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Del seguente articolo:

Luglio-Agosto/2007 -
Bce allarme prezzi: +30% in un anno
Veronica Rodorigo




Frumento, cereali, olii, bevande, zucchero, semi oleosi e tabacchi: pronta una pesante valanga di rincari a livello mondiale. In altre parole le principali materie prime alimentari registrano ad agosto una media del +30% rispetto allo stesso mese dell’anno passato.
La Banca Centrale, pur rilevando che negli ultimi mesi la dinamica dei prezzi degli alimentari sia aumentata con un impressionante incremento, nel suo Bollettino mensile precisa però, che nonostante i recenti rincari, i prezzi degli alimentari rimangono ancora al di sotto dei massimi storici. Per individuare le cause di questi rincari (riferiti ai mercati mondiali all'ingrosso) essi sono stati determinati in larga misura dall'aumento dei prezzi dei beni energetici e fertilizzanti, dai bassi livelli delle scorte, dalla scarsità di alcuni raccolti dovuta soprattutto a fattori legati alle condizioni climatiche, (come la siccità in Australia) e dal forte aumento della domanda. “Quest'ultimo elemento rispecchia principalmente due fattori. In primo luogo, le crescenti disponibilità finanziarie in gran parte delle economie emergenti, in particolare la Cina, hanno modificato notevolmente i modelli alimentari in questi paesi. In secondo luogo, i prezzi elevati dei beni energetici - precisa la Bce - e i crescenti incentivi statali per lo sviluppo di carburanti alternativi che determinano un sensibile aumento della domanda di input agricoli per la produzione di carburanti biologici, soprattutto etanolo e biodiesel”.
Guardando al futuro, prosegue la Bce, è difficile al momento valutare se le recenti dinamiche indicano una variazione dell'andamento di fondo dei prezzi agricoli a livello mondiale. Anche se la domanda mondiale dovrebbe rimanere vivace, l'offerta di prodotti agricoli tende a rispondere all'aumento di domanda e prezzi più rapidamente rispetto ad altri mercati delle materie prime, come petrolio e metalli. La portata dei rincari osservati in questi mercati, prosegue la Banca europea, potrebbe comunque essere limitata. Tuttavia, il rischio che si protraggano le pressione al rialzo sui prezzi degli alimentari rimane il fattore determinante.
Per quanto riguarda gli alimentari freschi, dopo il picco raggiunto nel 2001, dall'anno successivo i prezzi sono stati influenzati occasionalmente da condizioni climatiche insolite in determinati periodi, ma non si rileva un andamento generale. Nella prima metà del 2007, però, la dinamica dei prezzi degli alimentari freschi si sarebbe normalizzata, sebbene i prezzi alimentari appaiano fra i fattori che incidono maggiormente sull'inflazione percepita dell'area euro. Il loro contributo generale all'inflazione misurata è limitato dal loro peso nell'indice complessivo, che è pari circa all'1,9% per gli alimentari trasformati e al 7,6% per quelli freschi. Il contributo diretto dei prezzi degli alimentari freschi e trasformati all'inflazione complessiva - aggiunge l'organismo che sovrintende la politica monetaria Ue - è quindi rimasto contenuto sia in termini storici sia negli ultimi trimestri. Anche i tassi di incremento di queste componenti sembrano sostanzialmente in linea con le medie storiche nel 2007, fino a luglio".
Nel complesso, sottolinea la Banca centrale europea - anche se di recente i prezzi delle materie prime alimentari sono fortemente aumentati a livello internazionale, finora nell'area euro non si sono osservati rincari comparabili degli alimentari al consumo. Le prospettive per i prezzi degli alimentari sia mondiali sia interni rimangono tuttavia caratterizzate da una elevata incertezza. I prezzi degli alimentari dipendono da diversi fattori - prosegue il documento redatto dalla Bce - come i progressi tecnologici e le evoluzioni della politica energetica, che sono molto difficili da prevedere. Inoltre, non è ancora chiaro in che misura le variazioni climatiche potranno contribuire all'andamento dei prezzi degli alimentari.
Ma per un quadro completo della situazione non si può non ascoltare anche la voce dell’Aduc, l’Associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori che, in relazione agli aumenti dei prezzi, punta decisamente l’indice contro i commercianti. In un comunicato stampa a firma del suo segretario Primo Mastrantoni, infatti, l’Aduc sostiene che “per l’aumento dei prezzi il dito è puntato sui commercianti, dal grossista al dettagliante. Vero è che il prezzo del grano tenero, con il quale si fa il pane, è aumentato nell’ultimo anno, altrettanto vero è che il prezzo del grano e’ inferiore a quello di vent’anni fa. Il prezzo del grano nel 1985 costava 0,23 euro al Kg, per scendere a 0,19 nel 1990, a 0,16 nel 1995, a 0,15 nel 2006 e risalire a 0,22 nel 2007. Nel periodo ventennale di diminuzione del prezzo del grano non si è avuta un’analoga diminuzione dei prezzi del pane, anzi questi ultimi sono lievitati in maniera spropositata”. L’Aduc fornisce a questo proposito una tabellina elaborata su fonti della Coldiretti, dalla quale si evincono gli aumenti del prezzo del pane e la diminuzione dei prezzi del grano rapportati al 1985:

