Tra le vicende della guerra in Iraq e le elezioni europee, quasi inosservato l’avvenimento storico più importante per l’Europa di questi anni. Lo scorso primo maggio, infatti, ha avuto luogo l’entrata formale e irreversibile nell’Unione Europea di ben dieci nuovi paesi dell’Europa centro-orientale e del Mediterraneo.
Di questa importante svolta nel vecchio continente ne abbiamo parlato con Gianni De Michelis, che una decina d’anni fa ha ricoperto il ruolo di Ministro degli Esteri e oggi è Segretario Nazionale del Nuovo Partito Socialista Italiano.E soprattutto di come, in modo netto, cambierà l’intero contesto del cosiddetto processo di integrazione europea nonchè quello entro il quale per circa cinquant’anni, anche noi italiani, siamo stati abituati a misurare la nostra condizione.
“Fino a ieri - ha detto De Michelis - tale contesto poteva con buona ragione essere definito “carolingio”, perché corrispondeva, più o meno, all’estensione dell’antico impero franco e, in tale quadro l’Italia, si trovava al tempo stesso a rappresentare la frontiera o “marca” orientale e a partecipare al suo nocciolo duro con la sua parte nord occidentale. L’Europa che definivamo “carolingia” scomparirà dissolvendosi in una più vasta Europa “paneuropea”, la quale però, almeno allo stato, assumerà una peculiare, in un certo senso distorta, configurazione “baltica”, squilibrata cioè verso nord-est, il cui baricentro si sposterà verso Berlino ed il cui asse portante non sarà più l’asse Nord-Sud del Rodano-Reno, ma quello Ovest-Est che da Parigi per Berlino arriva a Varsavia e si protende verso Mosca”.
“In questo contesto l’Italia perde il suo ruolo di ‘marca’ di frontiera ad Oriente e rischia di vedere l’intero nuovo ‘nocciolo duro’ scivolare a Nord delle Alpi. Inoltre si indebolisce la dimensione mediterranea dell’Europa in quanto Malta e Cipro non sono assolutamente sufficienti a controbilanciare gli altri nuovi paesi, dalla Slovenia all’Estonia e, inoltre, resta incerta e squilibrata la prospettiva del completamento dell’allargamento nella direzione della Regione Balcanica.Tutto ciò porrà di colpo l’Italia in una prospettiva europea completamente diversa, il che comporterà, come ovviamente avviene in questi casi, l’emergere sia di problemi nuovi, che di nuove opportunità”.
“Il futuro sarà sicuramente diverso, ma dipenderà da noi se sarà migliore o peggiore e cioè dalla nostra capacità di renderci rapidamente conto del nuovo contesto e ad esso saper adattare le nostre reazioni e le nostre risposte. Non avremo più ad esempio frontiere terrestri extracomunitarie e, quindi, solo per fare un esempio, verrà meno la ragion d’essere di una legge voluta solo quindici anni fa che si riferiva a delle cosiddette “aree di confine” per le quali si riteneva necessario prevedere interventi compensativi. Di colpo città come Gorizia e Trieste hanno perso la loro natura di città di frontiera, in qualche modo amputate di buona parte del loro entroterra naturale, ma al tempo stesso le nostre regioni nordorientali sentiranno la concorrenza di un paese come la Slovenia che si trova nelle condizioni di agire come magnete per l’intera area alpina orientale”.
“Per converso rischiamo di trovarci nella sgradevole posizione di essere l’unico paese della vecchia Comunità Europea che potrebbe continuare per un lungo periodo a trovarsi nella condizione di essere a contatto con una delle poche aree europee ancora escluse dal processo di integrazione e cioè con la regione dei cosiddetti Balcani occidentali, corrispondente più o meno alla parte maggiore della ex Jugoslavia. Tutto ciò per di più con il contestuale modificarsi delle direzioni di intervento delle politiche di coesione ed il conseguente spostamento da Sud ad Est dei flussi di finanziamenti relativi alle politiche regionali dell’Unione.Per non parlare delle modificazioni che subirà la mappa degli scambi commerciali all’interno dell’Unione, ad esempio con riferimento allo spiazzamento dei prodotti italiani sul mercato tedesco ad opera dei produttori polacchi, cechi ed ungheresi”.
“Queste sommarie considerazioni ci dovrebbero aiutare a capire l’impegno con il quale dovremo porre attenzione a tale avvenimento destinato ad influenzare il futuro della nostra comunità nazionale, molto di più di altri fatti, che pure riescono ad attirare l’attenzione quotidiana dei mass-medi”.
“Dal Primo Maggio scorso abbiamo costruito un’Europa più vasta, un’Europa pan europea, un’Europa che potenzialmente si estende a est sino agli Urali. È questa, tra l’altro, una nuova Europa dove, per ragioni contingenti, i Paesi che entrano sono soprattutto del centro Europa settentrionale generando quindi una specie di distorsione a nord est. Un’Europa che potremmo definire baltica nella sua configurazione e che, naturalmente, rischia di confinare il nostro Paese, che si trova al sud delle Alpi, in una specie di terra periferica.”
L’Italia rimane comunque un ‘centro’ dell’Europa ma, con questi nuovi ingressi, i confini non geografici del nostro paese subiranno modifiche?
