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Del seguente articolo:

Aprile-Maggio/2009 -
Una vergogna ancestrale
L’odiosa violenza contro le donne
Elisa Nemiz

Dalla mancanza di rispetto allo ‘stolking’,
fino all’aggressione più becera,
danni irreparabili con segni
indelebili nella vita

Nei casi di violenza contro le donne e, in generale sulle persone, le Istituzioni non possono, essere tolleranti. Debbono invece innanzitutto osservare - e rigorosamente applicare - le leggi in vigore e farne anche delle altre ancora più severe. Serve soprattutto lavorare affinché la pena venga applicata in ogni dettaglio e poi scontata in carcere.. Riguardo alle cifre diffuse sulle percentuali dei violentatori, non interessa il colore della loro pelle, in quanto per la legge i colpevoli debbono essere tutti uguali. Stesse le pene che ciascun reo deve scontare fino in fondo, e per tutti lo stesso metro di giudizio. Lo Stato, le istituzioni, si nascondono dietro percentuali, ragionamenti, leggi, sanatorie, che spesso creano anche confusione con difficoltà nell’applicazione delle pene


Stiamo adoperando un complicato giro di parole per non usare quello sporco termine con il quale, molto frettolosamente, negli atti ufficiali o sui giornali si liquida quella atroce violenza contro la donna che ha origini ataviche. L’occasione per parlarne ci viene data da un prestigioso calendario di levatura internazionale, squisitamente rivolto agli uomini - ma anche apprezzato da tante donne - nel quale è magistralmente raffigurato il culmine di una violenza contro una malcapitata dai cui occhi si leva uno sguardo di terrore. Questa immagine, pur nell’autorevolezza della nobilissima pubblicazione promozionale, non ci pare davvero un atto di denuncia di questa oscenità sociale, bensì appare come una rappresentazione oggettiva di una realtà antica quanto lo sono l’uomo e la donna. In particolare, nella foto da cui si evince senza mezzi termini la libido maschile, gli autori hanno deciso di evocare senza mezzi termini proprio quello che è un ‘delitto’ per eccellenza: la violenza contro una donna. L’immagine è inequivocabile, il terrore della violenza carnale contro una donna di pelle nera (una modella che peraltro appare molto attraente), le braccia bloccate da una ferrea presa maschile, il seno allo scoperto... Una foto, questa, sotto certi aspetti disgustosa, vergognosa sotto altri, anche se in quella pubblicazione si vorrebbe forse farla apparire come un episodio d’arte. Rispondendo alle polemiche e alle violente proteste nate da più parti, gli autori giustificano la pagina sostenendo che si tratta della rappresentazione di un rito boscimano... (???), anche perchè inserito in una serie di altri splendidi nudi di pelle bianca che, interra africana, si trastullano con puntute zanne di elefante o di altri animali della savana. Trattandosi di un frammento - sosterrebbero non lo si può giudicare isolatamente: ma un “rito” di che? forse dell’età della pietra o giù di lì?. O forse, azzardiamo noi, di un rito razzista? Nessuna delle donne delle altre splendide foto, tutte di pelle bianca, appare sconvolta dalla situazione in cui sono effigiate. Anzi, ne sembrano appagate. Ma allora, se si fosse proprio trattato di un rito d’altra era, perchè non esporre anche un uomo mezzo nudo che fracassa con una clava il cranio di un suo ‘concorrente’ nella libidinosa conquista della donna? o magari perché rivale come ‘capo branco’ o intento nella famelica ricerca di una preda per... placare la fame??? Un’autorevole commentatrice, Lidia Ravera (autrice negli anni ‘70 del libro “Porci con le ali”) giornalista all’Unità, così definisce quest’opera che si vorrebbe passare per artistica: La fotografia è bella ed è bella la fotomodella: una ragazza di colore dai grandi occhi truccati e terrorizzati. I neri capelli attraversano un viso dai lineamenti inesorabilmente armoniosi. Turgida è la bocca aperta in un grido, tondi i seni nudi che le braccia, artigliate da mani maschili, alzano ed espongono. Tutto perfetto, roba di qualità. Ovvio: l’immagine appare su una distinta pubblicazione dedicata ai top manager del mondo occidentale e alle legittime necessità di una libido esigente. Da decenni la “natura morta” su cui si lustrano gli occhi è il corpo svestito di donne viventi. Va bene. La bellezza è la bellezza, non si censura. In questo caso, però, qualcosa non quadra: la fotomodella, trascinata via con forza, è nella inequivocabile posizione della vittima. La narrazione che sottende l’immagine è, senza alcun dubbio, una delle stazioni del martirio femminile: stupro, violenza carnale.... Una marcia a ritroso a Kabul Inutile proseguire in questa analisi molto significativa, seppur circoscritta a una pubblicazione d’elité ma, per dare una dimensione del fenomeno, andiamo ad analizzare quanto il problema della violenza sulle donne sia aborrito in tutto il mondo occidentale. Mi riferisco alla clamorosa marcia indietro effettuata a Kabul dal presidente afghano Hamid Karzai che avrebbe tentato di incassare