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Del seguente articolo:

giugno- luglio/2004 -
La ricerca subacquea -I consigli di Stefano Mariottini-
Marco Serri

Lo scopritore dei Bronzi di Riace racconta la sua storia
e come, da subacqueo dilettante, per puro volontariato passò alla ricerca subacquea lavorando d’intesa con la Soprintendenza della Calabria.
Lavorare sott’acqua e meraviglioso, spiega, tanti sono però gli obblighi di legge per la tutela del nostro
patrimonio culturale, e anche tanti quelli della sicurezza
in immersione...

L’ingegner Stefano Mariottini ammette di essere stato molto fortunato nel suo hobby, quando scoprì i Bronzi di Riace, e racconta che, proprio da quell’esperienza, nacque il suo interesse per l’archeologia subacquea, un’attività di puro volontariato. “Per raggiungere dei risultati - spiega sempre quando parla in pubblico - non serve davvero essere degli scienziati: occorrono serietà e il rispetto rigoroso - unito a grande buon senso per la propria sicurezza e per quella di chi ci sta vicino; occorre infine, tanto amore per la ricerca”.
“Sin dall’inizio la passione fu grande”, prosegue raccontando di quando riuscì a entrare in sintonia con la Soprintendenza della Calabria, conquistandone la fiducia. Dalla prima passione, l’impegno iniziale si è poi trasformato in attività di ricerca vera e propria. “Cercare semplicemente dei cocci per portarseli a casa non è archeologia ma è un vero e proprio furto ai danni dello Stato - sottolinea Mariottini - e tutto ciò che si trova in mare o comunque semplicemente sottoterra, non è mai nostro. Anche il semplice cercare monete tra le zolle con un metal detector è un’attività illegale. Ed proprio l’uso di questo strumento in zone di ricerca è vietato: nel caso una qualsiasi autorità ci trovi con un reperto di qualsiasi valore tra le mani, rischiamo il sequestro non solo del reperto stesso ma anche delle attrezzature di ricerca. Su autorizzazione di un magistrato, inoltre, si rischia pure una perquisizione in casa con il sequestro di tutto ciò che risulta sospetto - cocci, coccetti, monetine - seguito da una denuncia penale con successivo processo. Vale quindi la pena rischiare tutto ciò per qualche coccetto? Mariottini aggiunge che una delle linee guida dell’Unesco per classificare quali siano i reperti considerati ‘archeologici’, spiega che vengono considerati tali tutti quelli catalogati con oltre ai cento anni di età
“Essere archeologo non vuol dire che si possa raccogliere quello che si trova sott’acqua - prosegue - in quanto qualche coccio non dà alcuna soddisfazione e inoltre detenere illegalmente in casa dei reperti può essere pericoloso anche perché si potrebbe essere accusati di commercio illecito (oltre che di detenzione abusiva), e si dovrebbe poi riuscire a dimostrarne la provenienza, per non andare incontro ad altre forti sanzioni”.
“Quando si scopre qualcosa sott’acqua se ne deve avere grande rispetto perché quel reperto è certamente testimonianza di qualcosa che esisteva e anche segnale di altro che ancora potrebbe esistere lì vicino. Se si trovasse ad esempio un’ancora e la si asportasse, il danno scientifico sarebbe enorme perché si cancellerebbero tracce di un possibile relitto: un semplice ancoraggio, infatti, potrebbe essere importante per ricerche successive, oppure un frammento o un collo d’anfora, se portato via, potrebbe pregiudicare l’eventuale ritrovamento di un carico. Se si portasse all’aria un pezzo di legno che era sott’acqua, in breve tempo si sbriciolerebbe perché si comporta come una spugna e se ne perderebbero sia la possibilità di capire i criteri costruttivi di quella nave, che la rotta”.
