Emilio Orlando, fotoreporter de “Il Tempo” che da anni lavora sulla
cronaca, racconta le fasi concitate del suo scoop sulla cattura di Liboni che ha fotografato sulla barella dopo il conflitto a fuoco con i carabinieri.
Grande istinto, prontezza di riflessi, e certo la destrezza unita all’esperienza nella ‘nera’ - come svela con grande semplicità - gli hanno consentito di realizzare per il quotidiano romano l’esclusiva che ha fatto il giro del mondo.
"Non so davvero come, ma certo d'istinto, sono riuscito a intrufolarmi fra carabinieri, poliziotti, guardie di finanza, vigili urbani e una folla di cittadini. Acclamazioni e urla ovunque. Scovato un varco tra questa piccola folla, sono riuscito a infilarvi la mia macchina fotografica che per fortuna era già pronta all'uso per un servizio che stavo facendo una decina di minuti prima.
La tensione era al massimo, capivo l'importanza del momento ma non avevo la possibilità di inquadrare la scena al meglio. Liboni era lì, steso a terra, ammanettato e ancora scalciava. Frazioni di secondo, qualcuno mi strattonava all'indietro, non potevo usare il mirino e allora, a occhio con il grandangolo a distanza ravvicinata, il braccio e la macchina fotografica ben salda in pugno, uno, due, tre, quattro scatti su Liboni che, pur con le manette che gli aveva messo un'agente di una volante della polizia, si dibatteva a scatti convulsi mentre veniva messo in barella dagli infermieri e poi, ancora di più, mentre veniva issato sull'ambulanza. Non ho fatto a tempo a vedere la chiusura degli sportelloni con gli infermieri perché qualcuno, non so chi, mi ha preso per il giubbotto e mi ha strattonato all'indietro.... Sono finito a terra mentre l'ambulanza a sirene spiegate si allontanava verso l'ospedale di San Giovanni ...”
Emilio Orlando, 29 anni, fotogiornalista de “Il Tempo”, grande quotidiano della Capitale, è impegnato da diversi anni su servizi di cronaca e sul sociale, foto e testi. In questo servizio ricoda i convulsi momenti di quella tragica mattina del 31 luglio che aveva iniziato in maniera del tutto tranquilla, forse anche sonnacchiosa..
“... Erano circa le 11 e mi trovavo in via Marmorata all'ufficio postale della Piramide per un servizio di routine su una pattuglia di carabinieri motociclisti, al comando del capitano Pietro Di Miccoli, per la sorveglianza sulle operazioni di consegna delle pensioni. Era infatti la fine del mese, giorno di riscossione.
Stavo per iniziare quando il capo pattuglia, il Capitano Pietro Di Miccoli, con il quale qualche minuto prima ero andato a prendere un caffè al bar della Piazza, riceve via radio una chiamata urgente di cui ovviamente non sono riuscito ad ascoltare alcun particolare. Dall'espressione del viso dell'ufficiale ho però capito che si doveva trattare di qualche cosa di importante
Di Miccoli e il suo collega motociclista impiegano solo qualche secondo per staccarsi dal servizio cui erano comandati, inforcano le moto e schizzano a sirene spiegate su viale Aventino in direzione della Fao. Non avevo capito cosa fosse successo, non pensavo davvero alla cattura di Liboni e l'unica cosa che mi rimaneva da fare era di tentare di seguirli. Il vantaggio che la pattuglia a sirene spiegate aveva su di me era però incolmabile e non potevo fare altro che andare nella loro stessa direzione sperando in un qualche segnale che mi consentisse di capirne di più. Ovviamente anche io ero in motocicletta”.
“Arrivato in piazza Armenia, in fondo al vialone, vidi un assembramento incredibile di auto e moto di tutte le forze dell'ordine e tante, tante, auto civetta: il coordinamento tra le varie sale operative li aveva spostati tutti al Circo Massimo, proprio davanti alla Fao. Attorno al nugolo dei militari, tanti cittadini, tenuti faticosamente a distanza. La gente urlava di gioia, 'bravi, bravissimi, fantastici, lo avete finalmente preso...’ , e gli applausi erano scroscianti”.
“Posata la moto poco distante, corsi a perdifiato verso quella piccola folla con la macchina fotografica in mano: nessuno mi aveva detto nulla, ma avevo capito che lì, dietro a quel muro di uniformi, doveva esserci proprio Liboni. La fortuna ha voluto che assieme a me è arrivata l'ambulanza chiamata dalla sala operativa dei carabinieri. Tutti mi respingevano e, di sicuro, spintoni all'indietro ne ho avuti tanti, qualche sganassone forse, non saprei dire né come né da chi, forse da qualche passante eccitato che voleva vedere la scena. Alla fine, ero abbastanza livido”.
“Nonostante questa lotta impari, intrufolandomi nel corridoio che si apriva per infermieri e barella, e sfruttando appunto il mio istinto sulla 'nera', sono riuscito in qualche maniera a fare il servizio, ma poi... anche a finire lungo per terra. Con la partenza dell'ambulanza la tensione svanisce d'un colpo. Gli uomini delle forze dell'ordine si abbracciano l'un l'altro, le divise non esistono assolutamente, sono uomini raggianti che hanno frantumato un incubo che pesava sulla città da ben nove giorni. Qualcuno pensò pure a me e tanti, tanti amici, fra polizia e carabinieri, si sono anche 'preoccupati' per sapere come stessi: prima ero un nemico da cacciare, ora quasi quasi mi abbracciavano pure, mi assistevano, volevano sapere se ero arrivato a tempo a fare qualche foto”.
“Macchè, dissi prontamente, imprecando contro tutto e contro tutti.... ma che male vi avrei fatto se mi aveste lasciato almeno uno spiraglio per fare qualche fotografia... Mi sono poi voltato e, passatemi il termine, smadonnando, me la sono discretamente 'squagliata' maledicendo la sorte e i tanti 'cari amici' che avevo tra le forze dell'ordine. Tutto ciò prima che arrivasse il magistrato di turno, il quale, inopinatamente, avrebbe magari potuto pensare di domandare in giro, o anche proprio a me, se avessi fatto qualche foto... O, peggio, se mi avesse, diciamo, 'richiesto', di vedere al monitor della macchina digitale cosa avevo ripreso... Nella mia testa un solo obiettivo, allontanarmi, o meglio, fuggire, quanto prima possibile per arrivare al giornale con la mia esclusiva dove, a quel punto, nessuno avrebbe più potuto, sia pur temporaneamente, bloccare il servizio. Magari in omaggio al reperimento di documentazione relativa a un fatto di sangue (come spesso avviene...)
La mattina successiva, con la prima pagina de ‘Il Tempo’ spiegata su tutta Roma, ho ghignato pensando allo sbigottimento di chi aveva tentato di bloccarmi...”
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