Nel mondo della celiachia, dalle riviste scientifiche di tanto in tanto emergono notizie che suscitano intense aspettative in chi soffre di questo problema alimentare. Considerato il vasto interesse che esiste sul tema (dalle indagini a campione si ipotizza che a oggi potrebbero essere anche 50 mila gli ammalati in Italia, l’uno per cento della popolazione (e sarebbero anche in via di aumento), queste notizie vengono amplificate dalla stampa, come d’altra parte avviene per qualsiasi altro settore della ricerca in medicina.
La divulgazione di massa è certo importante per far conoscere al grande pubblico i molteplici aspetti di possibili novità e cure, ma al contempo può essere anche alquanto fuorviante perché tante, troppe, sono le facili speranze che vengono suscitate dalle notizie dalla ricerca. La rapidità con cui si fanno i giornali, soprattutto i quotidiani, unito al malvezzo di una costante ricerca di titoli ad effetto (e talvolta anche per colpa degli stessi protagonisti delle ricerche che spesso amano anticipare qualsiasi segnale positivo e non), purtroppo, anche in carenza di approfonditi riscontri scientifici, i lettori cadono in interpretazioni del tutto illusorie. Non sempre, infatti, la gente comune viene messa in guardia che un conto è la divulgazione dei risultati di una ricerca, e altra cosa è la sua eventuale applicazione pratica. Pur nella loro assoluta serietà, tutte le novità scientifiche necessitano sempre, e assolutamente, dei necessari tempi di verifica con riscontri e sperimentazioni che richiedono anche anni di studi.
Nel nostro Osservatorio sulla salute, cercheremo quindi di presentare le notizie che ci sembrano interessanti, ma eviteremo approfondimenti che non ci competono e, per quanto possibile, le lasceremo nella loro stesura originaria con reale intento divulgativo e non sensazionalistico. Ne specificheremo le fonti e non sottintenderemo mai che si possa essere arrivati a una qualsiasi ‘svolta’, magari determinante nella cura di tante malattie. I temi nella medicina sono immensi e, per iniziare, partiamo proprio dalla celiachia. Con l’occasione, ricordiamo ai lettori che, per averne una informazione valida e aggiornata, la cosa migliore è interpellare direttamente l’Associazione Italiana Celiachia (www.celiachia.it) che, al di là del suo taglio scientifico, è da anni impegnata nel sensibilizzare e aiutare i pazienti per un rigoroso rispetto della dieta. I riferimenti per l’ AIC, che è nazionale ed è strutturata per Regioni, si trovano su internet (www. celiachia.it) oppure telefonici alla Segreteria nazionale (tel. e fax 050 580939). La sede è in via Picotti, 22 - 56100 Pisa.
Alle decine di migliaia di persone che vi fanno riferimento, l’Aic, forte del rigore del suo Comitato scientifico fra cui anche il dottor Carlo Catassi (Istituto di Clinica Pediatrica dell’ospedale di Ancona) di cui pubblichiamo questo mese una breve intervista, fornisce in tempi giusti a chiunque notizie meditate con oculatezza e, soprattutto, mai caricate da sbandieramenti sensazionali.
Tre proteine da bersagliare per non rinunciare a pasta e pane
(da Silvia Fabiole Nicoletto su Milano Finanza, rubrica “Personal”)
Due nuovi studi aggiungono dati molto interessanti sulla patogenesi della celiachia: alimenti a base di frumento, segale e orzo sono assolutamente banditi dalle persone affetta da celiachia. Il componente incriminato è il glutine, termine generico con il quale si indica una serie di proteine contenute in questi cereali. Ad alimentare le speranze di chi convive con questo fastidioso disturbo ci sono numerose ricerche volte a comprendere più a fondo i meccanismi della celiachia in modo da fornire le basi per approcci nuovi.
A questo proposito, i risultati di due studi separati pubblicati sulla rivista Immunity aggiungono dettagli interessanti sulla patogenesi della malattia. Le cause della celiachia sono infatti ancora oscure anche se è consolidata l’ipotesi che si tratti di una malattia autoimmune e che esista una componente genetica che predispone in buona misura al suo sviluppo. In altre parole il glutine fa scattare una risposta anomala da parte del sistema immunitario che, quasi impazzito, va ad attaccare il rivestimento dell’intestino tenue. Quest’ultimo è di norma organizzato in strutture, dette villi, che aumentano la superficie u cui avvengono l’assorbimento o la digestione dei cibi. L’esposizione al glutine nelle persone malate, distrugge queste strutture e impedisce una digestione completa.
