Non è tanto l’efferatezza dell’assassinio che sconvolge chi si sofferma sulle inquadrature diffuse in televisione di quel raccapricciante e spietato assassinio che, con macabra ironia, potrebbe anche essere definito ‘en plein air’....
Drammatica è anche la ‘lettura’ delle immediate reazioni delle persone che hanno avuto la sventura di assistere a quella raccapricciante esecuzione.
Le telecamere della sicurezza poste agli angoli della strada hanno cinicamente restituito attimo per attimo tutti i più minimi particolari dell’assassinio... Non ci soffermeremo nella loro descrizione, soprattutto per la necessaria pietà verso una persona che ha perso la vita e per chi gli voleva bene. A ben vedere, quelle immagini, sulle quali nutriamo molta perplessità in merito alla loro plateale diffusione su tv e giornali e riteniamo che meglio sarebbe stato diffondere solo la foto dell’assassino che si allontana (a mo’ di identikit come tanto spesso avviene), ciò che colpisce in maniera pesante è l’apparente, assoluta indifferenza di chi, suo malgrado, è stato coprotagonista in quella drammatica sequenza di morte.
Nei fotogrammi i secondi sono ravvicinati, ogni istante è cinicamente scandito e dopo solo qualche secondo un inserviente di un negozio con un camice volge le spalle alla vittima e la guarda in tralice; la curiosità è forse tanta ma ancora più grande è la paura di avvicinarsi ‘troppo’, di cogliere qualche particolare ‘di troppo’.
Qualcuno arriva sul marciapiede, dalla sinistra, borsa alla mano, scarpe da ginnastica: l’ostacolo sdraiato è ben visibile, un’abile curva a gomito e il viandante supera con agilità il corpo a terra.
Nella terza foto un’altro passante, che forse indossa un grembiule bianco e ancora proveniente dalla sinistra, si destreggia con calma per non aggrovigliarsi fra gambe e piedi della vittima. Sembra che rivolga lo sguardo a terra. Un’altra persona è lì a pochi passi, fermo, volge l’attenzione a una vicina ghiacciaia e sembrerebbe in altre faccende affaccendato.
Nell’ultima foto, ancora maggiore è la calma di un terzo frettoloso passante che non riesce ad aggirare il morto e allora, un passo lungo e ben disteso, lo scavalca all’altezza della vita. Attorno è il vuoto.
Non sono queste, però, scene di cinismo, non sono cieca indifferenza o assuefazione alla morte (o almeno non solo), ma sono soprattutto segnali di paura, terrore per essersi trovati in quel duro frangente e di essere forse ben individuabili da qualcuno che, magari da pochi passi lì vicino, voleva accertarsi su chi in quel momento era lì per caso, cosa faceva e magari cosa poteva aver visto. O, anche peggio, di essere chiamati dagli inquirenti per descrivere i particolari dell’amaro spettacolo, con il rischio di denunciare un qualche cosa di innominabile.
In altri tempi, un crocchio di viandanti si sarebbe formato magari per assistere chi stava morendo, o anche per curiosare o, meglio, per afferrare il telefonino e chiamare un’ambulanza, o anche... la polizia.
Nulla di tutto ciò. La legge del farsi gli affari propri, del non vedere, non sentire, non parlare e, semmai, di essere stato in quel momento profondamente distratto, sembrerebbe imperante.
Riguardo agli inquirenti, pur sapendo di andare incontro a pesante impopolarità, nella speranza di dare un nome all’attentatore hanno scelto quella discutibile diffusione del video alla ricerca di qualcuno che possa aiutarli a dare un nome all’assassino.
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