Il disastroso incendio avvenuto tempo fa nella capitale del Paraguay, dove le uscite di sicurezza di un supermarket erano bloccate, porta alla ribalta in tutta la sua drammaticità il tema della salvaguardia del pubblico.
Qualcuno ricorderà uno speciale tv dove venne affrontato il problema della sicurezza nei grandi magazzini: un inviato cercò di controllare lo stato delle uscite di emergenza di un grande supermercato di Roma che apparivano ostruite di merce o addirittura bloccate. Ovviamente operatore e giornalista furono subito allontanati e, nonostante le insistenze, non riuscirono a parlare con un responsabile del punto vendite per avere spiegazioni sul perché alcune uscite di sicurezza risultassero inagibili.
Anche noi cittadini dovremmo ogni tanto, entrando in un grande magazzino qualsiasi, piccolo o grande che sia, dal nome famoso o più anonimo, cercare di percorrere una delle diverse vie di sicurezza, che devono essere regolarmente segnalate da indicazioni luminose previste e obbligatorie per legge. Forse scopriremmo noi stessi un mondo di irregolarità: si potrebbero trovare ad esempio grossi contenitori di merce posti appena al di là dell'apertura della uscita di emergenza, oppure cataste di scatoloni davanti agli accessi che immettono sui percorsi da seguire in caso di evacuazione, per arrivare alle uscite di sicurezza di difficile apertura se non addirittura bloccate o sigillate. Queste “vie di fuga”, in caso di necessità, devono essere percorse in brevissimo tempo ed è ovvio che debbano essere lasciate totalmente libere da qualsiasi ingombro. Tanti, purtroppo, sono i casi di gravi incidenti verificatisi o connessi al mancato funzionamento delle vie di uscita da un locale pubblico, spesso con morti e feriti.
Si tratta quasi sempre di grandi locali, discoteche, cinema, teatri, sale da ballo, ecc. La dinamica di tali fatti sembra seguire sempre lo stesso copione: vengono effettuate le indagini previste che dopo pochi giorni cadono nel dimenticatoio e per diversi anni, quanti in effetti ne occorrono per mettere in moto la complessa macchina della burocrazia; poi più nulla. Nessuna condanna, niente colpevoli, pochi o nulli i risarcimenti ai danneggiati, che spesso, purtroppo, non ci sono più…
Restando nel tema delle uscite di emergenza dai locali pubblici, si possono verificare situazioni pericolose anche all'esterno di un grande esercizio: vogliamo citare un caso emblematico, verificabile ancor oggi, di un grande esercizio commerciale sito nel centro storico di Roma. Qui le uscite di emergenza sono a posto e funzionanti, ma abbiamo scoperto, osservando dall'esterno, che davanti alla porta di una uscita di emergenza (peraltro scarsamente indicata come tale) a distanza di uno o due metri staziona una grande bancarella ambulante di mercanzie varie.
è facile immaginare che, in caso di esigenza di deflusso veloce di clienti da effettuare in pochi minuti, le persone si ritroverebbero a ridosso della bancarella stessa, intralciandosi con alto rischio di cadute accidentali. Sapete quante persone entrano in un giorno in un grande magazzino? Mille alle millecinquecento persone, con punte di duemila ed oltre sotto le festività natalizie: ogni commento è superfluo.
Forse si può pensare, tornando all'esempio citato, che la bancarella in questione sia abusiva, e invece scopriamo un ennesimo caso di mala burocrazia: è tutto regolare: il titolare della bancarella (o forse il prestanome di qualche proprietario di catene di ambulanti) ha un regolare permesso, rilasciato dalle autorità competenti e quindi non si può contestare nulla.
D'altra parte sembra che la distanza minima tra uscita di sicurezza ed ostacolo debba essere di 4 metri; a noi sembrano un po' pochi, specie se messi in relazione con l'afflusso della gente. Insomma sarebbe più giusto che le distanze variassero in funzione della ampiezza dell'esercizio commerciale e del numero dei clienti presenti. Un vigile urbano al massimo può verificare se viene rispettata la prevista metratura in concessione all'ambulante, che spesso viene ampliata con l'aggiunta di supporti mobili, che di fatto lo raddoppiano.
Che fare allora? Un consiglio che ci sentiamo di dare in questi ed altri casi è quello di cercare di parlare sempre con un responsabile del grande esercizio, per informarlo “ufficialmente” delle irregolarità riscontrate da noi cittadini: il direttore di un esercizio commerciale è tenuto ad essere sempre identificabile in loco; non vale la solita scusa che “il direttore non c'è; adesso è in riunione; è fuori stanza”, eccetera. Un responsabile al quale ci si può (e ci si deve) rivolgere deve esserci sempre, e deve fornire delle spiegazioni ed assicurazioni convincenti. Bisogna che noi impariamo ad essere un po' “rompiscatole” (unica maniera per ottenere qualcosa oggi), verificando di persona che le assicurazioni fornite rispondano alla realtà; in caso contrario ci si deve rivolgere alle autorità , segnalando o denunciando i fatti.
