E' quanto mai necessario lavorare per “ridare ai cittadini quella serenità e quel senso della tranquillità” cui ogni paese civile deve aspirare. Per Antonio Manganelli, il nuovo Capo della Polizia, immediato è stato il “battesimo del fuoco”.
Certo, un avvio del suo incarico, così difficile, così duro, il nuovo Capo della Polizia non se lo sarebbe davvero aspettato. L'efferato omicidio nella solitaria viuzza sterrata della stazione di Tor di Quinto a Roma, l'inconsulta rivolta dei cittadini organizzata - o meglio genericamente fomentata da fantomatiche ronde di quartiere che tanta notizia fanno ma che svaniscono poi nell'ombra della metropoli - tentando di mettere in odio le decine di migliaia di cittadini romeni onesti che lavorano in città e scagliandosi direttamente contro tutti quei romeni che sopravvivono forse anche ai margini della legalità, nelle bidonville non periferiche, ma accasciate su tanti quartieri vip, come Vigna Clara o i Parioli il passo è stato breve. Ma non solo, per ambigua traslazione, anche contro tutti i rom che lì vivono accampati di stracci e stenti, mamme distrutte dalla fatica e bimbi commoventi, dove tutto pare facilmente attaccabile e poco difendibile. E non basta. La polizia non fa a tempo a intervenire (forse con la pena nel cuore che deve essere inflessibile in qualsiasi poliziotto si trova di fronte a un ordine), che in una domenica che si presenta tranquilla, è proprio un poliziotto a sbagliare clamorosamente, e un ragazzo, Gabriele Sandri, un onesto lavoratore che parte all'alba in auto con tre o quattro amici da Roma a Milano per sostenere la sua squadra, la Lazio, muore per un crudele colpo di pistola sparato sventatamente. La piazza, una certa 'piazza' di ultrà ben pilotati, ancora loscamente fomentata, coglie la palla al balzo, si 'infuria contro la mancata sospensione di tutto il campionato per la morte dell'incolpevole tifoso e la sera stessa caserme di polizia e di carabinieri attorno all'Olimpico a Roma, vengono assaltate con le molotov: sembrano quasi messe a ferro e a fuoco.
Nel convulso frangente di quella drammatica serata, c'è voluta tutta la saggezza dei dirigenti di polizia, degli ufficiali dei carabinieri, del prefetto e del questore di Roma, di Manganelli e del Ministro, perché la situazione non degenerasse verso un peggio facilmente prevedibile. Al termine, gli ultrà forse soddisfatti, o forse preoccupati del loro stesso ardire, si sono placati con tanto amaro in bocca. Poliziotti e carabinieri hanno subito, si sono difesi senza violenza ed è infine tornata la calma. Lo smacco per le forze dell'ordine, anche se ben calcolato, è stato pesante. A partire dall'assurdo colpo di pistola della mattina.
Alcuni giorni prima di questo drammatico evento Antonio Manganelli aveva fatto una visita di cortesia al Messaggero per incontrare direttamente i cronisti del grande quotidiano romano, quelli sotto i quali giornalmente la polizia è sotto esame. Raccontano i cronisti che Antonio Manganelli nel corso dell'incontro ha ben inquadrato che oltre al terrorismo interno e internazionale, alle mafie e alla microcriminalità, adesso l'impegno verso la città è proprio quello di restituire serenità alla gente comune. Parlando dell'assassinio di Tor di Quinto, Manganelli ha sottolineato in quale misura una donna che "non si sente sicura nella sua città, nel suo quartiere, a casa sua, significhi che le istituzioni hanno fallito la loro missione".
In questa sua analisi informale sulla criminalità Manganelli ha detto che, oltre agli antichi pericoli del terrorismo internazionale e di quello interno, che è tutt'altro che sconfitto, oggi ci si trova davanti a una nuova criminalità dall'Est dell'Europa, che è aumentata moltissimo da Roma in su. E questa nuova 'presenza' induce pure una microcriminalità diffusa, che è quella che maggiormente aumenta il senso di impotenza e di insicurezza della gente comune.
