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Del seguente articolo:

marzo-aprile/2008 -
Baraccopoli e clandestini
I Rom in città, vita tra discriminazione e diritti
Maria Luisa Venditti

Rendere "Roma sicura" sembra possibile semplicemente attraverso la "bonifica" dalle baraccopoli, dai campi Rom, con un patto che, nella sigla, non riporta nessuno dei "contraenti sociali". La democrazia che si delinea ha le forme di un "moderno apartheid" .
Migliaia di appartamenti vengono lasciati vuoti in città al fine di far lievitare il mercato immobiliare, altri sono lasciati al degrado, non esiste un piano cittadino di edilizia popolare per chi, già povero o "nuovo povero", giovane, italiano o straniero, in condizioni di legalità o di clandestinità, è escluso dal diritto di abitare.
Eppure le deportazioni nei campi di Rom e clandestini, le espulsioni coatte, le condizioni di vita in clandestinità e di sfruttamento cui sono sottoposti soprattutto donne e bambini migranti, sembrano più sintomo di xenofobia diffusa piuttosto che carenza di inserimenti abitativi o presunti legami con le ragioni della sicurezza e della legalità.
L'Italia è l'unico paese in Europa dove c'è la convinzione che Rom e clandestini debbano vivere per forza in campi e villaggi, possibilmente circondati da un muro, fosse anche fatto solo di indifferenza e disprezzo, che possa renderli invisibili, che protegga il nostro odio, le nostre paure, spesso alimentate da certa stampa, anche di ispirazione liberale o progressista.
I fatti di cronaca sono sempre "etnicizzati" e allarmanti, spesso in un modo subdolo anche e non solo da parte della politica di centro-destra che potrebbe ritenersi scontata ma e purtroppo sempre più spesso da parte dell'area politica di centro-sinistra e riformista, che sembra rinunciare , in nome della cattura del consenso, a doveri storici verso la società.
Le politiche che possano far emergere l'uguaglianza, la convivenza, la corretta informazione , l'inclusione tra stili e stati di vita e di religioni differenti sembrano spesso essere succubi, se non più spesso complici o protagoniste dell'arretramento etico e culturale. Sempre più sono nascoste, o sconvolte, o travolte le notizie delle morti e delle vite spezzate sul lavoro, in pochi evidenziano l'esistenza del "nuovo caporalato", che riduce gli individui in condizioni di neoschiavismo soprattutto in agricoltura, e la mancanza e il progressivo smantellamento dello stato sociale cui suppliscono donne che lavorano senza pausa nell'assistenza di anziani e bambini. Diritti, doveri e rispetto uguali per tutti dovrebbero essere la netta risposta, il vero patto per la sicurezza sul quale coinvolgere anche tutti i "contraenti sociali", così da indurli per primi al rispetto, in nome della nostra Costituzione che pone all'apice dell'ordinamento il principio di eguaglianza e di tutela delle minoranze; ne garantisce l'accesso all'istruzione, la promozione e il pieno sviluppo della persona umana a qualsiasi formazione sociale appartenga. La coscienza democratica dovrebbe rispondere con fermezza al clima intollerante e irrazionale, che si nutre di pregiudizi antichi e di nuove avversioni. Da uno studio della Comunità di S. Egidio il numero complessivo dei Rom e Sinti presenti in Italia, nonostante l'aumento dovuto, negli ultimi 6 anni, alle migrazioni di Rom romeni, in percentuale sul totale della popolazione in Italia, rimane al di sotto dello 0,3% , di cui circa la metà di cittadini italiani. Inoltre la popolazione Rom e Sinta ha una media di età molto bassa: quasi il 40% ha meno di 18 anni ed è presente in quasi tutti gli Stati membri del Consiglio d'Europa in numero di gran lunga superiore rispetto all'Italia, come ad esempio in Germania, Francia, Spagna. La vita dei Rom e Sinti è sempre e ovunque caratterizzata dal disprezzo e dall'isolamento. L'apice atroce della persecuzione data dall'"antigitanismo", professato senza pudore e memoria storica nei loro confronti, è stato raggiunto con l'immenso, spesso ignorato, olocausto di circa mezzo milione o più persone durante la seconda guerra mondiale. A Roma Rom e Sinti non sono nomadi, ma stanziali vittime di continui sgomberi che aspirano ad una soluzione abitativa stabile. Centinaia di famiglie sono in lista d'attesa nelle graduatorie per l'assegnazione di case popolari e 5000 dei 10.000 di loro vivono a Roma da più di trenta anni. La mentalità delle "soluzioni temporanee" data dall'idea che si tratti di realtà in continuo spostamento ha fatto crescere più di due generazioni di Rom nelle discariche delle nostre periferie, senza servizi essenziali, in situazioni simili alle metropoli del Terzo Mondo e il degrado e la marginalità sociale spesso hanno spinto queste realtà emarginate alla devianza, in un modo del tutto prevedibile. La novità del "Patto per Roma" dunque non è nell'ubicazione dei luoghi, ma nella convinzione che Rom e Sinti vadano isolati. In passato il Comune aveva operato con politiche di scolarizzazione, inclusione sociale, avviamento al lavoro, quindi in modo inclusivo e contrario rispetto al "Patto per Roma".
Ma il "Patto per Roma" è soprattutto l'esatto contrario di quanto raccomandato dall'Ecri (Commissione Europea contro il Razzismo e l'intolleranza) nel suo "Terzo rapporto sull'Italia" del 16.12.05, in cui si legge:
"L'Ecri riafferma che le autorità italiane non dovrebbero basare le loro politiche relative ai Rom e ai Sinti sul presupposto che i membri di tali gruppi preferiscono vivere come nomadi. Raccomanda vivamente alle autorità italiane di affrontare la questione dell'alloggio delle popolazioni Rom e Sinti in stretta collaborazione con le comunità stesse, e raccomanda che l'obiettivo sul lungo periodo delle politiche abitative dovrebbe essere quello dell'eliminazione dei campi nomadi".
E non tiene conto di quanto affermato dalla risoluzione del Parlamento Europeo sulla protezione delle minoranze e le politiche contro la discriminazione nell'Europa allargata nel 2005, in cui si legge che: si ritiene che la comunità dei Rom e Sinti necessiti di una protezione speciale essendo diventata, a seguito dell'allargamento, una delle minoranze numericamente più importanti nell'UE ed essendo stata, in quanto comunità, storicamente marginalizzata ed ostacolata nel suo sviluppo in taluni settori chiave: la cultura, la storia e le lingue Rom sono spesso trascurate o denigrate.
è ovvio che sarebbe necessario opporsi ad una diffusione della cultura della paura che può produrre niente altro che conflitti, devianza e violenza.


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