Lucia Latour per coregografie e costumi, Vera Maglioni la danza-organo, Orazio Carpenzano architettura, cromatismi e spazi, David Barittoni musica elettronica dal vivo e luci, Aurelio Cappozzo il MoCap, Flaviano Pizzardi la motion grapfics con l’Istituto universitario di Scienze Motorie in uno spettacolo sperimentale travolgente in tutto.
Fantasmagoria di luci e colori, musica e suoni martellanti, movimenti fluidi e sincopati, quadri e immagini che si spostano in simultanea tra realtà e virtuale su grandi schermi retroilluminati che sovrastano, fluidità e rigore nell’architettura della scena in pulsazione continua, coinvolgimento mozzafiato, tensioni e piaceri a ritmi alternati sul pubblico, anch’esso in scena.
Sensazioni, queste, suscitate da “Sylvatica” la rappresentazione sperimentale di teatro-danza per le coreografie di Lucia Latour che “Altroteatro” porterà a Genova a novembre al Festival della Scienza.
“Sylvatica è ‘scena live’ - spiega Lucia Latour - e si presenta attraverso un groviglio di traiettorie tra i corpi - per - formativi, danza, suono, architettura, motion capture e motion graphichs; si organizza nella sua forma spettacolare con un alto grado di flessibilità e di modificazione interna. I molti corpi di cui è costituito il sistema si dispiegano uno nell'altro e, come in un software di animazione 3D, si utilizza la "cattura" moltiplicata dallo stato reversibile delle percezioni, in una combinazione di materie deformabili e forze fisiche. La coreografia è generatrice della fusione tra tutti gli ambiti creativi coinvolti e si disperde con essi nei reticoli vivi che organizzano l'ambiente intelligente necessario a quello che accade, prima, durante e dopo la forma spettacolare. Sylvatica - conclude la coreografa - vive in un ambiente interattivo che il suo nome informa della disponibilità a mutarsi secondo l'habitat che gli si offre”.
Orazio Carpenzano, riguardo all’architettura propriamente detta, applicata sulla scena di teatro “non differisce dalla pratica architettonica intesa in senso più canonico - afferma spiegando il suo apporto al team che ha creato lo spettacolo - e sulla scena esiste una sorta di ‘campionatura spaziale’ nella quale sono stati posti elementi che hanno ampliato le possibilità di percezione delle relazioni espresse dagli attori” Aggiunge che è molto importante che una coreografa di esperienza come Latour gli affidato un intervento all’interno di uno spazio per la danza con un proprio apporto non preorganizzato, totalmente svincolato da condizionamenti. “Una scelta, questa - dice - che a prima vista potrebbe apparire come un ostacolo alla danza in quanto la tessitura di quello spazio sembrerebbe costituire un pesante ingombro lasciando solo lunghi corridoi; in realtà si tratta di uno spazio composto da teli longitudinali con una sua reversibilità in quanto lo si può smontare e ritessere senza pausa alcuna; questo ‘lavorio’ continuo, di avvolgere, svolgere, innalzare e abbassare i teli, lo effettuano le danzatrici stesse in piena autonomia ma non sul filo della casualità, bensì secondo un programma nel quale la danza ha previsto anche questa relazione con lo spazio. Quando serve spazio, le danzatrici allontanano dalla scena i lembi dei teli che in quel momento potrebbero costituire un elemento di disturbo e li scostano per la loro massima espressione di libertà. Li ricoinvolgono poi in altre scene e, quando sono previsti nastri distesi o arrotolati, le ballerine ci si tuffano, vi vanno sotto, li scavalcano, quasi un gioco di capriole continue e mostrano con queste ‘locomozioni’ una relazione sia materica che energetica”
Quale è il rapporto di questa animazione continua in scena con il teatro greco classico?
“Senza dubbio dico che la metafora continua e non penso che esistano contraddizioni: la vita del corpo umano, quella tra organismi animati e inanimati, tra vivente e non vivente è una vita che, adesso come allora, va continuamente rimescolata perché da entrambe queste due direzioni si può ottenere un contatto straordinario; in Sylvatica il rapporto con il ‘digitale’ è forte perché le danzatrici hanno, distribuiti sul corpo, i cosiddetti ‘marcatori’ che in tandem con le loro telecamere, costituiscono un complesso sistema ottico idoneo alla ‘cattura’ del movimento attraverso i sensori che restituiscono le informazioni alle telecamere che li riprendono; la danza viene ripresa viene catturata e viene immessa in un ambiente che definirei immersivo e che funziona come uno scanner in presa diretta con la realtà, uno scanner cioè che ricostruisce l’immagine catturata su un video e la restituisce digitalizzata; è questo il sistema del Motion Capture e su esso interviene la Motion Graphics, cioè la grafica che comincia a deformare ciò che restituisce renderizzato per la visualizzazione su uno schermo”
La restituzione viene sempre controllata - conclude Carpenzano - in quanto tutto sulla scena deve essere legato a schemi formali con un sistema cosiddetto ‘live’: il tempo, cioè, che si ha per controllare la motion graphics è sempre breve e in esso debbono, ‘circuitare’ alcune impressioni che l’operatore al soft esegue in tempo reale, come se stesse ‘frizionando’ delle luci. Di ciò che avviene di fatto sulla scena poco si può prevedere ma il grado di attenzione del tecnico alla Motion Graphics sui movimenti delle danzatrici deve essere sempre altissimo con una partecipazione appunto diretta e, in tempo reale”.
|