Manganelli ha pure sottolineato quanto "la criminalità diffusa legata all'immigrazione clandestina sia significativa e non casuale" e i responsabili di reati di criminalità diffusa, "si attestano al 30 per cento nel rapporto immigrati clandestini/cittadini del nostro paese". Nei giorni successivi, in altra occasione ha anche aggiunto che quel dato del trenta per cento va disaggregato in quanto bisogna tenere conto del fatto che l'incidenza della criminalità "straniera" è presente da Roma in su, poiché nel Sud Italia è praticamente inesistente.
Collocando in una sua giusta importanza il nuovo fenomeno, il Capo della Polizia ha anche evidenziato che oggi si è pure abbassata la soglia di tolleranza del cittadino verso i crimini spiegando che se alcuni anni fa, la notizia di un sequestro o di una rapina andavano in cronaca, oggi queste notizie trovano quasi sempre le prime pagine..
Per il nuovo capo della Polizia è l'indizio più importante del senso di insicurezza diffuso che c'è tra la gente: "Però è anche vero che se fino ad alcuni anni fa la gente usciva meno la sera e preferiva non frequentare zone isolate, oggi c'è un gran movimento di gente fino tarda notte". Significa dunque che a fronte del senso di insicurezza "percepita" dalla gente, c'è una situazione di sicurezza "reale" che consente una maggiore libertà di movimento.
Antonio Manganelli sa che la sicurezza, la serenità, debbono essere percepite dalla gente e, intorno a questa sfida "è necessario coagulare gli sforzi di tutti, sia delle forze dell'ordine che di chiunque abbia un ruolo nella gestione dei servizi, dagli addetti all'illuminazione delle città sino ai responsabili della tutela dei soggetti sociali.
Diverse debbono essere le azioni simultanee necessarie per vincere la criminalità che incute paura e disagio a Roma e in molte altre grandi città italiane. Innanzitutto occorre separare i giudizi dai pregiudizi. Questi ultimi incitano all'odio e alzano una nube di confusione su ciò che sta accadendo. La responsabilità penale è sempre personale. E così pure la valutazione etica, che riguarda solo i singoli autori dei singoli fatti. Non le persone vicine, meno che mai i gruppi, i popoli, le etnie.
A Roma non ci sono i romeni criminali, ma criminali romeni (e peraltro non solo romeni). Che offendono la dignità di un popolo straordinariamente generoso e vicino alla nostra sensibilità e alla nostra cultura. Tanto da integrarsi, meglio di qualunque altro, nello spazio delle relazioni più intime: la famiglia.
Un'altra valutazione è politica. Bisogna prendere atto che in Italia una strategia dell'accoglienza ideologicamente tollerante e burocraticamente inefficiente ha consentito alla criminalità di molti Paesi dell'Est di insediarsi nelle metropoli in clandestinità e di conquistare gli spazi sottratti alla vecchia malavita autoctona. Su 3.557 arresti compiuti dai carabinieri tra gennaio e agosto, 2.689 riguardano romeni, per la maggior parte che erano clandestini. Sono un'inezia rispetto ai loro 300 mila connazionali (la comunità straniera maggiore in città, che offrono onestamente un contributo prezioso alla società. E che smentiscono qualunque pregiudizio razzista, o anche solo moralista.
Quei 2.689 arresti ci dicono però che la criminalità romena ha scelto l'Italia come il suo Eldorado. Bisogna perciò rendere efficace il sistema delle espulsioni. Anche nei confronti di chi è cittadino comunitario. L'Europa non è uno spazio franco per l'impunità, ma una comunità di nazioni e di civiltà che condividono scambi e libertà a condizione di responsabilità e di reciprocità.
Ma bisogna anche rendere rapido il sistema delle regolarizzazioni di chi viene per lavorare. In questi ultimi anni in Italia è accaduto esattamente il contrario: 600 mila domande di assunzione di cittadini extracomunitari, presentate a gennaio 2006, sono ancora in gran parte inevase. Finora è stato più facile entrare per rubare che per dare un contributo onesto.
Nella quadro della tutela dell'ordine pubblico bisogna colpire le bande con un'investigazione intelligente e con un controllo del territorio incisivo e capillare. C'è una microcriminalità diffusa che suscita un odioso e legittimo disagio nella gente. Bisogna capire fino in fondo che reati come il furto e il borseggio, piccoli nella loro qualificazione penale, sono grandi ferite nell'animo di una comunità. E non possono e non devono restare impuniti nel 90 per cento dei casi.