“Con i nostri partner può anche cambiare molto perché, naturalmente, con la nuova situazione europea abbiamo da un lato un’esigenza di operare per riuscire il più possibile, il prima possibile, a riequilibrare questa configurazione baltica con una più forte dimensione mediterranea dell’Europa sia verso il mediterraneo vero e proprio sia verso quella parte d’Europa - penso ai Balcani o all’Europa sud orientale - che, in questo momento rimangono ancora formalmente fuori dall’Unione Europea”.
“Nel tempo stesso, però, per l’Italia cambia anche il fatto che per la prima volta dal primo di maggio tutti i nostri confini saranno confini all’interno di un grosso nucleo di stati europei e non avremo più confini con altri paesi esterni a quell’Europa che si integra nell’Unione europea. A oriente sono cadute le ultime barriere terrestri e pensiamo a Gorizia con il suo confine verso la Slovenia: quest’ultima barriera si è totalmente dissolta e la vecchia linea di confine si è praticamente trasformata in un elemento di unione e non più di divisione”.
Ma allora questa nuova situazione ci porterà a considerare come la trasformazione dei confini non sia un solo fatto geografico e puramente teorico?
“La trasformazione inciderà in concreto non solo sulla vita di ciascuno di noi ma anche sulle prospettive delle attività economiche e cosi via. Per esempio, quando si parla di riequilibrare un asse che si sposta anziché da nord a sud ma da est a ovest come avverrà ad esempio per il cosiddetto ‘Corridoio 5’ carico di tutte le linee di trasporto che accoglie. Questo ‘Corridoio 5’ ricopre una prima grandissima priorità per le relazioni tra l’est dell’Ucraina, l’est dell’Ungheria, attraverso la pianura Padana con l’occidente francese o spagnolo”.
“Queste relazioni economiche si organizzeranno a nord delle alpi invece che via Budapest, Trieste, Milano ecc. attraverso una nuova strada che parte da Budapest e si dirige verso Vienna, Monaco, Strasburgo e cosi via. Un altro cambiamento che avverrà è legato alla caduta del confine che esisteva a est verso la Slovenia e, rispetto al nord est dell’Italia, la Slovenia opererà con un potere attrattivo che potrebbe esportare anche attività economiche. Un altro cambiamento ancora sarà legato alla competizione sul mercato tedesco che è il principale mercato di sbocco delle produzioni del nord Italia. Nella nuova Europa i produttori polacchi o cechi o ungheresi tenderanno, con alcuni vantaggi competitivi nel settore del prezzo, ad aspettare le merci italiane su quei mercati”.
E c’è qualche cosa che rimane invece immutato riguardo alla nostra posizione strategica nel Mediterraneo?
“Paradossalmente tutta la nuova situazione europea potrebbe diventare una grande carta in favore dell’Italia, nella misura in cui - e ci sono molto argomenti per sostenere questo - l’Europa vorrà decidere una sua più forte posizione nell’area mediterranea per evitare appunto un futuro di scontri, di guerre sante, di crociate ecc . A quel punto l’Italia, è meglio dire il ruolo dell’Italia, può diventare decisivo e centrale, come sempre è stato in quei momenti storici in cui il mare Meditteraneo ha giocato un ruolo di area forte e centrale. E ancora di più, in quel momento potrebbe diventare ancora più importante il ruolo dell’Italia del Sud che, invece di essere una estrema periferia meridionale dell’Europa, può diventare un punto centrale, una forte piattaforma di congiunzione tra l’Europa che vuole estendersi nel Mediterraneo e i Paesi più strettamente mediterranei e che sono extraeuropei. Quanto più e forte e stretto nascerà un legame culturale tra l’Europa e Paesi del Nord Africa e l’Islam, tanto più si può sperare davvero in un futuro tranquillo.
Certo l’alternativa è molto secca: o nasce un’alternativa positiva di cooperazione, di dialogo, di integrazione economica, o di gestione razionale di un comune mercato del lavoro o, dall’altre parte, si rafforzerà un’alternativa basata sulla guerra, con tutto il suo indotto di terrorismo, immigrazione clandestina, dai traffici illeciti”
Il momento attuale diventa sempre più complesso e difficile: pensa che la politica dovrebbe abbassare certi toni che non sono davvero opportuni, oltrechè antiestetici?
“Certo, soprattutto la politica dovrebbe scegliere i toni giusti, come d’altra parte già sostenevo 15 anni fa. L’alternativa che si pone di fronte al mondo, all’Europa e soprattutto di fronte all’Italia, è un’alternativa fra integrazione e dis-integrazione, e siccome è evidente che integrazione significa pace, sviluppo, migliori condizioni di vita per tutti mentre la dis-integrazione significa l’opposto, bisognerebbe lavorare - e quindi anche usare - quei giusti toni che favoriscano l’integrazione e non il suo opposto”.
Come vede il futuro del bacino del Mediterraneo anche alla luce dei più che potenziali pericoli rappresentati dalle guerre in corso?
“Le idee e il fermo convincimento sulla necessità di coinvolgere nel lavoro per la pace sia l’Europa e l’America, tutto il giusto disegno di modifica dello status quo del bacino del Mediterraneo verso un processo di stabilizzazione, non potranno essere resi attuabili senza il pieno coinvolgimento anche del mondo arabo. Per ottenere questo risultato - ovviamente all’inizio -bisognerà far leva su quelle minoranze arabe più moderate e quindi più lontane dai disegni del terrorismo fondamentalista; deve essere però ben chiaro, sia agli amici americani che ai partner europei, che proprio da queste posizioni si dovrà partire se si vuole avviare un confronto che possa divenire rapidamente costruttivo”
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