L’Ufficio del Garante per i Diritti dei detenuti del Lazio è titolare di un potere locale che non può essere esercitato verso l’Amministrazione dello Stato. Nei confronti di questo interlocutore quale è lo Stato, ovvero il Ministero di Giustizia e l’Amministrazione Peni-tenziaria, al Garante regionale è dato comunque un potere di persuasione, un potere di intervento più che altro politico. In realtà non è un potere così esiguo come sembra, dal momento che si tratta di un potere concesso da un’istituzione pubblica e che può essere esercitato anche attraverso richieste formali. Il Garante, inoltre, ha ampi spazi di iniziativa, come previsto dalla legge, su questioni generali. Nulla vieta, inoltre, che il Garante possa indire incontri, conferenze o convegni per affrontare questioni generali, e per porre interrogazioni e appelli all’attenzione del Parlamento nazionale ed anche del Parlamento europeo.
Per quanto riguarda le competenze della Regione che si riflettono sul sistema carcerario, una tra le più complesse - spiega il Garante - è quella della sanità: “quando si pensa alla relazione tra detenuto e salute, si pensa sempre alla tossicodipendenza, all’aids, ma non si pensa mai che in carcere sono rinchiusi uomini, donne e minori che possono avere anche malanni diversi ma non meno gravi, come ce li abbiamo noi che viviamo fuori dal carcere. Anche se le loro possono spesso essere semplicemente definite patologie "normali", comportano sempre diagnosi, analisi, specialisti e ricoveri. Tante cure che per un detenuto, in realtà, è molto più complicato ricevere, così come è molto complicato, per chi dirige un carcere, garantirle. Questo perché la sanità esterna, quella delle Asl, non è ancora in condizioni, e forse neanche lo desidera molto, di seguire un detenuto come un cittadino qualsiasi del proprio territorio”. Il Garante ha aggiunto che all’Asl di Rebibbia è in progetto un ospedale che dovrebbe essere destinato ai detenuti.
Il lavoro in carcere
Accanto al problema della sanità che colpisce molto la sensibilità di tutti, esiste inoltre un problema molto grosso che colpisce un po’ meno l’immaginario, ma è altrettanto tremendo: quello del lavoro. Del lavoro se ne parla molto poco o nulla, però il lavoro in carcere è un punto di fondamentale importanza.
“Non possiamo sempre pensare al detenuto che ha messo i soldi da parte e sta attendendo la libertà per goderseli o ha arricchito la famiglia. Noi dobbiamo pensare che la maggioranza dei detenuti è povera gente, nel senso che non ha una lira, con famiglie complicate: molte volte l’unico reddito di cui dispongono è quello del detenuto lavorante, e addirittura ci sono dei detenuti che attraverso i loro salari riescono a mandare un po’ di soldi a casa”
Anche se la gente potrebbe esserne infastidita, perché a volte si pensa al fatto che chi commette crimini deve avere un lavoro, mentre manca agli incensurati, in realtà, spiega il Garante “bisogna considerare che si tratta sempre di un lavoro a bassa qualificazione e a basso reddito che non è in concorrenza con il mercato esterno. Senza pensare ora al lavoro all’esterno, il carcere si mantiene anche grazie al lavoro dei detenuti. Il fatto che non ci siano i fondi adeguati nel dipartimento dell’amministrazione penitenziaria non vuol dire che quel lavoro viene fatto da altri: non viene fatto, e il carcere nelle sue strutture decade. Questo è un punto fondamentale. Il lavoro interno, quello del fabbro, del falegname, del pittore è un lavoro che i detenuti desiderano anche se lo Stato dà pochi soldi al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per il lavoro interno.
Sempre in tema di lavoro per i detenuti, e in particolare di quello esterno al carcere, è doveroso garantire loro anche questo. “Premesso che non tutti i detenuti possono accedervi per motivi di condizione penitenziaria e per le norme di sicurezza verso la pericolosità sociale, comunque è sempre dall’esterno che deve pervenire una domanda. Per il lavoro sono nate delle forme di associazionismo, cooperative integrate, etc. La legislazione, anche quella regionale, ha stabilito che tra i soggetti deboli non ci sono soltanto i portatori di handicap, ma anche i detenuti. Sono quindi nate diverse cooperative, alcune hanno una gamma di offerta di lavoro molto ampia, e funzionano. Tra queste ci sono la "Coop 29 giugno", la "Pantacop", la "Sintaxerror", la "Artemisia"... Molte di queste non sono più strutture assistite, sono realtà che stanno sul mercato, garantiscono reddito ai soci detenuti che lavorano, si applicano salari previsti dai contratti collettivi”.
La Regione ha già mosso alcuni passi sulla strada della formazione come nel settore informatico, nella cura del verde, nell’assistenza sociale o in altre attività particolari, perché la formazione è un elemento di base che precede e accompagna il lavoro. “La Regione - afferma Marroni - dispone di un budget anche da parte della Comunità Europea, e il Garante può sollecitare l’utilizzo di questo budget per la formazione anche in carcere.
Ultimo problema che il Garante sottolinea sempre nei suoi incontri con la stampa è quello di garantire la dignità del detenuto. “Sembra un’espressione molto generica - afferma Marroni - ma è un problema grave che tocca molti aspetti della vita privata, intima, del detenuto. Molti fattori compromettono la dignità umana: il sovraffollamento, le fatiscenti condizioni delle strutture, oltre a certi atteggiamenti poco rispettosi di questa intimità”. Il fatto è che il detenuto - per legge - non deve mai perdere questa sua dignità, ma sono le circostanze che spesso lo portano a perderla. Nel Lazio ci sono 14 istituti, ma bisogna tener conto anche di quei detenuti che sono stati trasferiti a scontare la pena fuori dalla regione. Anche qui bisogna considerare il principio della territorialità; i familiari che devono raggiungere il congiunto fuori dalla regione si accollano notevoli sacrifici e costi. Immaginate quante madri di famiglia che con prole al seguito devono spostarsi per chilometri...
Una delle domande che vengono spesso poste al Garante è se i detenuti possono liberamente scrivere a questo Istituto: “Certo, è la risposta perentoria di Angiolo Marroni: tutti possono scriverci e nessuno viene sottoposto ad alcuna formalità”.
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