un sostengo politico dai fondamentalisti islamici di quel Paese, in vista di un grande evento politico. La notizia viene dal quotidiano britannico Independent, che ha spiegato che il provvedimento di legge di Karzai sarebbe stato il frutto delle pressioni esercitate dall'Iran, che mantiene uno stretto legame con la minoranza sciita afgana. Questa legge, che però sembra non sia mai stata pubblicata, avrebbe rappresentato un duro colpo ai diritti delle donne afghane. Secondo fonti delle Nazioni Unite, la nuova legge avrebbe legalizzato lo stupro del marito nei confronti della moglie, obbligandola a "concedersi" al marito senza opporre resistenza. Sarebbe inoltre vietato loro di uscire di casa, di cercare lavoro o anche di andare dal dottore senza il permesso del consorte. La legge, infine affiderebbe la custodia dei figli esclusivamente ai padri e ai nonni. "E' una delle peggiori leggi mai votate dal Parlamento in tutto il secolo" ha tuonato Shinkai Karokhail, deputata afgana impegnata a battersi contro la legge: "è totalmente sfavorevole alle donne e renderà loro ancora più vulnerabili". Un “orco” nascosto in cantina Ma perché parlare della lontanissima Kabul quando ancora oggi in Italia si verificano episodi orrendi magari proprio in oscuri anfratti di tante città oppure, nell’orribile silenzio di non poche famiglie? Due gli episodi da citare di questi ultimi mesi. Nel tribunale del capoluogo piemontese è andato alla sbarra un uomo di 64 anni, il suo mestiere venditore ambulante, con l’accusa di avere segregato per 25 lunghissimi anni la figlia abusando di lei senza pietà, quasi la prigioniera di un “orco”, per usare un termine delle cronache locali. Anzi, per la verità gli “orchi” sarebbero stati addirittura due, il padre della ragazza e anche suo fratello. Secondo le accuse i due si sarebbero periodicamente contesi l’abuso sulla ragazza, ora figlia, ora sorella. “Sono innocente, non ho fatto nulla di tutto quello per cui vengo accusato. Tutte le voci che sento sono false” afferma l’uomo e avrebbe anche aggiunto: “mia figlia è matta, oggi ne dice una, domani un’altra”. A inchiodarlo, però, ci sarebbero mesi di indagini e intercettazioni ambientali raccapriccianti. Seduto al suo fianco nell’aula del Tribunale anche il figlio arrestato con la stessa accusa. Altri otto figli sono però tutti in difesa del capofamiglia, tutti contro il fratello. Ora sono lì ambedue, padre e figlio, in attesa del giudizio, in un processo che non dovrebbe essere lungo. Sono però entrambi innocenti finché non venga emessa una sentenza. La violenza del branco Passiamo ora a un altro episodio avvenuto in centro Italia: la violenza di tre ragazzi su una loro coetanea, per di più filmata col telefonino. Nella sua accusa alla polizia la ragazza, 18 anni, ha raccontato nei particolari la violenza e lo scherno subito dal branco di ragazzi un pò più grandi di lei. Disgustosi i particolari: dopo una serata in un locale. è stata trascinata in macchina e portata su un prato appartato- strappati pantaloni e biancheria e buttati fuori dai finestrini, e violenza a turno del branco. La violenza veniva filmata con il telefonino. Alla fine, ha aggiunto la ragazza, è stata costretta a uscire nuda sul prato per recuperare i suoi indumenti. La denuncia è stata precisa anche se la ragazza avrebbe ammesso che quella sera avrebbe un po’ bevuto. Ha detto che non era in se, che non aveva la forza di opporsi e poi aveva anche capito che sarebbe stato tutto inutile. Alla polizia, come spesso accade, i tre giovani, hanno invece dato una versione molto diversa: conoscevano da tempo la ragazza, e lei sarebbe stata consenziente. Il mondo politico è oggi in subbuglio perchè si cerca una legge molto rigorosa, che è indispensabile. A questo proposito occorre ben valutare la discutibile posizione del ministro per le Riforme, Roberto Calderoli che così ha commentato la notizia di un altro presunto caso di violenza avvenuto su una minorenne. “Evidentemente lo stupro è ormai diventato una sorta di sport nazionale e di questo, purtroppo, ce ne stiamo accorgendo oggi, perché le notizie di nuovi presunti casi, addirittura con vittime minorenni, passano sotto silenzio e non suscitano più disprezzo” Il governo ha annunciato duri provvedimenti, la Lega torna a chiedere misure radicali: “Sono convinto - dice il ministro Zaia che ha proposto con altri la pena della castrazione chimica per chi commette stupri - che sarebbe una soluzione che potrebbe darci tranquillità” Calderoli va addirittura oltre e aggiunge: “quella chimica non basta più, ci vuole quella chirurgica”. La definisce “una terapia medica per reprimere l'istinto sessuale”. I ripetuti episodi di violenza sessuale avvenuti a Bologna, Roma e Milano scaldano gli animi e rilanciano il dibattito. Ci pensa però il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano che prende però questa affermazioni come “una provocazione e come un giusto segnale di esasperazione da parte di tanti cittadini”.


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