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Del seguente articolo:

giugno- luglio/2004 -
Negli occhi dei bambini...
Andrea Nemiz

La fotografia-documento la conosciamo da sempre. E la trattiamo con ogni rispetto in quanto - se non travisata - è rappresentazione reale e oggettiva della realtà, anche se, come ben si sa, non necessariamente ne rispetta sempre il significato. Anzi, spesso è utilizzata per ingannare, o dare significati ben diversi dal reale.
Mai ci era capitato, però, di assistere a ‘spettacoli’ foto e video che qualcuno in maniera spiccia definisce alternativamente ‘orrendi’, oppure ‘necessari’, sulla base della propria posizione culturale e politica. Ma quale è nella foto il limite dell’orrore? Il dibattito sarebbe profondo e ciascuno, su questi argomenti ‘facili’, può dire la sua. Si straparla. L’orrore è un altro, invece: dare ai bambini ripetute immagini di violenza di cui potrebbero fare a meno e glissare su tante altre, e sono migliaia, imbarazzanti per chiunque, che mostrano la sofferenza in guerra proprio dei bambini. Una guerra nella quale - occorre sottolinearlo - il governo italiano si è tuffato con mire innanzitutto imprenditoriali.
Entrando nel concreto, analizziamo la prima foto delle famigerate decapitazioni diffuse in rete con quel malcapitato americano che forse sembrava non capire cosa gli sarebbe successo. “Orrore!”, esclamano i benpensanti, invocando la morale, il rispetto umano, i bambini ecc ecc. Qualcuno magari plaude con efferatezza, altri ancora insinuano una macabra messa in scena con lo sgozzamento di un uomo già morto, altri si indignano... e giù pagine al pc (o flussi di videate). Per ficcarsi sempre, però, nel piatto ricco, per approfittare di quel momento magico che carpisce lo share. Assai più di tante riflessioni, lo spettacolo della morte è sempre pagante. E da tempi immemori.
Spostiamoci ora di circa un anno indietro, e andiamo con la memoria ai tg sulla guerra in Palestina dove uno zoom impietoso ha mostrato a tutto il mondo disperazione e agonia di un padre inerme che, inginocchiato contro un muretto, stringeva al petto il suo bambino mentre era sotto tiro: si sbracciava urlando ai soldati di non sparargli. In rapida, inesorabile - e mostruosa - sintesi cinematografica tutto il mondo ha però potuto vivere in tempo reale la loro agonia cadenzata dai sussulti dei corpi che si accartocciavano l’uno sull’altro. Fino a rimanere immobili sul selciato intriso di sangue innocente. Ma non è orrore anche questo? Eppure, al di là di qualche accorato commento di rito, tutto è finito lì.
La realtà è che il povero americano sgozzato rende molto di più ai media - e al potere - di quanto valga un anonimo palestinese trucidato nella routine con in braccio il figlio: due contro uno, ma perdenti. Finiamola quindi con l’orrore di maniera e pensiamo invece alle guerre dove immagini di sangue o brandelli di carne, senza passaporti, sesso o età, non fanno più notizia. Accanto a certe immagini ben note di orrore (colonna a sinistra) ne pubblichiamo altrettante delle sofferenze dei piccoli (colonna a destra), che forse, però, nessuno ha mai visto.
Tornando ai media, un fatto è certo: da tempi immemori, nelle situazioni difficili, fotografi e cameramen sono sempre i primi ad essere sotto tiro, i primi ad essere placcati, allontanati, a volte ammazzati. Le immagini-documento fanno paura, a qualsiasi parte in campo. Nel carcere di Harabib, invece, a giudicare da quanto se ne sa, tutto il contrario: digitale e videofonini l’hanno fatta in barba a tutte le censure preventive. Si stenta a credere. Ma come sono mai potute uscire dal penitenziario tutte quelle immagini? Qualcuno avrà pur visto quei ‘fotoreporter ‘sui generis che scattavano, documentavano, sia pure con tante complicità goderecce... è mai possibile che almeno un carceriere capo non abbia capito la potenziale pericolosità di quelle foto (che hanno poi invaso il mondo) su violenze di soldati, soldatesse e cani contro uomini mostrati in un nudo ludibrio, nudi fin nell’anima? Sulle violazioni dei più elementari diritti umani? Un ordine curioso (per fortuna tardivo) dei capi di questa guerra anche mediatica, vieta oggi il digitale nelle carceri!
Dalle cronache, un’ipotesi: quelle foto erano un puro spasso... una sorta di divertimento per ingannare la noia, un souvenir da mostrare agli yankee oltreoceano che cosa, loro, duri professionisti della guerra, erano capaci di fare a quegli infedeli che, magari sotto al cappuccio nero, recitavano pure il loro corano! Ragazzacci e ragazzacce che hanno fatto delle ragazzate, dunque? Tanto e vero che uno dei ‘fotografi’ alla corte marziale, sembra si sia pure messo a... piangere addolorato (riferiscono premurose le cronache) nel capire cosa aveva combinato!
Passiamo adesso a noi e a quanto lo share impone. La famosissima domenica pomeriggio-sera con il tormentone Bonolis-Bilancia. Contrappunti accorati fra l due; silenzi eloquenti, ammissioni e discolpe dell’assassino in diretta, sapienti zoommate, ben usate nel montaggio, sul cosiddetto ‘mostro’: gli scavavano il volto, come e ben più, delle parole dell’uomo di spettacolo che lo psicanalizza. Ma ce ne era davvero bisogno? Ma c’è qualcuno fra noi che deve giudicare se, o quanto, quell’uomo sia pazzo o no? Tutta la polemica che ne è seguita, Ordine dei Giornalisti con Bruno Tucci in prima linea, ma anche di qualsiasi altra provenienza, ha mostrato la perfetta inutilità sociale del servizio oltre al danno potenziale su tanti piccoli che magari hanno visto, anche se poco hanno capito. Certo un vincitore c’è stato, lo share.
Ma non è orrore anche questo?


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