Un primo passo nella ricerca è stata l’individuazione di due “attori” coinvolti nella risposta ‘autoimmune’: i linfociti T e la gliadina, una proteina del glutine. Quest’ultima agisce come un antigene, ovvero come una qualsiasi sostanza estranea all’organismo in grado di innescare una risposta immediata protettiva da parte dei linfociti; riconosciuta in un contesto di pericolo, la gliadina viene erroneamente percepita come una minaccia del sistema immunitario. I due studi recenti mettono in luce ciò che accade da questo punto in poi, quando il tessuto intestinale viene bersagliato. In un primo studio, realizzato presso l’università di Chicago, i ricercatori hanno rintracciato quella che potrebbe diventare una molecola chiave verso cui indirizzare nuove terapie farmacologiche: si tratta di una proteina espressa sulla superficie delle cellule T, chiamata NKG2D. Nei pazienti celiaci la molecola è attivata e la sua presenza sembra essere correlata con il danneggiamento del tessuto intestinale . Il secondo studio, realizzato presso l’Hopitel Necker-Enfants Malades di Parigi aggiunge un ulteriore tassello dimostrando che esiste un’altra proteina MICA che interagisce con NKG2D, ed è presente in quantità elevate nelle cellule che rivestono l’intestino dei pazienti celiaci ed è stimolata dalla gliadina. La conclusione è che esisterebbe un preciso programma molecolare alla base della distruzione dei villi intestinali nei pazienti celiaci, che coinvolgerebbe almeno tre proteine: gliadina, MICA e MKG2D. Tre nuovi possibili bersagli che potrebbero rivoluzionare l’approccio di una malattia per la quale la soluzione, a oggi, è quella di una dieta assai drastica.
Una ‘pillola’ per la cura della celiachia
(da Clic Medicina - Ufficio stampa Aic)
Meno entusiasmi, la strada è ancora lunga. Questo il monito per alcune recenti scoperte sulle proteine colpevoli della tossicità del glutine che hanno acceso grandi speranze sulla possibilità di disporre in tempi brevi di una “pillola” anti-celiachia, grazie all’enzima di un batterio. I ricercatori dell’AIC, Associazione italiana celiachia, invitano però a frenare gli entusiasmi: “è un traguardo importantissimo per la ricerca, ma la strada è ancora lunga”
Un articolo pubblicato sulla rivista Science ha riportato i risultati di una ricerca sulle “Basi strutturali dell’intolleranza al glutine nella celiachia”, realizzata da un gruppo di ricercatori delle Università Stanford della California e di Oslo. La ricerca ha individuato un peptide (cioè un “pezzo” della gliadina, una delle proteine responsabili della tossicità del glutine) che potrebbe essere una delle cause primarie della celiachia. Quindi è stata messa a punto una terapia basata su un enzima batterico, da integrare alla dieta, in grado di distruggere il peptide.
Per giungere a questo risultato i ricercatori statunitensi hanno isolato i composti proteici del glutine del grano per valutare la loro reattività con le cellule immunitarie in soggetti intolleranti. In questo modo hanno identificato un peptide di 33 aminoacidi, della famiglia delle gliadine. Hanno verificato la resistenza di questo peptide, che non viene distrutto né dall’acidità gastrica né dagli enzimi digestivi dell’uomo. Quindi hanno fatto interagire il peptide con l’enzima prolil-endopeptidase, osservando che esso era in grado di distruggere la molecola.
I risultati di questa ricerca hanno acceso grandi speranze sulla possibilità di disporre in breve tempo di una “pillola” anti-celiachia, grazie anche alla scoperta di un batterio capace di “digerire” il glutine.
La notizia ha avuto ampia risonanza ma va valutata con cautela perché, come ha sottolineato il dottor Catassi, rilevandone l’aspetto interessante in relazione al fatto che questo ‘frammento’ della gliadina, detto ‘33 mero’ perché costituito da 33 aminoacidi, non viene digerito dagli enzimi dello stomaco, del pancreas e dell’intestino, scatenando una serie di reazioni che determinano l’intolleranza al glutine. Catassi ha aggiunto che i ricercatori hanno inoltre scoperto che esiste un enzima di origine batterica, la prolil-endopeptidasi, capace di frantumare il ‘33 mero’. Questo lascerebbe intravedere la possibilità di annullare la tossicità del glutine, semplicemente somministrando al celiaco la ‘pillola’ contenente l’enzima in grado di digerire questo frammento.
La notizia ha avuto un’ampia risonanza nella stampa non specialistica, ma l’AIC ha fatto presente che servono ulteriori dati (con studi in vitro e possibilmente clinici data la mancanza di un modello animale) per valutare le reali possibilità di applicazione di questa importante scoperta.
Il dottor Catassi ha anche aggiunto che il glutine è una molecola complessa per cui occorrerà stabilire se il 33-mero è l’unico peptide ‘indigesto’ o se ne esistono altri nelle diverse proteine che la compongono. In attesa che la scienza raggiunga nuovi risultati, la sola cura della celiachia resta per ora la dieta totalmente priva di glutine, l’unica in grado di garantire ai celiaci un perfetto stato di salute.
