Daria Bonfietti, ventisette anni
di impegno per la verità
Il 27 giugno 1980, alle ore 21 esatte, i radar di Fiumicino cessavano bruscamente di registrare le battute dell'Itavia 870, un Dc-9 in volo tra Bologna e Palermo con a bordo 81 persone. L'aereo sembrava scomparso, ma dopo alcune ore spese in frenetiche quanto disordinate ricerche, si raggiungeva la certezza che era caduto in mare a nord di Ustica. Non c'erano superstiti. Quel momento segnava l'inizio di uno di quei misteri italiani - come l'attentato in piazza Fontana o la strage di Bologna - che sono sempre rimasti colpevolmente irrisolti.
Ciò che è rimasto del Dc9 di Ustica è stato sistemato a Bologna, nel Museo della Memoria, un luogo di cultura, dove incontrarsi sarà partecipare a un pezzo di storia d'Italia. Nel museo oltre al relitto del DC9 faticosamente strappato al mare dai fondali di Ustica ci saranno anche le carte del processo e tante opere d'arte dedicate alla strage del 1980. Abbiamo incontrato Daria Bonfietti, presidente dell'Associazione dei parenti delle vittime di Ustica, che ci ha spiegato il perché di un museo alla memoria, per non dimenticare: "Ustica non è un mistero, dal 1999 sappiamo esattamente cosa è successo, l'aereo è stato abbattuto, e tutti devono poterlo vedere con i propri occhi".
Presidente Daria Bonfietti, il Dc9 è arrivato a Bologna, voi dell'Associazione dei parenti delle vittime avete fortemente voluto che si realizzasse questo museo
Abbiamo pensato alla realizzazione di questo progetto, e quindi a un luogo dove contenere il relitto del Dc9, diversi anni fa, a metà degli anni '90 noi parenti delle vittime che stavamo seguendo la vicenda giudiziaria. Vedendo le fotografie del relitto che era conservato e ricostruito nell'hangar di Pratica di Mare ci siamo posti la domanda, molto angosciante, molto assillante, di cosa sarebbe avvenuto di questi resti una volta che l'utilizzo da parte dell'autorità giudiziaria fosse terminato. Non potevamo pensare che questa "naturale opera d'arte", questo puzzle ricostruito su un telaio, potesse essere smontato e buttato in una discarica, buttato ai ferri vecchi, come qualcosa di ormai inutile, al pari di tutti gli altri reperti analizzati dalla magistratura. Questo relitto è servito a scoprire che tipo di realtà, che tipo di vicenda, che tipo di reato aveva vissuto l'aereo 26 anni fa.
Come ha vissuto l'arrivo dell'aereo a Bologna? E come le è sembrato che la cittadinanza vivesse quel momento?
I camion dei vigili del fuoco che trasportavano l'aereo sono arrivati a Bologna in una giornata caldissima, della scorsa estate ormai, eppure ho visto la gente che si accalcava, sotto a un sole rovente, lungo la strada che conduceva alla loro caserma. Non c'è un marciapiede in quella strada, ma la gente continuava ad arrivare in bicicletta e ad accalcarsi sui lati. Io ero talmente scossa che nemmeno mi rendevo conto del perché, mi domandavo cosa ci facesse tanta gente tutta ammassata lì in una giornata estiva e così calda. "Aspettano i camion!" mi è stato risposto. E in quel momento ho realizzato, mi sono resa conto che tutte quelle persone erano lì perché volevano partecipare, sentivano l'arrivo dell'aereo nella loro città. C'era grande rispetto, e grande partecipazione, è stato un momento molto emozionante per me.
Il museo sarà ospitato in un ex deposito dei tram?
