I cosiddetti subprime sono prestiti o mutui erogati a clienti definiti "ad alto rischio", quei "cattivi pagatori", cioè, che hanno una attestata minore facilità alla corretta e puntuale restituzione dei prestiti contratti. I prestiti a loro favore vengono definiti "subprime", cioè di qualità “non primaria” proprio a causa di queste loro caratteristiche legate al maggiore rischio a cui sottopongono il creditore. Un rischio superiore ai debiti primari (i ‘prime’) rappresentati dai prestiti o mutui erogati in favore di soggetti con una buona storia creditizia e garanzie abbastanza affidabili.
Banche specializzate americane e altri Operatori privati, attratti però dagli elevati tassi di interesse applicabili ai mutui subprime non si fecero scrupolo di attirare i clienti, offrendo condizioni più semplici ed elastiche. Ma ciò avveniva solo apparentemente. Queste tipologie di contratto "più semplici e vantaggiose" avrebbero finito, infatti, per essere nel tempo, assai sfavorevoli per i clienti dato che, pur prevedendo un tasso fisso iniziale accettabile, dopo qualche tempo esso si trasforma in tasso variabile, ancorato al tasso d'interesse stabilito dalle Banche Centrali.
Si sono registrati numerosi casi in cui un tasso d'interesse inizialmente fissato al 4% , a seguito degli aggiustamenti annuali, finiva per avvicinarsi al 10 %. Un simile incremento può portare la rata mensile a una crescita dell'85 per cento.
Premessa
Nel luglio 2007 la Borsa degli Usa è stata terremotata da insolvenze sul mercato dei mutui immobiliari concessi dalle Banche statunitensi a quei clienti definiti ad ‘alto rischio’. Le conseguenze hanno influenzato le Borse mondiali e, in quattro giorni tra luglio agosto, gli indici azionari mondiali sono precipitati sui minimi degli ultimi tre mesi mentre quelli europei degli ultimi cinque. Tutto in conseguenza dalle notizie sul fallimento di molti fondi immobiliari collegati ai mutui ad alto rischio prima negli Stati Uniti e successivamente in Europa.
Gli esperti stanno ora cercando di capire come sia stato possibile che perdite di circa 150 miliardi di dollari al massimo, con un effetto a valanga, abbiano provocato danni alle Borse mondiali danni molto più ingenti. Alcuni osservatori parlano di una crisi benefica che sgonfierà le bolle speculative createsi nei mercati finanziari, mentre altri esperti temono che gli effetti della crisi del mercato immobiliare americano si possano ripercuotere su tutto il sistema finanziario del mondo.
Le Banche e società finanziarie che operano nel mercato dei mutui subprime e dei fondi immobiliari cominciano a verificare i propri conti, e soprattutto i finanziamenti in corso, e quindi ad accantonare riserve per bilanciare eventuali perdite legate a eventuali insolvenze sui mutui subprime ed alla conseguente perdita di valore delle obbligazioni garantite dai subprime.
Un eccessivo costo del denaro per le Banche è un rischio per l'intero sistema, in quanto ricade su tutta l'economia. Questo fenomeno si chiama credit crunch, cioè il rallentamento e la contrazione delle attività finanziarie con conseguente riduzione degli investimenti in tutte le attività economiche. E proprio per evitare questo rischio, le Banche Centrali hanno immesso liquidità, prestando danaro a basso costo al sistema bancario in misura superiore a quella che fu necessaria per domare la crisi dell'11 settembre..
Il ‘subprime’, ma cosa è?
La storia creditizia di coloro che contraggono un prestito subprime presenta in genere delle caratteristiche piuttosto tipiche, quali due o più pagamenti effettuati oltre 30 giorni dopo la scadenza, oppure l'insolvenza di un mutuo negli ultimi due anni o la dichiarazione di bancarotta negli ultimi cinque.
