"La metà orientale del nostro schizofrenico globo ne esalta entusiasticamente i meriti, la metà occidentale si mostra perplessa e cinica": queste le parole di Stephen Fulder, un farmacologo inglese aperto e determinato, a proposito del misterioso elisir di lunga vita: il ginseng. A 30 anni di distanza dalle sue prime ricerche condotte in laboratorio, il ginseng continua a far parlare.
Sono molte le leggende che in tutti i territori dell'Oriente raccontano la scoperta del ginseng da parte degli uomini. La piú suggestiva é quella nata nella provincia dello Shensei, nel villaggio Shantang, in Cina. In questo villaggio gli abitanti vivevano ormai da tempo notti da incubo, trascorrevano le ore del riposo insonni e spaventati a causa di sinistri lamenti che si levavano alti e incessanti fino all'alba. Tutti gli abitanti di Shantang decisero di organizzarsi e partire insieme per provare, unendo le forze, a svelare finalmente il mistero.
Raggiunta la fonte di quei lamenti, ne scoprirono la natura: era un l'arbusto ad emettere quei gemiti strazianti. Immediatamente decisero di estirparlo per porre fine al tormento loro e a quello dell'incredibile pianta, ma nel portare a compimento qiesto proposito, se ne ritrovarono tra le mani la radice, e capirono di avere valutato male la situazione: quella radice non soltanto aveva le sembianze di un essere umano, ma era lei a gemere e gridare a piú non posso. Il saggio e antico popolo d'oriente, evidentemente avvezzo ai misteri, comprese subito che la radice magica si era comportata così per farsi trovare: aveva gridato e singhiozzato nelle notti silenziose per attirare l'attenzione degli uomini. La chiamarono jen-sheng, "spirito radice in forma di uomo." Era il ginseng. Per questa preziosa radice, che cresceva allo stato selvatico, vi sono state guerre, gli imperatori condannavano a morte chiunque osasse raccoglierla senza autorizzazione, i poveri cercatori di ginseng venivano spesso assaliti e uccisi dai banditi; una vecchia radice di ottima qualitá supera di molto il valore del suo peso in oro, e arriva a valere 250 volte il suo peso in argento. In tempi piú recenti, negli anni '80, si é saputo di un farmacista cinese a New York che, per una sola radice di qualitá superiore, era disposto a pagare 10.000 dollari, mentre a Mosca ne esposero una del valore di 25 000 dollari. La sorprendente "radice uomo" stupisce proprio per il suo aspetto commovente, che davvero ricorda un essere umano:la separazione delle gambe dal tronco, e quella delle braccia, lungo i fianchi, il collo, l'assottigliamento di un'stremità, e la piccola testa rotondeggiante, con filamenti che richiamano proprio una ciocca di capelli. Gli ideogrammi che ne compongono il nome, jen e shen, pur dispiengandosi in una moltitudine di letture, di fatto possono essere tradotti con un'immagine molto suggestiva: "cristallizzazione dell'essenza della terra in forma di uomo." Marco Polo cita questa pianta lodandone le virtú, e nel corso dei secoli, sotto le piú immaginifiche denominazioni, la troviamo citata da medici, viaggiatori, studiosi. Le definizioni vanno da "vaso dello spirito", a "radice di vita", passando da "radice simile a Orione" (poiché la costellazione di Orione ha forma umana e si credeva avesse influenza astrale sul ginseng), fino a "morso umano" poiché richiedeva una lunga masticazione, ma anche "pianta magica", "meraviglia del mondo", "radice dei tartari", un prosaico "elisir rigenerativo che elimina le rughe", accanto a un benaugurante "pianta che dona lunga vita"; presso i coreani era conosciuto col bellissimo nome "'poogh wang" che significa "fenice coreana", poiché le sue foglie, che ad ogni inverno muoiono, rinascono a nuova vita in primavera. É col nome botanico di "panax ginseng", panacea, "che cura tutto" che lo ritroviamo citato anche da molti occidentali, e come pan nag lo ritroviamo addirittura in Ezechiele: "essi commerciano grano di Minnith, e Pan nag, e miele, e olio e balsamo" (Ezechiele 27-17)
Ma perché la medicina occidentale si é interessata al ginseng ? Evidentemente perché in qualche modo il ginseng ha superato, dopo le prime analisi, la soglia della diffidenza, guadagnandosi l'accesso nel dorato Olimpo della sperimentazione. In sostanza, é passato dall'alchimia alla biochimica. Posto, naturalmente, che il ginseng non possa rendere la vita ai morti, che non sia in grado di curare tutti i mali e che non possa prolungare di anni e anni la permanenza su questa terra. Il dottor Stephen Fulder, farmacologo inglese determinato e aperto, dopo avere acquistato una radice di ginseng (in seguito a una minuziosa quanto infruttuosa raccolta di dati all'inizio degli anni '70, subito prima che scoppiasse, letteralmente, la "moda" del ginseng), la sperimentó prima di tutto su se stesso, utilizzandola secondo le modalitá della tradizione cinese: dopo averla spezzettata in minuscoli frammenti, la bollí per una notte intera in un bricco speciale, d'argento, che veniva utilizzato solo a questo scopo, e ne assunse ogni giorno per un mese.Erano questi i tempi di "cura" consigliati per ottenere risultati che non fossero solo blandi e opinabili. In seguito lo somministró a parenti, colleghi e amici. Questo il suo resoconto di scienziato: "tuttavia alla fine qualcosa