Lo abbiamo deciso perché l'idea di un museo alla memoria piaceva molto. É stata la cittadinanza che ha reso possibile il tutto mettendo a disposizione questi tre capannoni. Agli inizi del '900 c'era questo deposito dei tram, con le rotaie che sono attualmente visibili: non c'erano vincoli architettonici, ma un esempio di architettura industriale di inizio secolo certo non meritava di essere abbattuta sebbene non ci fosse un vincolo da parte della sovrintendenza. Con il Sindaco di Bologna si pensò allora proprio a questo luogo per realizzare il museo della memoria. All'interno è stata realizzata una vasca interrata di un metro e mezzo che potesse contenere questo enorme fardello, questi 2000 pezzi che sono stati recuperati a 3500 metri in fondo al Tirreno. Poi, conclusa l'attività giudiziaria con il secondo grado del processo, finalmente il deposito del relitto è stato sollevato dai vincoli giudiziari ed è stato acquisito dal Comune di Bologna.
Il trasferimento del relitto è stato realizzato in un tempo relativamente breve, quando si è capito che non vi era ostacolo alla realizzazione c'è stata una grande partecipazione, sia a livello nazionale che locale. I Vigili del Fuoco di Roma avevano già lavorato a suo tempo per trasferire il relitto da Capodichino, dove era stato recuperato, fino a Roma. Sono state incaricate le stesse forze, le stesse unità, molte delle stesse persone fisiche che vi avevano già lavorato. Con molta professionalità e con estrema sensibilità si è riusciti a costituire uno staff che nel giro di pochi mesi ha eseguito alla perfezione questa opera di grande difficoltà. Si trattava infatti di smontare il relitto, trasportarlo con enormi e numerosi mezzi eccezionali per 400 chilometri sulle autostrade d'Italia fino alla loro sede di Bologna. Ora si trova nella sede finale, nel museo della memoria. Con la ripulitura dei ‘frammenti’ è stato evidente che alcune parti si sono estremamente rovinate nel tempo e necessitano - mi dicono gli esperti - di un trattamento molto particolare, per impedire un ulteriore disfacimento. È un lavoro molto lungo e ogni pezzo non dovrebbe subire altre alterazioni nel tempo. Io non so cosa succederà in futuro a questo museo, ma finché ci saremo noi, la possibilità che esso funzioni sarà sempre nelle nostre aspirazioni, e tenderemo a fare in modo che venga mantenuta la promessa, che in quel protocollo d'intesa si faceva, di metterlo a disposizione della città, degli italiani e dell'intero Paese.
Siete stati ostacolati nella realizzazione di questo museo?
Nessuno si aspettava che chiedessimo di avere in custodia questo relitto per farne un museo, la nostra è stata un'idea talmente diversa, avvincente, affascinante, che non ci siamo sentiti dire dei no. Quest'idea che noi andavamo illustrando con tanto di progetto architettonico della struttura nella quale inserire il Dc9, assieme all'idealità che questo progetto conteneva, è piaciuto alle persone, ministeri ed enti locali, alle quali lo abbiamo proposto. L'unico limite era quando fosse reso libero dall'autorità giudiziaria.
È importante che esista un museo alla memoria, ma perché è importante andarlo a vedere?
La realizzazione di questo museo deve poter dare la possibilità di ricostruire il fatto così come fu vissuto, cosa si disse subito, chi se ne interessò, chi non se ne interessò. E poi consente di ricostruire tutto ciò che intorno vi è nato: a me piace molto pensare a tutti gli artisti, musicisti, che hanno scritto, lavorato, pensato, creato arte intorno a questa vicenda. Per la prima volta, dopo la resistenza, l'evento attorno al quale sono nate più opere artistiche. Il messaggio che deve passare alla storia dalla nascita di questo museo è che si devono pretendere la verità e la giustizia; e si deve imporle, se qualcuno nel tuo Paese tenta di non dartela, questo è il messaggio che tutti noi vogliamo lasciare ai giovani. I giovani devono sapere che si può osare, che si può tentare e si può chiedere conto, non è sempre detto che si riescano ad avere delle risposte subito, ma l'importante è credere che lo si debba fare, perché gli altri sono sempre cittadini del tuo Paese, dunque non si deve permettere nessuno di trattare altri cittadini in questo modo. Purtroppo avviene, e allora l'importante è capirlo, essere consapevoli, lottare contro queste ingiustizie.
