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Del seguente articolo:

marzo-aprile/2008 -
Dramma e poca sicurezza sul lavoro
Non sono semplici "incidenti"
Veronica Rodorigo

Le cifre di caduti per le ‘morti bianche’, che fanno purtroppo notizia solo nel momento del dolore, genericamente definite come ‘incidenti’, sono in realtà vere e proprie cifre da guerra, sostiene l’Associazione. Paragonandole alla guerra che è in corso in Iraq, quest’ultima è costata molte meno vite fra gli uomini dell'esercito americano di quanti siano stati i caduti sul lavoro in Italia. “Ma questa guerra che ogni giorno si affronta sul nostro territorio non è una di quelle guerre ‘per il petrolio’, è invece una guerra combattuta giorno per giorno da uomini e donne che si trovano a lavorare per pochi soldi, senza difese, senza tutele o garanzie”.
Le morti sui luoghi di lavoro sono spesso da attribuirsi anche a chi non si adopera nel rispettare e a fare rispettare le norme sulla sicurezza. La vita degli operai, quella degli edili, dei braccianti, la vita precaria di chi per tirare avanti è magari costretto a lavorare anche otto, dieci ore di seguito su di una impalcatura, spesso senza adeguate protezioni, o di chi deve manovrare macchinari con i sistemi di sicurezza disattivati, per aumentare la produttività. In questo tetro panorama emerge anche l’incapacità di chi dovrebbe approvare leggi più stringenti, e farle rispettare: quella dello stato.

Il reinserimento al lavoro con la tutela delle vittime di incidenti e delle malattie professionali

A cinque mesi dall'entrata in vigore della legge 123/07 (nuove norme in materia di sicurezza sul lavoro) i coordinamenti provinciali delle attività ispettive previsti all'art. 4, stanno appena muovendo, quando va bene, i primi passi.
Certamente, non è soltanto una questione di numeri: che gli infortuni sul lavoro siano una piccola percentuale in più o in meno rispetto all'anno precedente non è la cosa più importante, non aiuta a cambiare, ed essi sono sempre tanti, troppi. Nell'era della tecnologia digitale, gli operai edili e metalmeccanici, come ieri e forse di più, muoiono o rimangono colpiti con gravi, invalidanti, esiti permanenti.
Le statistiche, però, ci dicono che realmente è possibile fare di più, che altri ci sono riusciti, salvando così centinaia di vite. Anche oggi, dopo che l'attenzione al fenomeno è enormemente cresciuta, grazie ai continui appelli e anche a seguito, purtroppo, di ripetute tragedie sul lavoro, la sensazione è che le leggi in positivo che ci sono restino solo sulla carta e che sul fronte della cultura della sicurezza siano davvero pochi i passi in avanti.
La legge 68/1999 sul diritto al lavoro dei disabili contiene


specifiche e speciali norme per il ricollocamento e la riqualificazione degli infortunati sul lavoro con l'obiettivo di garantire a una particolare categoria di disabili per lavoro, un trattamento di riammissione che tenga conto del fatto che essi, prima dell'evento dannoso, vi erano già pienamente integrati. Ad oggi risulta reinserito solo il 5% degli iscritti al collocamento. Questo percorso specifico è rimasto soltanto sulla carta.