Il pane e il grano in Italia
dal 1985 al 2007

Prezzi in euro al Kg
1985 – grano 0,23; pane 0,52
1990 – grano 0,19 (-18%); pane 0,83 (+60%)
1995 – grano 0,16 (-31%); pane 1,03 (+98%)
2006 – grano 0,15 (-35%); pane 2,5 (+380%)
2007 – grano 0,22 (-5%); pane 2,7 (+419%)
Mastrantoni conclude affermando che “nel 2002 i commercianti dissero che l’aumento dei prezzi era determinato dal passaggio all'Euro. Abbiamo dimostrato che non era vero. Oggi ci vengono a dire che sono aumentati i costi alla produzione. E quando diminuivano cosa facevano? Aumentavano i prezzi! Certo è che questo mondo del commercio ha una bella faccia tosta”.
Da notare infine che l’Istat nel mese di giugno ha avuto un impennata con una previsione di aumento dei prezzi su base annua dell’1,7%. Nella stima preliminare, l’Istat aggiunge che i prezzi, su base mensile, sono cresciuti dello 0,2%. L'indice armonizzato dei prezzi al consumo (valido per le statistiche Ue redatte da Eurostat) registra invece a giugno una variazione di +0,3% rispetto al mese precedente e una variazione di +2,0% rispetto allo stesso mese del 2006.
Gli aumenti congiunturali più significativi dell'indice per l'intera collettività si sono verificati per i capitoli Trasporti (+0,8%), Servizi ricettivi e di ristorazione (+0,4%) e Prodotti alimentari e bevande analcoliche, Abitazione, acqua, elettricità e combustibili e Ricreazione, spettacoli e cultura (+0,2% per tutti e tre). Variazioni negative si sono registrate nei capitoli Comunicazioni (-1,1%) e Servizi sanitari e spese per la salute (-0,2%).
Gli incrementi più elevati su base annua si sono registrati nei capitoli Bevande alcoliche e tabacchi (+4,4%), Servizi ricettivi e di ristorazione (+3,0%) e Mobili, articoli e servizi per la casa (+2,7%). Variazioni tendenziali negative si sono verificate nei capitoli Comunicazioni (- 9,5%) e Servizi sanitari e spese per la salute (-0,9%).
In contrasto con le posizioni allarmistiche riguardo ai prezzi all’origine, la “Federconsumatori” e invece di parere contrario. Secondo questa Associazione, infatti, i tentativi di aumentare considerevolmente i prezzi dei prodotti alimentari, a causa dell'aumento delle materie prime, è sicuramente infondato. I cali di consumo degli alimentari registrati dalle famiglie è dovuto - sostiene l’Associazione - a un potere di acquisto massacrato dalle politiche economiche disastrose e dalle speculazioni commerciali messe in atto dal 2001-2006 e nel merito ricorda che si deve sempre ricordare la realtà dei costi di produzione che non si può non conoscere
La Federconsumatori precisa anche che l'aumento internazionale dei costi delle derrate deve essere ridimensionato dell'8% pari all'aumentato cambio Euro-Dollaro dal 2006 al 2007. E inoltre, elemento fondamentale, il costo dei prodotti di base, sui prodotti trasformati e finiti, incide con percentuali che variano dal 10 al 20%.
La Federconsumatori porta come esempio il caso della filiera della pasta: il prodotto di base (grano) incide per circa il 9% sul prodotto finito e per il 91% nei vari passaggi della filiera sino alla vendita al dettaglio. Quindi, eventuali aumenti potranno incidere sino al 9% dell'intero costo del prodotto finito e non traslato, come si vuol fare intendere, completamente sul prezzo al dettaglio. Per maggiore chiarezza un 20% di aumento del prodotto di base inciderà, in questo caso, dell'1,8% e non del 20% come enunciato. Bisogna inoltre ricordare che se un chilo di pasta, che mediamente costa 1,10-1,20 Euro al chilo, subisse aumenti davvero considerevoli, improponibili e speculativi del 10%, essi farebbero lievitare il costo a 1,11-1,21 Euro, anziché i 5-6-cent di euro di cui si parla già per il prossimo settembre.


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