Come sarà strutturato il museo? Ci saranno anche gli atti del processo?
Noi abbiamo consegnato tutto il materiale che avevamo all'Istituto Parri di Bologna, lì degli storici lo potranno catalogare, archiviare, a loro abbiamo mandato anche tutte le carte del processo, le sentenze, e certamente qualcosa verrà esposto, ma questa sarà solo una parte del percorso, per conoscere quello che è avvenuto. Per il resto il museo è ancora in divenire, i dettagli devono ancora essere vagliati.
Presidente, la ricerca della verità non è a vostro uso esclusivo, avete sentito la solidarietà della gente?
Nel nostro Paese di grandi eventi ne sono accaduti tanti... sia i cittadini che la stampa ci sono stati vicini, alcuni grandi giornali hanno appoggiato la nostra causa, a partire dal Corriere della Sera, e nel corso degli anni abbiamo sentito che la gente ci stava vicina perché rappresentavamo un modo di fare battaglia in maniera corretta, che gli italiani riconoscevano. Pensi che alcuni giornali hanno fatto delle statistiche, chiedendo cosa pensava la gente, e a distanza di anni dalla vicenda di Ustica la maggioranza delle persone ha risposto che l'aereo è stato abbattuto, questo vuol dire che siamo riusciti, comunque, a far passare la verità alla gente, nonostante tutto.
Ora non è più Senatrice della Repubblica, avrà un diverso approccio con le Istituzioni?
Nel 1994 un gruppo di cittadini, la classe intellettuale di Bologna con in testa il Sindaco Vitali scrisse una lettera alle forze progressiste per candidarmi come rappresentante della società civile per le battaglie che stavo conducendo, in quanto in quel periodo la battaglia aveva ripreso vigore, era il momento adatto per fare una cosa del genere, in quel momento storico ero riconosciuta come la persona in grado di rappresentare quella nuova fase. Come cittadina e come presidente dell'Associazione avevo fatto tutto il possibile, a quel punto pensavo che dall'interno avrei avuto più forza per portare avanti le nostre battaglie, per cercare la verità. Molto è stato ottenuto, ma non tutto.
Ora non faccio più parte della classe politica, ne sono uscita, ma le battaglie non si fermano, io non mi fermo, continuerò a chiedere ai governi che si succedono di andare avanti, perché la situazione ormai è tutta nelle loro mani. So bene che sono passati 26 anni, e che è dura far ritornare l'attenzione come se ne fossero passati due o tre, ma dal 1999 abbiamo una certezza, quello che è successo a Ustica non è un mistero, ci hanno abbattuto questo aereo, e la sentenza del Giudice Priore non lascia dubbi: "l'incidente è occorso a seguito di azione militare di intercettamento - sono le sue parole che ormai cito a memoria - azione di guerra di fatto e non dichiarata". Non c'era la guerra quella notte nei nostri cieli, non avevamo dichiarato guerra a nessuno e nessuno aveva dichiarato guerra a noi, per abbattere un aereo servono armi militari, degli ordigni militari, e all'interno di questo scenario è avvenuto l'abbattimento del Dc9. E, conclude il Giudice Priore, "nessuno ha dato nessuna spiegazione". Ci sono stati i processi nei confronti dei generali, rinviati a giudizio per alto tradimento, per non aver dato nessuna spiegazione agli organi deputati, ai politici, agli organi costituzionali, al parlamento, al governo, ai ministeri: per questo sono stati incriminati, per alto tradimento, mentre per strage non è stato incriminato nessuno. Io voglio che il Governo del mio Paese mi dica chi è stato ad abbattere il Dc9 quella notte, e vorrei che venisse aperto un processo per strage!
FOTO: I frammenti del relitto del DC9 precipitato nel mare di Ustica con 81 persone a bordo.
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