“Considerato che in questi tempi sono tanti i subacquei che scendono in mare con attrezzature supertecnologiche, ne consegue che la possibilità di trovare reperti a una profondità inferiore ai 40 metri si sia ormai del tutto rarefatta. Anche questa supposizione, però, non è detto che sia esatta. Esistono infatti tanti posti già ampiamente battuti da ricerche, soprattutto attorno alle isole, dove tuttora i ritrovamenti sono possibili, magari in quelle zone considerate ‘difficili’, come ad esempio nell’isolotto di Ventotene dove, basta superare Punta d’Eolo, e i reperti possono essere ancora tanti. Oltre alle attrezzature ‘super’, sono oggi in uso anche dei piccoli robot-sommergibili che toccano anche i 600 metri di profondità: lì si possono trovare pezzi anche interessanti perché, più si va sotto, più l’ossigeno è rarefatto, non si formano concrezioni, e i reperti sono in migliore stato di conservazione”.
A quanti poi al prosieguo di chi dopo una scoperta volesse collaborare con le Soprintendenze per le attività subacquee, Mariottini suggerisce che ci si potrebbe associare a un gruppo consolidato che già abbia un suo percorso scientifico. “Occorre però tenere ben presente una cosa: un rinvenimento come quello di Riace è un fatto eccezionale - aggiunge - e di statue come quelle chissà se ne esistono più. Nei fasti dell’antica Grecia, di bronzi come quelli ne saranno stati fatti migliaia e tanti ne saranno stati portati dai romani fino a noi ma, delle tante statue, chissà quante ne sono state già ripescate, ben collocate oppure anche distrutte squagliandole per ricavarne il bronzo. Oppure per farne copie in marmo. Molte sono state anche distrutte in quanto divinità pagane. O quante, infine, riposano ancora in mare a profondità abissali. Averne trovarle due in quelle splendide condizioni è stato quindi un fatto veramente episodico”.
“Ciò che è sicuro, comunque, e che sul fondo reperti interessanti ne esistono ancora, soprattutto se si battono le antiche rotte delle navi che venivano dalla Grecia a Roma, quelle della circumnavigazione delle isole, quelle che attraversavano lo stretto di Messina o le rotte dei marmi che partivano dalle Cicladi. Chissà quanto materiale esiste ancora da poter recuperare”.
A questo punto Mariottini fa un accenno a un altro celebre ritrovamento in mare, quello del “Satiro danzante” una statua in bronzo ‘pescata’ nel Canale di Sicilia, nel Marzo del 1998, al largo di Mazara del Vallo. La raffinata opera si trovava a circa 600 metri di profondità e venne alla luce perché si incastrò nelle reti di alcuni pescatori. “Quando si fa la segnalazione per un recupero esistono pure dei premi - spiega il direttore del club di volontariato, ma per me non tutto è premiabile in quanto, se pensiamo a un’ancora, ad esempio, io penso che per essa il premio non dovrebbe esistere perché, quando la si toglie dal fondo, (l’ancora non è in sé un’opera d’arte, ma è un relitto) si perdono altre eventuali tracce di un relitto. Sul materiale recente invece, con meno di cento anni - sottolinea il sub - non penso esistano vincoli, come per esempio con i relitti della seconda guerra mondiale. Senza dubbio questi ultimi vanno denunciati al Ministero della Difesa, soprattutto per i relitti stranieri che interessano altre nazioni”.
“Comunque una cosa è tassativa: qualsiasi cosa si trovi, nulla va asportato personalmente in quanto, inesorabilmente, si cancellerebbero delle tracce fondamentali per gli studi che vi potrebbero essere fatti Nel caso di rinvenimento di un reperto subacqueo la prima cosa da fare è fissare il punto dove si trova, se ci si riesce, anche approssimativamente, e ancorarvi sopra un gavitello o una boa segna sub. Si dovrà poi rilevare tutta la documentazione possibile, fare delle fotografie o almeno un rilievo a matita, e presentare quindi una regolare denuncia alla Soprintendenza, ai Carabinieri o alla Guardia di Finanza, alle Capitanerie di Porto, alla Magistratura. Sono equivalenti. Questa denuncia avrà un suo corso in quanto non è che la Soprintendenza si getti a capofitto su qualsiasi segnalazione. La denuncia serve però per delineare la cosiddetta ‘mappa del rischio’ della zona, nella quale sono elencati e segnalati tutti i posti che dovrebbero essere soggetti a sorveglianza e dovrebbero essere anche essere pubblicati e diffusi. Si dibatte molto sul rischio legato alla diffusione di queste notizie: io sono dell’opinione che il rischio vero sia proprio la NON conoscenza del problema in loco in quanto, conoscendolo, la gente stessa del posto si ergerebbe a ruolo di custode di quello che è il suo bene culturale. Chi è parte di un territorio interessante e sa che vi esistono reperti, nel momento in cui ne è a conoscenza, lui stesso ne diviene buon sorvegliante”.