Nel giugno del 2007 la Corte dei conti degli Stati Uniti, ha osservato che, già fra il 2001 e il 2005 la quota percentuale di privati, che si rivolgevano alle Agenzie federali per la casa per ottenere nuovi mutui residenziali, era scesa dal 19 al 6 per cento. Le Banche specializzate e gli altri Operatori privati, che avevano già raggiunto una fetta di quasi il 20% del mercato totale, attratti dagli elevati tassi di interesse applicabili ai mutui subprime non si fecero però scrupolo di attirare i clienti, offrendo condizioni più semplici ed elastiche. Ma ciò avveniva solo apparentemente.
Queste tipologie di contratto “più semplici e vantaggiose” avrebbero finito, infatti, per essere nel tempo assai sfavorevoli per i clienti dato che, pur prevedendo un tasso fisso iniziale accettabile, dopo qualche tempo esso si trasforma in tasso variabile, ancorato al tasso d'interesse stabilito dalle Banche Centrali.
Si sono registrati numerosi casi in cui un tasso d'interesse inizialmente fissato al 4% , a seguito degli aggiustamenti annuali, finiva per avvicinarsi al 10 %. Un simile incremento può portare la rata mensile a una crescita dell'85 per cento.
Nel settembre del 2007, l'Associazione statunitense delle banche del settore dei mutui, ha dichiarato che la quota dei mutui subprime sottoposti ad esecuzione forzata aveva raggiunto il massimo di tutti i tempi. Il ritardo nei pagamenti dei mutui concessi a persone a basso reddito e ad alto rischio d'insolvenza ammontavano, nel secondo trimestre del 2007 al 15% circa del totale. Una percentuale enorme.
Va tenuto conto che nel 2006 i mutui subprime raccoglievano, soltanto nel mercato statunitense, circa 600 miliardi di dollari giungendo così a coprire circa il 20% del mercato dei mutui del Paese. Nel suo ultimo Rapporto sulla Stabilità Finanziaria, il Fondo monetario internazionale ha stimato in 200 miliardi di dollari le perdite registrate nei subprime fra il febbraio e il settembre del 2007.
Inoltre, sempre per ben capire l’entità della crisi, dobbiamo tener conto che negli anni il fenomeno dei subprime si è esteso dal mondo dei mutui ipotecari anche a quello del consumo in genere attraverso la creazione della "carta di credito subprime", dedicata anch'essa a debitori ad alto rischio.
Tale carta di credito subprime si è diffusa negli anni sempre di più nel mercato statunitense e, dopo un inizio in cui i bassi limiti di credito erano accoppiati a tariffe molto elevate con tassi d'interesse che superavano anche il 30 %, negli ultimi anni una agguerrita concorrenza ha abbassato alla soglia del 10% i tassi applicati, anche se sono ancora molto diffuse carte di credito subprime con tassi superiori al 20%.
Riassumendo: le Banche americane, piene di liquidità a basso costo, in un momento di boom immobiliare, si sono spinte a prestare danaro per l'acquisto della casa anche a clientela a maggior rischio perché attratte dal maggiore interesse che se ne può ricevere.
Dall’America all’Europa
Ma ciò che serve capire è come mai i meccanismi delle insolvenze sui subprime USA si sono gradualmente trasferite sulle banche e sui mercati finanziari internazionali, provocando forti cali delle borse mondiali. Questo nefasto fenomeno risiede, come al solito, nei meccanismi attuati dalle Banche per la gestione del rischio connesso ai mutui ad alto rischio. Normalmente infatti la Banca titolare di crediti ad alto rischio e ad alto rendimento (i subprime), si tutela dalle insolvenze in agguato, cartolarizzando questi debiti e rivendendoli ad altri investitori istituzionali (Fondi e Banche), che ne trattengono una parte e vendono il resto sul Mercato internazionale e così, solo per esempio, un'insolvenza nel Texas danneggerà un investitore indiano.
Con tale operazione le Banche erogatrici dei mutui, in virtù del fatto che l'elevato rischio connesso a questi prodotti è compensato da rendimenti molto elevati (e superiori alla media), rientrano di danaro fresco da reinvestire e ripartiscono sul mercato mondiale il loro rischio elevato di insolvenza.
