A vent'anni dal più grave disastro nucleare della storia, il fotografo Robert Knoth, insieme alla giornalista Antoinette de Jong, in collaborazione con Greenpeace hanno realizzato quattro reportage fotografici in altrettante aree colpite da incidenti e contaminazioni nucleari dell'ex Unione Sovietica. Una mostra itinerante per l’Europa evidenzia come questa tragedia non abbia rappresentato un fatto isolato e si inserisce nel dibattito attuale sulla necessità di garantire l'approvvigionamento energetico per il futuro.
Alle ore 1,23 della notte tra il 25 e il 26 aprile del 1986 nel reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl si verificò un’esplosione: è stato il disastro nucleare più grave nella storia . Nell'atmosfera vennero immessi circa 45 milioni di curie di xeno 133; 7 milioni di curie di iodio 13; un milione di curie di cesio 134 e 137.
L'immissione dei radionuclidi nell'atmosfera continuò in maniera crescente per una quindicina di giorni per poi decrescere lentamente. Quella notte terribile trentuno persone rimasero uccise nell’esplosione ma per tante altre prese il via un calvario fatto di tumori e deformazioni. Centinaia di migliaia di persone nella zona della centrale furono costrette ad abbandonare le loro case, e furono in migliaia, negli anni seguenti, a morire per le conseguenze dell'incidente nucleare: le stime ufficiali parlano di quindicimila vittime. La nube radioattiva provocata dall'esplosione contaminò 150 mila chilometri quadrati attorno alla centrale nucleare, mentre il vento la spingeva fino all'Europa. L'emissione di particelle radioattive continuò per molti giorni, e solo sei mesi dopo, a novembre, il reattore esploso fu sigillato in un sarcofago di cemento armato, all'interno del quale furono inglobate circa 180 tonnellate di uranio.
Riguardo alla dinamica dell’esolosione i tecnici russi spiegarono che era in programma una fase di interruzione del reattore a scopo sperimentale e, allo scopo di verificare le possibilità temporanee di refrigerazione del nocciolo, venne interrotta l'alimentazione elettrica dell'impianto. Quando l’esperimento venne regolarmente avviato, fu quindi ridotta progressivamente la potenza del reattore. Ciò diede inizio al disastro, poiché il reattore divenne instabile (fattore non previsto), tanto che il computer di controllo diede subito l’allarme che era necessario procedere allo spegnimento immediato. Sembra però che i tecnici però non ottemperarono (particolare non chiarito) e si verificò un anomalo aumento di produzione di vapore nel nocciolo. Solo a questo punto venne dato l'ordine urgente di intervenire manualmente per lo spegnimento, ma l'operazione non riuscì nel poco tempo a disposizione e così due esplosioni (presumibilmente vapore o materiale fuso a temperature altissime) scoperchiarono il nocciolo.
Perso il controllo del reattore, si è quindi formata una bolla di idrogeno nell'acqua del circuito di raffreddamento cui è seguita l’esplosione. La grafite ha preso fuoco per l'elevata temperatura che a 2000 gradi centigradi ha fuso le barre contenenti il combustibile e ha continuato a bruciare per nove giorni. La maggior parte della radioattività fu sprigionata nell’aria nei primi giorni successivi all'incidente.
L'unità numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl in Ucraina (all'epoca Unione Sovietica) ha quindi avuto il più rilevante incidente nucleare della storia. L'area maggiormente contaminata è stata stimata tra 125 e 146 mila chilometri quadrati e comprende territori di Ucraina, Bielorussia e Russia. In totale, 175 mila persone furono evacuate. Sono state migliaia le persone - i cosiddetti ‘liquidatori’ - che sono stati coinvolti nelle diverse operazioni di ripulitura svoltesi fino al 1989. Quanti di loro si siano poi ammalati e deceduti è una questione controversa: per il Rapporto del Forum Chernobyl le stime dei morti possono essere diverse migliaia; secondo le agenzie governative delle tre repubbliche ex sovietiche i ‘liquidatori’ morti nel corso del tempo sono stati circa 25 mila. Altri studi indicano invece un numero decisamente maggiore.
Nell'atmosfera si riversarono vapori e frammenti vari di materiale gassoso che vennero propagati in giro dal vento. Polveri varie arrivarono a decine di chilometri di altezza per poi ricadere sull'atmosfera. Le dosi di radioattività, naturalmente, resero complicata la sopravvivenza stessa di coloro che risiedevano nel sito. In questi casi anche chi non morì e immediatamente accusò il fenomeno entro qualche giorno e non riuscì a sopravvivere per molto tempo. Perirono anche diversi i vigili del fuoco.
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Stime ufficiali e stime reali
Al di là delle stime ufficiali sui morti legati all’esplosione, esistono però studi e stime sul numero delle vittime totalmente diversi. Uno di questi studi è stato diffuso dal settimanale britannico “The Guardian” secondo il quale nei 20 anni trascorsi dalla catastrofe nucleare, sarebbero alcune centinaia di migliaia milione le persone colpite dalle conseguenze della nube radioattiva che contaminò larga parte dell'Europa.
Queste stime, inoltre, contrastano vistosamente con quelle molto più modeste dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) e dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (Aiea), le quali avevano previsto un massimo di 4.000 persone morte per gli effetti del disastro. Le conseguenze peggiori l'hanno ovviamente patite coloro che vivevano in Ucraina (Chernobyl è 120 chilometri a nord di Kiev), che hanno subito danni irreversibili da cancro alla tiroide, leucemie e mutazioni genetiche non registrati nei dati dell'Oms e che erano praticamente sconosciuti 20 anni fa. Altri studi hanno evidenziato che delle oltre 30.000 persone che presero parte alla ‘ripulitura’ della centrale esplosa, sarebbero morte di cancro dopo la catastrofe, mentre il tasso di mortalità infantile è aumentato fra il 20 e il 30%. Un portavoce dell'Aiea ha comunque sostenuto che le stime delle Nazioni Unite sono corrette ed hanno avuto consenso di oltre 100 importanti scienziati.
La nube si muoverà nei cieli dell'Europa per circa una decina di giorni. Pian piano l'allarme si diffuse creando panico in tutta l'Europa. Verrà razionata perfino la verdura. Muoiono 31 persone nell'immediato. Altre 270 nelle settimane seguenti. La radioattività ha causato poi enormi danni biologici a molti sopravvissuti e a nascituri.
Dire quanto sia dovuto all'impreparazione o agli errori dei tecnici in quell'occasione (come dissero i Russi) è molto difficile. I responsabili furono giudicati in sede penale e condannati. Ma anche nel processo vi furono carenze non convincenti per l’opinione pubblica. Sicuramente i reattori di Chernobil non possedevano un alto grado di sicurezza, e soprattutto non avevano la possibilità di auto-disattivazione immediata in caso di pericolo.
Dalla storia del nucleare sono stati circa 2.000 gli incidenti nucleari di varia entità e sono molteplici i movimenti d’opinione secondo i quali L'Europa e il pianeta debbono fuggire dal nucleare per puntare sulle energie rinnovabili e sull'idrogeno e per dare al mondo intero una prospettiva di pace e serenità, senza guerre legate al controllo dei pozzi di petrolio conquistati con la minaccia delle armi nucleari.
Chernobyl in russo significa ‘le piante che crescono nella palude’ e, nel passato, quella zona serviva per nascondersi da mongoli e tartari. Il nemico di oggi, invece, pur a venti anni di distanza, è ancora più infido perché invisibile.
L'impianto nucleare di Chernobyl ha smesso di funzionare definitivamente nell’anno 2000.
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