Da sempre la donna è raffigurata come
l’unica protagonista delle attività svole all’interno
della casa, ma sono sempre di più le donne
che lavorano: circa 8 milioni 825mila (dati Istat 2005),
quasi mezzo milione in più di quelle che risultano
impiegate al momendo del censimento 2001
Eppure, la parità di diritti è ancora lontana: le donne sul lavoro sono ‘vittime’ nell’eccezione più ampia del termine: sono più disoccupate degli uomini, quando lavorano ricevono paghe più basse e se hanno la sfortuna di subire un infortunio – ed accade sempre più spesso – hanno indennizzi più bassi e grandi difficoltà ad ottenere quanto spetta loro. Dal rapporto Inail di quest’anno si evidenzia che ogni anno vengono denunciati 6mila casi di malattie fra le lavoratrici. Anche l’Anmil (Associazione mutilati e invalidi del lavoro), pone poi l’accento sull’ingiustizia subita dalle donne che dopo un infortunio sul lavoro perdono anche la possibilità di occuparsi della casa e della famiglia. Per questo l’Associazione, si legge in una nota, “ha più volte sostenuto la teoria del doppio indennizzo spettante alle donne”.
Dopo un infortunio, secondo dati raccolti sempre dall’Anmil, il reinserimento nel mondo del lavoro è più difficile per le donne che vengono espulse molto più degli uomini. Quando poi con difficoltà riescono a rientrare, l’Associazione denuncia la situazione di discriminazione alla quale sono sottoposte e l’assegnazione di compiti diversi da quelli precedenti o, a volte, inadatti alla menomazione subita.
In assenza di servizi di avviamento al lavoro e sostegno psicologico, solo il 3,8% delle invalide riesce a trovare un impiego adeguato, il restante 96,2% resta disoccupato o svolge impieghi inadatti alla sua nuova condizione. La mancanza di sostegno psicologico è un problema sentito da tutte le donne vittime di infortunio, anche se in misura differente a seconda dell’età e della provenienza geografica. Fino a 50 anni di età, secondo uno studio promosso dall’Anmil, il 61,4% delle donne del sud vorrebbe avere un sostegno psicologico; la percentuale scende al 34% spostandosi nel nord del Paese. Per le donne al di sopra dei 50 anni, invece, la percentuale si attesta intorno al 50% in tutta Italia.
Sostegno psicologico e sociale intensivo nell’immediatezza dell’infortunio; stesso sostegno, prolungato, nel risposizionamento familiare; prestazioni economiche risarcitorie per il lavoro femminile familiare e domestico; particolari interventi per reinserimento lavorativo delle donne infortunate; misure di sostegno psicologico e sociale dirette ai familiari delle infortunate. Queste sono alcune delle proposte avanzate dall’Anmil nei confronti dell’assicurazione obbligatoria. “Queste misure – ha concluso l’Associazione – potrebbero rappresentare un primo momento di attenzione alla dimensione femminile del lavoro, nell’ottica per cui ilprincipio costituzionale di uguaglianza e non discriminazione di genere deve essere applicato nel senso più profondo”.
Le statistiche denunciano che il fenomeno degli incidenti sul lavoro è in ascesa, in parte per l’aumento dei tassi di occupazione femminile, in parte per il sempre più frequente ingresso delle donne in settori lavorativi ad alto rischio di infortuni e che, fino a ieri, prevedevano esclusivamente mansioni destinate agli uomini.
Le donne invalide per un infortunio sul lavoro o una malattia professionale sono state oltre 120mila (121.926 al 31 dicembre 2006), cioè poco più del 16,4% degli uomini. Ad esse vanno aggiunte quasi 115mila donne titolari di rendite ai superstiti, che portano il totale di quelle che percepiscono un indennizzo (a titolo permanente, diretto o ai superstiti) sopra quota 236mila. In ascesa i casi di infortunio mortale: nei primi undici mesi del 2006 sono stati 93, contro i 68 dello stesso periodo del 2005; è un aumento netto, ancor più preoccupante perché giunto dopo numerosi anni di contrazione del numero di incidenti mortali. Complessivamente, nel quinquennio 2001-2005 l’occupazione femminile è cresciuta del 5,86% e le donne che hanno subito un infortunio sul lavoro sono aumentate del 5% considerando i soli settori industria e conto stato e le malattie professionali.
