Ritrovare, per un caso fortuito o dopo lunga ricerca, un vecchio film, significa trovarsi di fronte due storie: quella dei personaggi che prendono vita nei fotogrammi e quella, più intima e misteriosa, della pellicola stessa, con i suoi segreti, i suoi tanti silenziosi
rimproveri, le sue pretese.
Un film muto non è semplicemente un film: è la storia nella storia, un mondo silenzioso che si racconta a quanti sappiano leggerne i mille preziosi indizi, a quanti sappiano decifrare i particolari incastonati in ogni fotogramma, come un semplice sasso che si rivela al geologo esperto, o un albero che racconta al botanico i secoli segnati nelle sue venature. Recuperare un vecchia pellicola in qualche angolo di magazzino o, più semplicemente, una pellicola ‘di famiglia’ in una vecchia soffitta, è come aprire un libro con la storia del luogo in cui questa pellicola ha passato le decine di anni intercorsi tra l’ultima proiezione. Oppure è anche la storia delle sostanze di cui si compone la pellicola stessa, dei sali d’argento che ne costituiscono l’emulsione, del supporto che ha resistito come ha potuto in condizioni ambientali inadeguate, persino del contenitore che la ha custodita proteggendola dall’umidità, dal caldo, dall’indifferenza di chi non ne ha saputo riconoscere il valore. Al collezionista, al ricercatore, un film muto si racconta attraverso un alfabeto di segni e tracce, un misterioso universo che si dispiega per chi sa decifrarlo: così si parlano, film e appassionato, usando la comune lingua della pazienza, dello scorrere lento la pellicola, fotogramma per fotogramma, delle didascalie, delle perforazioni, dei terribili segni lasciati dal tempo. La febbre del nitrato non è un’irrazionale passione: la copia non può comunicare come l’originale, le perforazioni, l’interlinea, le diciture ai lati, non vengono mantenute, così la lingua segreta sparisce, e con essa la magia del rapporto col film. L’incanto sembra svanire, perché senza nitrato non si avrà mai la stessa purezza, la nitidezza dell’immagine, la trasparenza e spesso nemmeno il colore: nel suo supporto originale il film nasce perfetto, con la sua struttura, la sua luce, esattamente come una poesia che vive della propria metrica e della scelta accurata di ogni parola. Paolo Cherchi Usai, docente di cinema muto alla University Rochester e autore di uno dei più autorevoli saggi sul cinema muto, racconta con una esemplare situazione lo scoramento del ricercatore che visiona una delle copie in bianco e nero di David W. Griffith dal titolo The Lonedale Operator (1911). Nel film, la protagonista, Blanche Sweet, volendo sfuggire a un bandito, conta sulla complicità di una notte che verrà creata colorando di blu alcuni fotogrammi e quindi brandisce fiduciosa una chiave inglese spacciandola per un fucile. La copia in bianco e nero svela il trucco: non resta che guardare una scena improbabile in cui Blanche Sweet, ignara di un futuro senza nitrato, si difende con una chiave inglese che pretende di far passare per un’arma da fuoco. L’indiscutibile malìa del nitrato porta però con se una condanna: dall’istante in cui nasce la pellicola inizia il suo processo di decadimento. È un’agonia lenta e inesorabile, che le migliori condizioni di conservazione riescono solo a rallentare: tutti i film in nitrato di cellulosa non possono vivere più di cento anni, e sono proiettabili un numero limitato di volte. Davide Pozzi, responsabile dei restauri della Cineteca del Comune di Bologna, che è ormai una presenza fissa a Venezia e Cannes con i suoi film restaurati, spiega: "il 1951 può essere considerato uno spartiacque per quanto concerne la sicurezza, poiché da quell’anno è vietato fare copie in positivo in nitrato e proiettarlo. Naturalmente il periodo di transizione dal nitrato all’acetato si protrae per tutti gli anni ‘50, dunque la prima regola a cui attenersi in caso di ritrovamento fortuito di un vecchio film è verificare la natura del supporto: il film in nitrato si riconosce semplicemente dalla scritta ‘nitrate film’ sul bordo della pellicola, mentre i film su basi meno instabili recano la scritta ‘safety film’, film di sicurezza appunto. Molti ricevono questi film in eredità, oppure li trovano in vecchie soffitte o cantine, e sono felici che qualcuno nelle cineteche se ne occupi. In Italia, diversamente che in Francia, non esiste una legge che obblighi al deposito, sebbene sia solo in una cineteca che il film ha la possibilità di vivere più a lungo e di essere eventualmente restaurato, fatta eccezione per quei collezionisti che conoscono le condizioni necessarie per la conservazione del nitrato e sanno riconoscere lo stato di salute di un film. Chi invece per ragioni sue personali non vuole separarsene dovrebbe almeno conoscere le esigenze di questo supporto e i rischi che corre tenendolo in luoghi non adatti. Le cineteche hanno un sistema di conservazione a bassa temperatura, per il film vengono create le condizioni ideali di umidità e ventilazione. Nella nostra cineteca poi, il deposito è gratuito, in qualunque momento il proprietario della copia, perché di proprietà della copia si tratta, e non dell’opera dell’ingegno, può riprendersela. Naturalmente in caso decidessimo di restaurare la pellicola, il nome del proprietario viene citato".