L’ingegner Mariottini parla quindi della sua esperienza di ricercatore subacqueo e racconta di aver iniziato nel 1964 all’età di 23 anni con una grande passione per il mare, il nuoto, la pesca le grandi escursioni in mare. “Ero iscritto a chimica e, nel tempo libero, come potevo correvo in Calabria. Ricordo di una volta che mi immersi largo di Monasterace, sul versante jonico, alcuni chilometri a nord di Marina di Riace e Santa Caterina, mi trovai in mezzo a un gran numero di colonne conficcate nel fondo”.
Nel 1980 Mariottini fondò un suo sodalizio, ‘Archeo sub’ che nell’82 ebbe un primo incarico dalla Soprintendenza proprio nella zona di Riace, sempre sotto forma di volontariato. Ogni anno al Club viene generalmente affidato il proseguimento di ricerche precedenti ma non mancano anche rilievi su scoperte e segnalazioni attuali. La direzione delle ricerche è della Soprintendenza e per i soci del club non esiste alcuna retribuzione, al massimo si concede loro qualche piccolo rimborso spese. Oggi il club di Mariottini è formato da 11 subacquei e ha cambiato il nome in “Associazione culturale Kuros”.
“In 24 anni di lavoro in coordinamento con la Soprintendenza, il nostro gruppo ha trovato tanto materiale prezioso su cui si è studiato, In particolare, elementi architettonici, notevoli anche se non in bronzo, come colonne in marmo decorate, colonne joniche, ed elementi votivi. Non certo frammenti ma colonne intere.Quando iniziammo eravamo in sette-otto e siamo arrivati anche a 19 soci. Tutti con esperienze professionali diverse, tecnici, universitari, artigiani, professionisti, tutti con brevetti subacquei ad alti livelli, o anche istruttori. La nostra più grande soddisfazione è sempre nello scoprire nuovi reperti, vederli, toccarli”.
Nella composizione del gruppo Mariottini cerca sempre nuovi elementi da inserire “la rotazione è altissima ma non pubblicizzo la mia ricerca perché, se lo facessi, mi troverei con centinaia di aspiranti pronti ad entrare e la qualità sarebbe scadente. Cerco persone che siano ben preparate e ben motivate in partenza con le quali iniziare a lavorare con professionalità. Noi per lavorare ci prendiamo le ferie e ci paghiamo veramente tutto, senza sostegni esterni. La Soprintendenza dal canto suo già fa tanto in quanto ci dà i permessi per poter fare ricerca. Quando arrivano persone nuove io faccio loro un corso di tecnica di archeologia subacquea sulla base delle nostre esperienze. Se diamo come esempio la ricerca che abbiamo fatto a Monasterace, noi possiamo insegnare come si fanno le misure sott’acqua, come si fa la cartografia. Con il lavoro fatto alla peschiera di San Sireno a Briatico, a Vibo Valentia sul Tirreno, possiamo capire e illustrare come gli antichi romani lavoravano in pescheria, come andavano a tonni, e via dicendo. Oggi sono un pensionato e per trenta anni ho lavorato prima alla Selenia e poi alla Alenia, ma ciò che di più entusiasmante ho appreso nella vita, è stato ciò che ho visto sott’acqua: non lascio mai a terra la macchina fotografica e non mi perdonerò mai di non avere le foto dei due bronzi che trentatre anni fa vidi affiorare dal fondo, semisommersi in quella sabbia dorata, illuminata dai raggi del sole che fendevano l’acqua cristallina”.


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