accadde. Mi sentivo pieno di particolare energia. I lavori fastidiosi risultavano trasformati da un moderato entusiasmo. Mi alzavo piú presto, avevo meno bisogno di sonno e soprattutto non mi sentivo mai stanco durante il giorno. Il consueto giro annuale di influenza e raffreddore parve risparmiarmi. Il mio passo sembrava piú elastico e la mia mente piú lucida." A scanso di facili interpretazioni semplicistiche a favore dell'effetto placebo, il dottor Fulder specifica: "Senza dubbio la pianta aveva un qualche effetto stimolante cosí specifico e cosí inaspettato da convincermi che se mi sentivo cosí effervescente non era solo per autosuggestione [...] il suo effetto non aveva nulla in comune con l'eccitazione nervosa o insonne prodotta dal troppo caffè o da forti stimolanti [...] semplicemente mi faceva dimenticare di essere stanco, ma non mi impediva di dormire quando mettevo la testa sul cuscino." Quanto alle persone che lo circondavano, Fulder racconta "una scienziata arrivó a descrivere il proprio stato come 'euforia', agli inizi della cura: dopo un certo tempo subentró un piú disteso senso di energia", e, addirittura, un orientalissimo "sentirsi in armonia." Infine il dottor Fulder passó alla sperimentazione in laboratorio, e come un antico alchimista si dedicó a una considerevole quantitá di radici, questa volta di ginseng bianco. Riuscí a trarne un denso sciroppo color del caramello, ne fece un preparato sterile e lo aggiunse, sotto lo sguardo incuriosito dei colleghi, in quantitá variabile in alcuni vetrini che contenevano cellule umane. Il microscopio confermó che le sue teorie meritavano ulteriori approfondimenti: "lentamente, ma sicuramente, le cellule che ricevevano piccole quantitá specifiche di ginseng cambiavano in confronto alle altre. Crescevano piú rapidamente, erano di forma piú compatta [...] sembravano piú resistenti e restavano vive piú a lungo in condizioni sfavorevoli." Soltanto a questo punto, lo scienziato si ritenne autorizzato a dedicarsi seriamente allo studio degli effetti della mitica radice. Con piglio molto concreto e temperamento galileiano peró aggiunge "ma eravamo ben lontani dall'elisir cinese, e ben lontani anche dalla soluzione dei molti misteri. Non sapevo neppure che cosa c'era, in quella sostanza nera e vischiosa, che rinvigoriva cosí le mie cellule. Ma era sempre un punto di partenza." Ecco quindi il dottor Fulder recarsi dalla massima autoritá in materia di cultura cinese: Joseph Needham. Un biochimico, uno storico. "Uno degli ultimi grandi enciclopedici", come lo definì Fulder. Un uomo che ha dedicato tutte le sue energie e la sua vita a cercare una fusione tra Oriente e Occidente. Secondo quanto scrive di lui Fulder: "la scienza per Needam non era un cerchio chiuso che i professionisti ritagliavano in tanti settori. Egli capí immediatamente quel che cercavo di fare: l'enigma del ginseng si poteva risolvere solo usando tutti gli strumenti possibili per penetrare nel mondo cinese: il linguaggio, la medicina, la scienza, la vita religiosa, le concezioni tradizionali sulla natura e sui suoi prodotti [...] Lentamente ci rendemmo conto che, una volta strappati dal ginseng i veli della poesia e del sogno, si sarebbe rivelato l'antico nucleo di conoscenza ed esperienza [corsivo mio], che é reale e consistente".
Anche abbandonando Fulder e i suoi studi, le testimonianze e i rilievi sperimentali sull'efficacia del ginseng non mancano: la piccola grande radice, che viene venduta in scatolette di legno di balsa, accuratamente protetta da un involucro di seta o carta velina, a volte trasportata in contenitori appositamente concepiti perché non perda le sue "magiche radiazioni", ha spesso superato le prove imposte dall'inflessibile sperimentazione occidentale, tesa soprattutto ad escludere l'eventualitá di un effetto placebo, e forse Fulder non aveva torto quando sosteneva: "il ginseng ha due facce. Una faccia orientale, conosciuta e apprezzata da migliaia di anni, e una faccia occidentale, enigmatica e impenetrabile." La sua ricerca, aperta e disincantata, si svolse in funambolico equilibrio tra le due realtá: "Osservai entrambe le facce, combinando il punto di vista orientale e quello scientifico [...] quando cominciai a comprendere le due facce, vidi che potevano combaciare...".
Al misterioso ginseng, ai tempi in cui venne condotto questo studio, era stato addirittura affidato un sogno, un desiderio, e col senno di poi, nel 2005, possiamo dire quasi una premonizione: "il ginseng ha in sé la capacitá potenziale di fare da ponte tra i sistemi terapeutici dell'Oriente e quelli dell'Occidente."
Il ginseng, per la scienza occidentale, non è magico, ma merita attenzione; per l'Oriente, può essere impiegato in mille campi. Per la scienza occidentale, il nome botanico è rimasto "panax ginseng", per la tradizione orientale, rimane "la radice-uomo che risplende nell'oscurità". Risplende al punto che i cercatori a volte uscivano di notte, scoccavano una freccia in direzione della luce, e tornavano di giorno a cercare il ginseng laddove le frecce indicavano. Come spesso accade, la verità sta nel giusto mezzo: il ginseng, infatti, attira le lucciole. È per questo, che risplende nell'oscurità.
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