I settori lavorativi in cui gli incidenti sono in forte crescita sono il commercio (+30% in cinque anni, dai 18.265 casi del 2001 ai 23.792 del 2005) e la sanità (+23%, dai 20.150 del 2001 ai 24.832 del 2005). Buone notizie solo dal manifatturiero (-16% in cinque anni, dai 37.964 ai 31.701 del 2005), dopo però il numero assoluto resta troppo elevato.
Ma il rapporto Amnil ha anche messo in evidenza le conseguenze derivanti dagli infortuni e tutte le carenze legislative e regolamentarie che le donne italiane sono costrette a sopportare, ad iniziare dalla carenza di una specifica tutela assicurativa che tenga conto delle specificità della condizione femminile. Qualche esempio: non c’è alcuna differenza fra uomini e donne nella valutazione percentuale del danno estetico (ben diverso il sentire nella società attuale) ed esiste una profonda sottovalutazione delle malattie tipicamente femminili, come il tumore della mammella, che è fatto rientrare nella definizione generica di “neoplasie malighe che si giovano di trattamento medico e/o chirurgico locale”, ma che provoca un danno psicologico e fisico ben maggiore di quello causato da altre neoplasie. E nessun valore è attribuito all’assistenza che la donna presta alla famiglia e alla casa: totalmente inascoltati finora i richiami dell’Anmil per la corresponsione alle donne, in questi casi, di un doppio indennizzo. “Una donna che lavora in fabbrica, che sia sposata e con due figli piccoli – afferma l’Anmil – nel caso di un infortunio sul lavoro o di una malattia professionale che ne comprometta le capacità fisiche in modo grave e permanente subisce danni molteplici”: si riduce non solo “la sua capacità lavorativa”, e cioè la sua capacità di apportare reddito alla famiglia, ma anche la sua “capacità di accudire alle esigenze dei figli più piccoli e alle faccende legate alla conduzione della casa”. Danni concreti ed effettivi, che sono giuridicamente rilevanti ma che – denuncia l’Anmil – “non ottengono il giusto riconoscimento nell’ambito dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali”.
Particolarmente difficile la situazione per ciò che concerne il reinserimento al lavoro e più in generale quello sociale: le donne risultano espulse dal mondo del lavoro dopo un infortunio in misura molto maggiore rispetto agli uomini, e troppo spesso pur restando al lavoro vengono adibite a mansioni diverse, talvolta non del tutto compatibili con la menomazione subita. Le donne disabili trovano una collocazione mirata solo nel 3,8% dei casi: il restante 96,2% resta disoccupato.
Che fare dunque? La richiesta che l’Anmil fa al governo è quella di passare dalle parole ai fatti, dedicando le opportune risorse a questi temi. “In particolare riteniamo che in seguito all’infortunio e alla malattia professionale della donna l’assicurazione obbligatoria debba farsi carico di un intensivo sostegno psicologico e sociale nell’immediato dell’evento; - conferma il presidente nazionale Pietro Mercandelli – oltre ad un sostegno prolungato nel riposizionamento familiare e a prestazioni economiche per il lavoro familiare e domestico. Inoltre – prosegue – sono necessari interventi per il reinserimento lavorativo delle donne infortunate e misure di sostegno psicologico e sociale dirette ai familiari dell’infortunata”.
Primo banco di prova, il Fondo per le famiglie delle vittime del lavoro, istituito dalla Finanziaria 2007: per diventare operativo, aspetta ancora di essere regolato da un decreto del ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale.
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