I bambini nati in estate presentano un aumento
del rischio di malattia celiaca
Lo studio, eseguito dal Department of Public Health and Clinical Medicine dell'Umea University in Svezia, ha analizzato la possibile relazione tra rischio di malattia celiaca e mese di nascita. Sono stati esaminati 2.151 bambini a cui era stata diagnosticata la celiachia.
Il rischio di malattia celiaca è risultato significativamente maggiore in coloro che sono nati nel periodo estivo rispetto a coloro che sono nati in inverno, ma solo nei bambini al di sotto dei 2 anni di età al momento della diagnosi. L'incidenza è risultata più alta nelle ragazze che non nei ragazzi, ma i ragazzi hanno mostrato una più pronunciata variazione stagionale del rischio rispetto alle ragazze.
Secondo gli Autori l'aumentato rischio di malattia celiaca nei bambini nati in estate riflette l'esposizione ambientale casuale con un pattern stagionale. ( Xagena2003 )
Ivarsoon A et al, J Epidemiol Community Health 2003
Veronesi, meno mortalità in Europa per tumore seno
“La mortalità per tumori del seno in Europa è in diminuzione costante, iniziata negli anni novanta, continua a diminuire'”. Lo ha detto il professor Umberto Veronesi, direttore scientifico dell'Istituto Europeo di oncologia, intervenendo al convegno internazionale sull'oncologia senologica che si è tenuto all'Università Cattolica di Campobasso.
“Abbiamo ragionevoli riflessioni per considerare questa curva come una curva che continuerà imperterrita - ha spiegato Veronesi - in questa sua discesa. Questo è l'esempio di una grande rivoluzione che apparentemente poteva sembrare addirittura a rischio per i malati: ricordo quando la chirurgia conservativa veniva accusata di far correre dei rischi in più alle pazienti. Considerando invece l'effetto benefico sulla motivazionalità femminile alla diagnosi precoce sta portando risultati buoni'”.
Veronesi ha infine sottolineato l'importanza delle ricerche che sono state fatte in questi anni. “è il risultato - ha detto - di un grande spazio educativo, informativo e di stimolo che è stato possibile fare perché oggi possiamo garantire alla paziente che arriva con un tumore iniziale una qualità di vita molto migliore rispetto al passato'”.
Cancro, una sola boccata di fumo danneggia il DNA
Una nuova allarmante scoperta sui pericoli del fumo di sigaretta: anche una sola boccata - ha scoperto uno studio dell'università di Pittsburgh - ha mostrato di danneggiare il Dna di cellule umane esposte in provetta alla nicotina.
Ovviamente - mettono le mani avanti gli studiosi nel rapporto presentato ad un meeting scientifico dell' 'Enviromental mutagens society' - prima che le sigarette arrivino a causare malattie come il cancro ci vuole bene di più. Ma la scoperta di quanto poco fumo basti per avviare la reazione la catena di danni genetici è stata inaspettata.
Gli scienziati hanno esposto cellule fibroblaste - tra le più comuni del corpo umano - a fumo di sigaretta liquefatto ed hanno osservato che i cromosomi con al loro interno il Dna iniziavano a rompersi. “Questo tipo di rottura alle doppie fila di Dna viene considerata la più' pericolosa - ha detto l'autore della ricerca William Saunders - perché le estremità' 'separate' innaturalmente sono così libere di fondersi con altri cromosomi nelle cellule”. (fonte: Ansa 05/10/2004)
USA, da staminali speranze per i ciechi
Scienziati americani hanno ottenuto cellule della retina da cellule staminali mettendo a punto una scoperta che potrebbe portare al primo uso terapeutico della controversa procedura. Se gli studi animali si riveleranno promettenti, i ricercatori potrebbero cominciare a mettere alla prova le nuove cellule su occhi umani di qui a due anni.
Lo studio di scienziati della società Advanced Cell Technology, della Wake Forest University School of Medicine e dell'Università di Chicago è stato pubblicato sull'ultimo numero della rivista Cloning and Stem Cells. Ricerche precedenti sulla sostituzione di cellule della retina si erano rivelati promettenti solo per arginare ulteriori danni: le cellule di retina derivate dalle staminali potrebbero invece riuscire nel miracolo di ridare la vista ai ciechi, hanno sostenuto gli autori dello studio. “Siamo in una posizione non solo di mantenere la vista ed evitare ulteriori perdite ma queste cellule sembrano voler formare l'intero occhio'”, ha detto Robert Lanza, che ha firmato lo studio su Cloning and Stem Cells.
Le cellule potrebbero anche contribuire a curare individui con la degenerazione della macula, una malattia progressiva che colpisce oltre 30 milioni di persone all'anno ed è considerata la maggior causa di cecità negli Usa per gli ultrasessantenni.
(fonte: Ansa 26/09/2004)
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