferenza, il perdono, la redenzione. La sceneggiatura è costruita dai quattro Vangeli. "La mia speranza - dice oggi - è che il messaggio di enorme coraggio e massimo sacrificio di Cristo possa ispirare alla tolleranza, all’amore, al perdono, di cui abbiamo sempre più bisogno". Jim Caviezel ha detto: "Nessuno ha mai mostrato Cristo in questo modo prima d’ora. Ma è la verità. Il regista non ha usato la violenza per il gusto di farlo. Ciò che si vede non è gratuito. Molte persone avranno uno shock perché il film è potente".
Girato interamente in Italia, a Matera e a Cinecittà,
il film annovera anche molti attori italiani: Monica Bellucci, Mattia Sbragia, Claudia Gerini, Sergio Rubini e Rosita Celentano nella parte del demonio tentatore. Italiani tutti i personaggi minori, molti degli aiuti
registi, le maestranze. Un film che in buona parte ci appartiene.
|