Migliaia di persone di ogni età, di ogni nazionalità, di ogni ceto sociale, di ogni fede, cattolici e cristiani, musulmani e indù, ebrei e buddisti, atei e animisti, bianchi, neri e gialli, hanno accompagnato la malattia del Papa. Migliaia ne hanno seguito con trepidazione l’agonia. Dal momento in cui ha esalato l’ultimo respiro, alle 21,37 di sabato 2 aprile, milioni di uomini, donne, vecchi e giovani, si sono messi in cammino da ogni angolo della Terra, dall’Italia e dall’Europa, dalle Americhe e dall’Australia, dall’Africa e dall’Asia per rendere omaggio alle sue spoglie mortali.
Per il Pontefice che per quasi 27 anni ha accompagnato il cammino dell’umanità sotto ogni latitudine e ogni regime sociale, politico, economico, difendendola dalle persecuzioni, dai soprusi, dalle ingiustizie, dalle discriminazioni, la gente ha pianto. è corsa per dimostrargli ancora una volta affetto e pietà. Si è messa in fila per ore. Un pellegrinaggio ininterrotto da lunedì scorso, quando la salma, deposta sul feretro e rivestita dei sacri paramenti, ha percorso sulle spalle dei sediari quella piazza San Pietro dove le moltitudini si erano sentite un cuor solo e un’anima sola, dove erano scoppiate in applausi scroscianti, dove avevano scandito il suo nome, atteso che comparisse alla Loggia centrale o alla finestra; dove avevano sentito con orrore, nel 1981, lo scoppio dei due colpi di pistola sparati da Alì Agca, e visto l’ ‘Uomo vestito di bianco’ piegarsi in due, quasi morto, salvato solo dal miracolo, come si saprà dopo. Pochi secondi, per non negare a nessuno di mandare un bacio, sussurrare ‘ciao’, ‘buon viaggio’, ‘arrivederci’. Sono i suoi fedeli. E quelli che magari non credono alla Chiesa, o ai vescovi, erano in ogni caso suoi amici.
Ed ecco i potenti della Terra accorrere al rito funebre. Duecento capi di Stato e di governo che mai nessun summit, nessuna convention vedrà riuniti insieme. Ci sono il presidente degli Stati Uniti, George W. Bush, insieme a Bush senior, a Bill Clinton e la moglie Hillary, uomini dello Stato più potente sulla Terra, i capi di Nazioni amiche come il francese Chirac, lo spagnolo Zapatero, il britannico Tony Blair con moglie cattolica (e forse cattolico anch’egli). Ma ci sono anche Fidel Castro, il leader maximo incontrato in quella Cuba avamposto del comunismo nel Continente latino-americano, ma anche teatro di fame e di persecuzioni. C’è il principe Carlo d’Inghilterra che ha spostato il suo matrimonio al giorno successivo per non mancare all’appuntamento. E poi ci sono gli indiani, gli egiziani, gli svedesi. E soprattutto i rappresentanti dei popoli dell’Est europeo, rinati alla libertà anche grazie alla dirompente azione di Giovanni Paolo II. A cominciare, naturalmente, dai polacchi, il suo popolo.
Ad una morte avvenuta non ad onde corte, ma a risonanza cosmica, ha fatto riscontro un dolore planetario, ora partecipato con sincerità dalla gente comune e forse con diplomazia dai potenti. Roma ha raccolto il cordoglio universale, il dolore profondo, il vuoto desolante lasciato dalla scomparsa di un padre amato e che amava i suoi figli. Tale è stato quel Giovanni Paolo, il nome scandito dai giovani, dai ‘Papa boys’ che hanno passato le notti sulla piazza, con gli sguardi rivolti alle finestre del palazzo apostolico. «Vi ho chiamato e siete venuti. E io vi ringrazio», ha detto il Papa sul letto di morte. E loro piangevano, pregavano, cantavano.
Una manifestazione simile non si era mai vista. Già la gente si era riversata al Policlinico Gemelli nei giorni della malattia. Ne aveva seguito il calvario. Si era attestata sotto le finestre del settimo piano dell’ospedale, cantando e pregando. Durante la Via Crucis al Colosseo pensava a lui confinato davanti al televisore. A Pasqua non c’è stato il suo messaggio, il suo augurio in centinaia di lingue. Poi l’afonia totale, l’introduzione del sondino gastrico. E l’ultimo saluto, mercoledì 30 marzo. Dodici minuti alla finestra. Non se ne voleva andare. Era il suo addio, l’ultima volta che la mano tremante si alzava a benedire.
Roma è stata letteralmente invasa. Sospesi gli scioperi proclamati nei trasporti, chiuse le scuole, sono state rinforzate le linee urbane, tracciati itinerari preferenziali, allestite navette gratis dai punti di sosta di autobus, dagli aeroporti e dalle stazioni dei treni. Le diocesi sono state invitate a scaglionare le partenze.
La fila per l’omaggio al feretro in San Pietro aveva la ‘coda’ fino a Castel S. Angelo. Una mesta processione a piccoli passi, cinque, dieci, quindici ore per varcare la Porta Santa e sciogliersi ancora una volta in lacrime davanti alla salma del Papa. Sull’incolumità della folla hanno vigilato le forze dell’ordine, mobilitate a migliaia. Sulle esigenze, migliaia di volontari e di sanitari: 160 ambulanze, duemila medici e altrettanti infermieri. Il giorno del funerale, per la sicurezza delle personalità nei trasferimenti e nella piazza, uomini e tecnologie, elicotteri e perfino, da lontano, una batteria di missili Spad per il controllo dello spazio aereo, una sorta di scudo sul Vaticano. Per quanto il terrorismo possa essere perverso, nulla ha voluto squarciare il velo di pietà e di dolore per una ‘campione della Pace’, come Giovanni Paolo II è stato nei suoi 27 anni di Pontificato
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