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Del seguente articolo:

marzo-aprile/2008 -
La morte ti guarda, nessuna speranza
Rogo in fabbrica, cronaca in diretta
Fabrizio Di Nola

Pubblichiamo, con molto dolore per chi ha perso la vita, lo stralcio di una cronaca che gira su internet, scritta forse da un sopravvissuto alla tragedia e che rende tutta la disperazione della morte sul lavoro.
Non è dato sapere quanto questa dura cronaca sia sostenuta da una sapiente costruzione del testo o, più semplicemente sia nuda e cruda realtà. Non interessa approfondire questo aspetto. Non serve.
Tutti coloro che debbono o vogliono conoscere la realtà, sanno bene che, fantasia o meno, questa che viene descritta è la faccia della morte nel fuoco. Tanti vorrebbero passare oltre queste parole, ma è necessario leggerle per comprendere il dramma di chi perde la vita per lavorare.


Sono nel turno di notte e quella sera.... sono arrivato come sempre un quarto d'ora prima, ho posato la macchina, ho preso lo zainetto e sono entrato col mio tesserino.... Salgo, guardo il lavoro che mi aspetta per la notte e vedo che ho solo un rotolo da fare. Allora vado prima a trovare quelli della ‘linea’ ... e si finisce per parlare tutti insieme del solito problema. La nostra fabbrica chiuderà. Per prima si fermerà proprio la nostra linea, stiamo cercando lavoro e non sappiamo dove trovarlo. (…) A un certo punto, sarà mezzanotte e mezza, io saluto tutti e dico che vado a fare quello che mi aspetta. Salgo, e lì sotto comincia l'inferno. (...)
Ma avete idea di com'è davvero l'inferno? ...
La gru è in movimento e il turno montante era completo. Mancavano due operai, ma due si sono fermati in straordinario anche se avevano già terminato il loro turno
Quella tecnicamente è una linea tecnico-chimica per trattare l'acciaio, temprarlo e pulirlo per poi poterlo lavorare. Stiamo parlando di una bestia di forno a quasi duemila gradi, lungo come tre autoreni, alto come un vagone a due piani, e lì dentro l'acciaio viaggia a 25 metri al minuto se è spesso e a 60 metri se è sottile, per poi andare nella vasca dell'acido solforico e cloridrico che gli toglie l'ossido creato dalla cottura nel forno. La squadra degli operai addetti sta nel pulpito, come lo chiamiamo noi, una stanzetta col vetro e i comandi. Ci sono anche il capoturno e un suo collega addetto al trenino che porta il rullo da una campata dello stabilimento all'altra.
Manca poco all'una. Il nastro scorre a velocità bassa, sbanda, va contro la carpenteria, lancia scintille, l'olio e la carta fanno da innesco, c'è un principio di incendio. Loro pensano che sia controllabile, come altre volte. (...) Un flessibile pieno d'olio esplode in quel momento, passa sul fuoco come una lingua e sputa in avanti, orizzontale, è un lanciafiamme. Non li avvolge, li inghiotte. Un operaio è proprio dietro un carrello elevatore per prendere un manicotto, e quel muletto lo ripara salvandolo. Vede un'onda, sente una vampa di calore che lo brucia per irradiazione, ma si salva. Gli altri sono divorati mentre urlano e scappano. Piomba in finitura il gruista della terza campata, corri mi dice, corri, è scoppiata la 5, sono tutti morti. Non ci credo, ma si avvicina urlando, è bianco come uno straccio e sta piangendo. Corro, torno indietro, metto in sicurezza la gru, corro, non penso a niente, corro e li vedo. Il primo è Rocco, il capoturno, che aveva addosso la radio e il telefono interno, bruciati nel primo secondo. Appare all'improvviso, al passaggio tra le ‘linee’ di produzione.
Non avevo mai visto un uomo così. Anzi sì: dal medico, in quei tabelloni dov'è disegnato il corpo umano senza pelle, per mostrare gli organi interni. La stessa cosa. Le fasce muscolari, i nervi, non so, tutto in vista. Occhi e orecchie, non parliamone. Non mi vede, non può vedere, ma sente la mia voce che lo chiama, si gira, barcolla, cerca la voce, mi riconosce....
Lo tocco, poi mi fermo, non devo. Ha la pelle, ma non è più pelle, come una cosa dura e sciolta. Un collega continua a saltarmi attorno, cosa facciamo? Mando via tutti quelli che piangono, che urlano, che sono sotto choc e non servono, non aiutano. Dico di non toccare l’uomo bruciato, di scortarlo con la voce fuori: gli chiedo se se la sente di seguire i compagni, di seguire la voce. Va via, lo guardo mentre dondola e sembra cadere a ogni passo, mi sembra di impazzire. Mi butto avanti, tutta la campata è piena di fumo nero, bruciano i cavi di gomma, i tubi con l'acido, i manicotti. Vedo un altro che corre in giro a cercare una pompa, mi vede e mi urla in faccia: "Li ho tirati fuori, li ho tirati fuori. Ma lui è vivo e sta bruciando lì per terra". In quel momento un altro urla nel fuoco. Tre grida. E tutte e tre le volte un amico cerca di gettarsi tra le fiamme e dobbiamo tenerlo, ma lui ripete come un matto: "Il fuoco lo sta mangiando". Dico di portarlo via, fuori. Mi volto e mi sento chiamare. Non ci credo, guardo meglio, non si vede niente. Arrivano due fantasmi bruciati consumati dal fuoco eppure in piedi. Non mi sentono più parlare, non sanno dove andare, in che direzione cercare, sono ciechi. Poi uno di loro si muove, barcolla verso la linea 4 tenendosi le mani davanti, come per coprirsi. Mi avvicino e lo chiamo, si volta, chiama il collega e vedo che la loro pelle scivolata via, non so cosa dire e loro mi cercano, mi chiedono di guardarli in faccia: com'è? Cosa ci siamo fatti?" Nessuno sa cosa fare davanti a una cosa così.
Due compagni di lavoro carbonizzati, e ancora vivi. Uno ha preso due giacconi, glieli ha buttati addosso. "Aiutaci - dicevano - portaci via". Ragazzi, ho provato a rassicurarli., l'importante è che siate in piedi, io non so se posso toccarvi, non posso prendervi per mano, ma vi portiamo fuori, vi facciamo da battistrada. Due passi, e trovo per terra altri (...). Statue di cera che si sciolgono, l'olio che frigge, non c'è più niente, solo la voce. Mi accoccolo vicino a un altro, gli parlo. Si volta: "Dimmi che starai vicono ai miei". Il compagno ripete che ha due figli piccoli, "non potete farmi morire". Un terzo sembra più calmo: "Non pensare a me, io sto meglio, occupati di loro". Poi, quando ritorno da lui mi chiede: "Come sono in faccia? Cosa vedi?" Arrivano i pompieri, poco per volta, li portano via.
Un vigile mi dice che stanno morendo, ma il fuoco gli ha mangiato le terminazioni nervose, per questo resistono al dolore. Non so se è vero, non capisco più niente, ho quei manichini davanti agli occhi.


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