L'indennizzo economico del danno

La riforma realizzata con il Decreto legislativo 38/2000 - con il quale è stata introdotta in via sperimentale la copertura del danno biologico, salutata come un intervento che si annunciava migliorativo per la definizione delle rendite - nella sua applicazione concreta ha comportato un netto ridimensionamento del livello delle prestazioni in rendita se non addirittura la trasformazione dell'indennizzo da rendita, a capitale liquidato una tantum.
Per fare un esempio, spiega l’ANMIL, un lavoratore infortunato che perde un piede, nel caso abbia moglie, un figlio a carico e una retribuzione media, percepisce dall'INAIL il 13,39% di rendita in meno (963 euro l'anno) rispetto al regime precedente al Decreto 38/2000 e perde circa 45.000 euro di risarcimento in sede civile.
Di fatto la nuova legge non ha tutelato il lavoratore: ha tolto buona parte sia del risarcimento che dell'indennizzo dovuto. L’ANMIL prosegue spiegando che chi si è infortunato dopo il 25 luglio 2000 è molto meno tutelato di prima, anche se qualcuno dice che adesso l'INAIL paga anche il danno biologico.
I lavoratori vittime di infortuni o malattie professionali hanno pertanto perso i garanzie mentre i grandi gruppi assicurativi privati che garantiscono la responsabilità civile delle aziende hanno visto ridursi drasticamente il quantum dei risarcimenti erogati a favore dei lavoratori infortunati. Le imprese hanno potuto ridurre i costi delle coperture assicurative.
L'INAIL dall'avvio della riforma ha iniziato ad accumulare avanzi di amministrazione, che ormai viaggiano su più di due miliardi di euro l'anno, per un totale ad oggi di oltre 13 miliardi di euro finiti nelle casse dello Stato.
Il risultato è che l'INAIL ormai non è più posto in condizione di garantire tutela adeguata alle vittime del lavoro in quanto:
- eroga prestazioni economiche peggiori che in passato;
- non può svolgere interventi sanitari adeguati;
- non può promuovere interventi per il reinserimento lavorativo.
E non solo non si è provveduto a quei piccoli aggiustamenti sollecitati dall'ANMIL che avrebbero consentito di rimediare alle più palesi incongruenze, ma nemmeno si è messo mano alla riforma del Testo unico del 1965, la legge base dell'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, ormai del tutto squilibrata dall'età e dai continui interventi di modifica.
Senza contare che dal 1995, con la riforma delle pensioni del Governo Dini, agli infortunati sul lavoro è precluso anche l'accesso all'assegno di invalidità ed alla pensione di inabilità dell'INPS, con il risultato che il risarcimento per il danno subito diventa mezzo di sostentamento. Ed anche in questo caso, nonostante la volontà unanime delle forze politiche di abolire questa norma, sembra impossibile reperire le poche risorse finanziarie necessarie (circa 20 milioni).

La tutela giudiziaria

Per quanto riguarda il fronte giudiziario vero e proprio i lavoratori infortunati e le famiglie dei morti sul lavoro scontano tutte le inefficienze classiche del sistema giustizia (procedimenti giudiziari lunghissimi, termini ridotti di prescrizione nel procedimento penale, indulto, inefficienza del sistema di accertamento delle responsabilità).
Su questo punto l'ANMIL concorda con il pensiero del Procuratore Aggiunto di Torino Raffaele Guariniello che in questi giorni ha sollecitato la creazione di un organismo giudiziario nazionale che potrebbe avere una competenza per gli affari più rilevanti su tutto il territorio. Dove non ci sono magistrati specializzati in sicurezza, infatti, è impossibile affrontare processi che richiedono competenze specialistiche e anche procedurali di grande rilievo.

Riorganizzazione enti previdenziali

Grande preoccupazione infine, desta tra le vittime del lavoro la sorte nell'immediato futuro ed a medio termine delle ricorrenti iniziative per l'unificazione degli enti previdenziali e della gestione delle diverse forme di tutela.
“Non intendiamo - sottolinea l'Anmil - in questa sede entrare nel merito del dibattito in corso su questo tema se non per sottolineare ancora una volta come il motivo conduttore di queste iniziative sia costituito dalla riduzione dei costi e delle spese, vista non come ricaduta della razionalizzazione del sistema, ma come obiettivo fine a se stesso.
“Manca - o sembra al più una clausola di stile - l'impegno per sinergie e cooperazioni volte a migliorare la qualità dei servizi e l'efficacia della tutela da garantire agli utenti dei servizi stessi”. È auspicabile, prosegue l’Associazione, che fra le tante ipotesi prospettate prevalga un assetto che valorizzi la possibilità di integrazione dei servizi orientati alla tutela per i rischi del lavoro e la salute dei lavoratori, con la partecipazione della intera filiera dei soggetti - non solo previdenziali - che di tale tutela sono protagonisti.
Restano in ogni caso la preoccupazione e lo sconcerto per il fatto che gli enti previdenziali siano considerati semplici strumenti operativi dello Stato - al di là di quanti organi rappresentativi siano presenti al loro interno - dei quali interessa il valore complessivo e il risparmio complessivo che possano realizzare.
A commento dei dati allarmanti che fanno dell'Italia "la maglia nera in Europa", il Ministro del Lavoro, pur confermando la gravità del fenomeno, ha sottolineato il cambio di rotta rispetto al passato. "Si è registrata nell'ultimo periodo un'inversione di tendenza, ma gli oltre 1300 morti del 2006 segnalano che il fenomeno è ancora vistoso. Le leggi in Italia


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