Parliamo ora degli uffici dotati di computer, le cui norme previste per il loro utilizzo da parte del personale preposto sono poco conosciute e comunque disattese. Ad esempio pochi sanno che per ogni ora continuativa di lavoro al computer, l'addetto deve osservare 15 minuti di intervallo. Anche le sedie ed i tavolini devono essere di tipo idoneo. Siamo riusciti a parlare con un impiegato di un supermercato di Roma, che ci ha confermato che sulle sue otto ore di lavoro giornaliero previste, perlomeno cinque erano davanti al pc e con pochissime interruzioni. E che dire di altre irregolarità, come prese elettriche volanti, prolunghe e cavi a terra e calpestati dagli impiegati? Il motivo è sempre lo stesso: le prese previste sono sempre situate “dall'altra parte”, oppure i tavoli di lavoro si sono dovuti spostare o aggiungere.
In tutti questi casi ci siamo sentiti rispondere che rifare, seppur parzialmente, l'impianto elettrico è sempre costoso, e quindi ci si arrangia come si può. Spese, anche minime, “ fuori dal budget”, come si dice cioè “per mancanza di soldi”.
Dunque la sicurezza è un costo che non tutti si possono permettere, neanche se si tratta di aziende di grande importanza nazionale, magari quotate in Borsa. E le situazioni a rischio non finiscono certo qui. Solo casualmente abbiamo potuto osservare dall'esterno, come viene effettuato lo scarico di un camion dei rifornimenti in un grande magazzino di Roma. Abbiamo notato intanto che i cosiddetti “roll container”, in certi casi erano stipati di prodotti molto pesanti e,quando venivano manovrati a terra, attraverso la sponda mobile del camion comandata elettricamente, avevano grosse difficoltà di spostamento a causa del peso. Abbiamo anche notato che questa manovra avveniva in strada, mentre passavano molte persone: è ovvio che il rischio era evidente sia per i dipendenti del supermercato che per i passanti.
Ma anche la stessa sosta del era perché il mezzo si fermava a ridosso di una curva e le macchine che arrivavano vedevano l'ostacolo solo all'ultimo momento., nonostante la presenza di un cono posto a terra, certo non sufficiente.
Le cose si complicano quando i camion sono più di uno, in fila uno dietro l'altro in attesa di scaricare: in questo caso la visibilità è pressoché nulla ed i rischi per tutti (passanti compresi) sono maggiori. La regolarità della situazione è comunque salva quando si tratta di merce deperibile e lo scarico può essere effettuato in qualsiasi ora della giornata; per le altre merci dovrebbe essere effettuato solo dopo le otto di sera. C'è da precisare naturalmente che nessun dirigente di grandi aziende autorizza mai tali situazioni; in certi casi vengono semplicemente ignorate o non ne sono “ufficialmente” a conoscenza, cosicché la colpa di piccoli incidenti, magari ricade sullo stesso dipendente, che non riesce a lavorare bene se non si “arrangia” come può.
Forse, nonostante le apparenze, anche all'interno di grandi aziende si è poco tutelati sulla sicurezza, se non si viene addirittura boicottati (anche questo è mobbing!). Chi legge potrebbe chiedersi perché in questi grandi esercizi non vengano mai effettuati controlli a sorpresa dai vari enti preposti... In realtà i controlli ci sono ma sono rari e, forse, in qualche caso anche… preavvisati. Rimangono fuori, ovviamente, grandi opere eventualmente non realizzate e difficilmente eludibili, quali ad esempio, idranti e sistemi antincendio, scale interne in ferro, muri o porte tagliafuoco o le stesse uscite di sicurezza, per le quali, in ogni caso, la macchina burocratica delle verifiche successive concede tempo e rimandi.
Concludiamo queste nostre riflessioni con una storia vera, che si potrebbe titolare “quando la sicurezza soccombe alla burocrazia”. Ci hanno raccontato che in un grande magazzino del nord Italia, completamente ristrutturato, un disabile in carrozzella voleva entrare ma non riusciva perché c'era da superare l'unico gradino esistente tra strada e negozio, privo di scivolo. Questo era il solo neo della struttura, a fronte di altre ottemperanze alla legge, quali il bagno per i disabili, scale mobili e pedonali, ascensore con la porta per carrozzella, eccetera. Il cliente si rivolse allora alla direzione dell'esercizio commerciale, ricevendo però solo scuse o assicurazioni generiche che non risolvevano il suo problema. E allora, una volta a settimana, di sabato, egli si presentava puntualmente all'ingresso, chiedendo a gran voce di entrare e rifiutando - giustamente - qualsiasi aiuto da parte del personale del negozio o di volenterosi, pronti ad alzare di peso la sua carrozzella. Sulle prime la direzione cercò di prendere tempo, ma il fatto era diventato un vero “incubo” per il direttore. Alla fine, fu allestita una pedana artigianale per superare il gradino. Vennero però i vigili urbani che la fecero rimuovere perché occupava il suolo pubblico “senza la prevista autorizzazione e senza aver pagato la relativa tassa comunale”.
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