In altri termini le Banche, con la vendita di obbligazioni emesse a fronte di crediti derivanti da cartolarizzazioni garantite da beni sottostanti (in questo caso le ipoteche e le case che garantiscono i mutui), hanno ‘spalmato’ sul mercato degli investitori istituzionali e di quelli privati il rischio derivante dalle proprie esposizioni sui mutui subprime ad alto rischio.
In un secondo momento, come peraltro previsto, le insolvenze delle famiglie debitrici incapaci di pagare le rate crescenti del proprio mutuo ad alto rischio hanno generato perdite a vari livelli e si sono trasferite sugli Investitori che avevano acquistato le obbligazioni ad alto reddito e derivanti da cartolarizzazioni “garantite da ipoteche”.
Con il meccanismo descritto, dalle famiglie le insolvenze sono ricadute sui mercati generando le forti perdite delle Borse mondiali di cui si parla oggi come della crisi dei mutui ad alto rischio.
Vediamo ora di capire come si sono generate queste enormi perdite per il sistema bancario ed economico. Come abbiamo visto, la maggior parte dei mutui subprime è stata concessa a tasso variabile o misto (metà fisso e metà variabile) ai mutuatari statunitensi intorno agli anni 2000, in un periodo in cui i tassi d'interesse negli USA erano particolarmente bassi (anche dell'1 per cento).
Con quei livelli di interessi, la scelta di un mutuo a tasso variabile sembrò alla clientela assai vantaggioso, ma i tassi d'interesse in seguito crebbero e con essi le rate del mutuo per il popolo dei mutuatari. E trattandosi proprio di debitori già in partenza in difficoltà, la crescita dell'importo delle rate provocò diverse insolvenze.
Le Banche agirono pignorando la casa ipotecata a garanzia del mutuo e nei primi tempi, con i prezzi elevati delle case, le Banche alla fine guadagnarono anche con i pignoramenti. Ma in seguito, quando il mercato immobiliare fino ad allora cresciuto a dismisura, cominciò a cedere, il valore della casa pignorate dalle banche era più basso alla somma di denaro a suo tempo prestata con il mutuo subprime . Ne derivarono quindi gravi perdite per le banche e non solo per quelle che operavano con i mutui. Infatti la banca, che prestava il danaro per mutui subprime, per assorbire il rischio lo suddivideva con altri investitori e moltiplicava i profitti da commissione, cartolarizzando questi mutui. La cartolarizzazione implica il raggruppamento dei mutui in un unico pacchetto, che poi veniva suddiviso in quote, che vengono rivendute ad altre banche e sul mercato. Ogni quota era quindi garantita dagli stessi immobili su cui erano stati accesi i mutui.
L'investitore riceveva un buon rendimento perché al valore della casa (ipotecata perché data in garanzia) si aggiungevano interessi che corrispondevano a una parte degli interessi pagati dal popolo dei mutuatari.
Nel caso di titoli derivanti (i famoso ‘derivati’) dai i mutui subprime, il rendimento è maggiore perché i mutuatari pagano più interessi della media.. A maggiore rischio, maggiore rendimento. Il gioco però non si ferma qua perché, a loro volta, questi titoli che contribuiscono a formare altri titoli obbligazionari emessi a fronte di cartolarizzazioni, sono di fatto dei fondi suddivisi in quote che rendono un certo tasso d'interesse. Questi fondi, come visto, sono composti di una serie di prodotti finanziari diversi fra cui anche gli stessi mutui subprime. Chi compra una quota di questi "fondi" per incassarne gli interessi, spesso ignora cosa c'è esattamente dentro la scatola di cui ha comprato una quota.
Spesso poi le quote di un fondo finiscono dentro altri pacchetti di strumenti finanziari, in un gioco di matrioske potenzialmente senza limite e via via sempre meno trasparente. Per tale loro composizione e diversità di provenienza ed origine, tali strumenti sono stati soprannominati titoli "salsiccia".
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