Conclusa a Roma l'iniziativa
di Scienza e Vita
"Né accanimento, né eutanasia". Non uno slogan, frutto di preconcetti, ma progetto e impegno del movimento "Scienza e Vita", guidata dalla bioeticista della Cattolica, Maria Luisa Di Pietro e dal genetista de "La Sapienza" Bruno Dallapiccola, che hanno concluso a Roma, nel centro congressi di Montecitorio, la "campagna nazionale". Coinvolte 50 città e migliaia di persone con "cognizione del dolore", ma contrarie a soluzioni anti-natura. Per il diritto e il Codice "la vita è indisponibile": non è nella disponibilità del singolo. In tutti però c'è il desiderio di capire meglio e aggiornarsi sui progressi della ricerca in tema di malattie fino a ieri - e oggi forse non più - definite "senza speranza". E poi, non si può ignorare che sono i colpiti a rivestirsi per primi di una forza interiore, confortare i familiari e sottoporsi a dure terapie. I sani rispondono con accresciuto senso di solidarietà: assistono i malati per "accompagnarli a varcare la soglia della vita".
Questo il filo del dibattito sulla base della relazioni di medici, giuristi, leader del Volontariato. In una sala gremita, in un clima di naturale pudore, si rendono testimonianze, come quella sul risveglio dei cerebrolesi. Questo mentre è acuta la questione filosofica-etica-medicale su eutanasia e accanimento terapeutico, che coinvolge cittadini di ogni professione, intellettuali e operai, medici e impiegati, studenti e casalinghe che, in maggioranza, dicono no a leggi frutto di emotività, in pratica una resa della ragione di fronte all'evento morte, naturale come il nascere. "Campioni" di laicismo - che non staremo a ricordare - hanno inventato il "testamento di vita", "living act" e Nazioni da non imitare, come l'Olanda (il 25% le richieste contro lo 0,7% della Francia), l'hanno legalizzato, come ci sono casi scandalosi di accanimento terapeutico palese (su Capi di Stato) o camuffato. "Questi testamenti - ha affermato Gianfranco Iadecola, già presidente della Corte di Cassazione - sono viziati da incoerenza e intempestività: il legislatore non ha disciplinato la rilevanza della volontà del singolo. Il medico oggi troverebbe limiti ad agire da dichiarazioni risalenti indietro nel tempo". Domina il doloroso "caso Welby", il quale - spiega Iadecola - "vuole decidere per il presente. La sua è una richiesta di eutanasia che contrasta con il principio dell'indisponibilità della vita ed è esplicitamente vietata dal nostro codice penale".
Per Maria Luisa Di Pietro, "c'è un clima culturale troppo incline a rimuovere la sofferenza e la morte, dimenticando che sono parte integrante della vita di ciascuno". Ma è altrettanto forte "lo stimolo a continuare", promuovendo "una formazione, scientificamente fondata e una informazione "rigorosamente veritiera": solo così si potrà evitare che "il dibattito venga forzato e manipolato", come sta avvenendo. E Dallapiccola, che ha messo la sua professione al servizio dell'ospedale di San Giovanni Rotondo, dopo aver espresso soddisfazione per "tantissima gente incontrata, anche non medici, che condividono gli stessi principi", ha affermato: "l'eutanasia è un atto lesivo non solo della dignità della persona che muore, ma anche contrario all'etica professionale del medico. Da sempre seguo in scienza e coscienza il giuramento di Ippocrate. Nessuno, neppure il paziente stesso, potrà farmi derogare dal principio di cura, che è cosa diversa dall'accanimento. Chi lo fa lede i fondamenti della professione medica". Secondo il genetista, il vero problema sta "nella capacità di instaurare un vero rapporto con il paziente: il diritto di questi a decidere sul proprio corpo e la propria salute deve trovare un'adeguata risposta in una medicina accogliente e veritiera, che non abbandoni il morente alla solitudine e alla disperazione, terreni fertili per la domanda di eutanasia".
Che cosa contrapporre in concreto? "Per evitare l'accanimento terapeutico - ha spiegato il prof. Rodolfo Proietti, primario di anestesia - non c'è bisogno di leggi: basta rispettare le indicazioni della medicina basata su prove di evidenza e i percorsi assistenziali proposti dalle società scientifiche". In sostanza, le cure palliative. "Alleviano il dolore e sono di aiuto globale al paziente e alla famiglia. Chi le scambia per un approccio all'eutanasia -ha detto Marco Maltoni di Forlì - manipola questione e vuol far credere che si pratichi di nascosto la dolce morte. Bisogna conoscere meglio queste cure e favorirne l'accesso per salvaguardare la dignità del morente che, se non è solo e disperato, non chiede certo l'eutanasia". Quel che più temono i malati e i disabili "non è l'accanimento terapeutico, ma l'abbandono", ha rilevato Giovanni Battista Guazzetti, preposto all'Unità per gli stati vegetativi del "Don Orione" di Bergamo. "Esistono oggi i mezzi per garantire a questi malati una discreta qualità di vita e un buon livello di integrazione sociale anche quando non sia possibile guarire".
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