È solo seguendo le fasi della decomposizione di un film che diventa davvero comprensibile l’accanimento di chi si impegna per salvaguardare questo patrimonio: la pellicola in decomposizione sviluppa gas, in particolar modo anidride nitrosa, che si combina con l’acqua contenuta nella gelatina formando così acido nitrico e acido nitroso, che corrodono i sali d’argento di cui è costituita l’emulsione. Inizialmente la pellicola si restringe causando un avvicinamento delle perforazioni che impedisce la proiezione del film, poi l’immagine si dissolve e la base assume una colorazione brunastra, l’emulsione diventa appiccicosa, la superficie dei rulli si ricopre di eruzioni scure e molli che si propagano fino a trasformare il film in un blocco incrostato e indistinto di materia marrone. È difficile persino per chi non si ritiene un appassionato rimanere indifferente di fronte a una simile descrizione. Può anche avvenire, in stato di decomposizione avanzata, che del film resti solo una poltiglia bianca, o addirittura solamente polvere: svanisce così un piccolo universo che qualcuno, magari ai primi del secolo, aveva voluto raccontare scegliendo come mezzo di comunicazione il cinema con le sue vecchie pellicole instabili. Il nitrato, suscettibile e nobile protagonista di un’epoca, non può dunque aspettare, è un primo attore dal carattere infiammabile, che pretende cure e dedizione: una pellicola in perfette condizioni brucia alla temperatura di 170 gradi centigradi, ma ne sono sufficienti 41 perché una pellicola in decomposizione conservata in maniera inadeguata prenda fuoco. Quando il nitrato è raccolto in notevole quantità può esplodere, e diventa impossibile spegnere le fiamme perché sviluppando ossigeno alimenta l’incendio, anche in presenza di acqua, o acido carbonico o sabbia. Per questo esiste una legge secondo la quale il nitrato deve essere conservato fuori dai centri abitati. Le condizioni ideali di conservazione, secondo quanto consigliato dalla Fédération Internationale des Archives du Film (FIAF) sono una temperatura mantenuta tra i 2 e i 4 gradi, un’umidità che si mantenga tra il 40 e il 60 per cento e locali ventilati. L’ideale sono grandi celle frigorifere e contenitori di alluminio dotati di fori che consentano l’uscita dei gas prodotti dal nitrato. Questo tipo di pellicola richiede una serie di imprescindibili misure precauzionali, tanto che, rientrando tra le sostanze ritenute infiammabili, anche per quanto riguarda una semplice spedizione la complessità delle norme di sicurezza è tale da rendere ormai indispensabile rivolgersi a corrieri specializzati in trasporto di materiali pericolosi, in grado di occuparsi dell’imballaggio a norma e della spedizione stessa.
Dire che la metà dei film girati prima del 1950 è già andata perduta non è sufficiente a comprendere quale spreco di emozioni ciò rappresenti, non ci avvicina alle difficoltà, alla corsa contro il tempo che quotidianamente i restauratori nelle cineteche affrontano per salvare e tramandare alle generazioni future un patrimonio irripetibile. Esiste un nome che può farci comprendere la gravità del fenomeno e il valore di una lotta contro l’ineluttabile destino del nitrato: Charlie Chaplin. La famiglia Chaplin si è rivolta alla Cineteca del Comune di Bologna per il restauro delle sue prime pellicole.
La decomposizione del nitrato non risparmia neppure la libertà di Charlot, anche la pellicola trasparente e infiammabile che ospita la sua gentile levità rischia di trasformarsi in una poltiglia che non può raccontarci più nulla. Forse affidare alle parole di Fellini la descrizione di ciò che perderemmo senza l’opera paziente dei restauratori, è il modo migliore di ringraziarli e riconoscerne il lavoro: ‘questo piccolo amico, che arrivava con i suoi film sotto le feste di Natale, era come un dono: era come la bicicletta, il primo libro di Pinocchio, l’albero di natale “tutti avremmo voluto essere come lui: vagabondare per il mondo con quella curiosità mai delusa, quella grazia, quella leggerezza, quella libertà di un gatto”.
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