La quarta azione, senza la quale le prime tre diventano un'improba fatica, è quella penale. Bisogna condannare velocemente e con equilibrato rigore i delinquenti. Chi entra nella casa di un'anziana ottantenne, la picchia selvaggiamente davanti agli occhi del marito inerme e fugge con il bottino non può ricevere una pena di un anno e quattro mesi. Peraltro mai scontati.
Sull'angoscioso evento di Arezzo, il Capo della Polizia è stato chiarissimo sin dal primo momento, dichiarando che la polizia si assumerà le giuste responsabilità che ne verranno. Manganelli nei giorni successivi si è recato a Bologna assieme al Presidente del Consiglio Romano Prodi alla inaugurazione di un nuovo Polo tecnico funzionale della polizia di Stato intitolato alla memoria di Emanuele Petri, ucciso nel 2003 nel conflitto a fuoco sul treno Roma-Firenze che portò all'arresto della terrorista Nadia Desdemona Lioce, Prodi ha sottolineato quanto dalle parole del capo della polizia emerge un'immagine "di forza dell'ordine che risponde al Paese, ed è trasparente" "Gabriele Sandri è stato vittima di una leggerezza imperdonabile e questa vicenda chiede "una risposta tempestiva e trasparente". Antonio Manganelli, parlando della morte del 28enne romano ucciso da un poliziotto l'11 novembre alla stazione di servizio di Badia al Pino ha ribadito il dolore per quella morte e l'intenzione ferma di assicurare alla famiglia del giovane verità e giustizia per quanto accaduto. Le indagini proseguono. "E' questo anche il momento della memoria - dice il Capo della polizia - e il pensiero va in queste ore ai poliziotti che non ci sono più, silenziosi protagonisti degli atti di quotidiano eroismo di cui va fiero il nostro Paese". Ma il pensiero va “anche a Gabriele, vittima involontaria di una leggerezza imperdonabile, della quale oggi questa istituzione porta il peso e io la sofferenza, consapevole del dovere di una risposta tempestiva, completa e trasparente alla domanda di verità e di giustizia che viene dalla collettività”.
Quanto accaduto a Gabriele Sandri "è una ferita che ci portiamo dentro", ha aggiunto Manganelli. E le strade per evitare che, in futuro, si verifichino episodi analoghi, sono due: intanto, come si diceva, "una risposta completa alla domanda di verità. Poi, comportarsi bene sulla strada, facendo il proprio dovere come fece Emauele Petri. Noi cerchiamo di fare il meglio nel momento della formazione, dell'aggiornamento professionale, anche se quanto accaduto nell'area di servizio di Arezzo non ha nulla a che fare con la formazione: sono quegli eventi assolutamente imprevedibili, quegli errori inescusabili che non si scongiurano".
Anche il ministro dell'Interno Giuliano Amato ha apprezzato le parole del prefetto Antonio Manganelli pronunciate sul caso di Gabriele Sandri, "E' bene che le abbia dette lui", ha detto sottolineando quanto la morte di Sandri pesi su tutti.
"Questa ferita ce la portiamo dietro - ha proseguito Manganelli - e non in un modo formale. Ho detto e ripeto che c'è stata una imperdonabile leggerezza. Ho detto che Gabriele Sandri è una vittima involontaria e che la polizia porta il peso di quello che è successo. E vuole condividere con la famiglia di Gabriele il fatto che personalmente portiamo, ciascuno di noi, una vera sofferenza per quello che è accaduto".
Soddisfazione e prudenza nei sentimenti della famiglia Sandri nelle parole del loro avvocato Michele Monaco che ha sottolineato quanto la famiglia abbia apprezzato le parole del Capo della Polizia. “Giusto- ha detto Monaco- che le istituzioni si stringano intorno a questa famiglia. Si tratta di affermazioni in linea con quanto detto dal presidente della Repubblica ai familiari di Gabriele. Il capo dello Stato Giorgio Napolitano - ha proseguito il legale - ha dato certezze di trasparenza e l'intervento di oggi di Manganelli dimostra che si intende seguire quella strada. Tutto ciò - conclude il legale - è molto bello e positivo".
FOTO. Antonio Manganelli, Capo della Polizia di Stato
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