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Del seguente articolo:

Settembre-Ottobre/2009 -
La notte del terrore a L'Aquila
Don Francesco, prete volontario fra i volontari della Croce Rossa
Paola Gregory

Il giovane sacerdote racconta in questa intervista tutto il suo terrore provato nella forte scossa di terremoto che la notte del 6 aprile ha sconvolto L’Aquila.
Dalle sue parole, molto umane anche se sostenute dalla fede, nella sua dura vicenda, da parroco di quartiere, in questi mesi è diventato - come lui stesso ama definirsi - il “curato delle tendopoli”
Le sue giornate le passa in gran parte nelle tendopoli o nel campo base Cri, ha imparato a vivere assieme agli uomini della Croce Rossa, ai suoi militari e, soprattutto al nutrito stuolo di Volontari del Soccorso che si alternano infaticabilmente nel sostegno alle persone devastate dal terremoto.
Mi sembra quasi di essere uno di loro, per tutte le ore del giorno dividiamo fatiche, speranze e dolori - racconta - altro che preti, aggiunge a bassa voce, con il loro altruismo, la dedizione verso il prossimo, queste ragazze ragazzi nei momenti più duri sono stati come dei piccoli angeli...


“Signore, mi son detto in quella notte di terrore, sono molto stanco ma se mi ritieni ancora utile sulla terra, tienimi in vita... se è invece è arrivato il mio momento, abbi pietà della mia anima e accoglimi nel tuo Regno"... Don Francesco, Parroco della Chiesa di San Pietro in pieno centro storico, nel quartiere omonimo a L'aquila, ha 46 anni ed è stato ordinato sacerdote nel 1991. Ancora oggi (a sei mesi dal sisma) ricorda con parole rotte dall'emozione quei drammatici 23 secondi della notte del 6 aprile: "Venivo da una pesante domenica di lavoro parrocchiale - era infatti la Domenica delle Palme con tre funzioni in chiesa, tante confessioni, la distribuzione dei ramoscelli d'ulivo con cui è stato acclamato Gesù in Gerusalemme, principe della pace, gli incontri con i miei parrocchiani, ero stremato di fatica”. Don Francesco in parrocchia è l'unico Sacerdote, coadiuvato da sei chierichetti e con diversi collaboratori laici. A notte fonda si era coricato a letto.
Aveva però già percepito due scosse. La prima, pesante alle 00,30 e una seconda, più leggera un'ora dopo. "Tre mesi di scosse continue ci avevano assuefatto tutti a questa lugubre compagnia, e tutti noi a L'Aquila ci avevamo fatto l'abitudine. A un tratto, alle 3,32, l'irreparabile che si è protratto per 23 lunghissimi secondi.
“Il tempo per vivere in diretta tutte tre le fasi del sisma: quella del sussultorio con tre potenti colpi ben distinti, mi sentivo traballare, poi ho vissuto il movimento rotatorio e tutte le suppellettili si proiettavano in tondo e infine quello l'ondulatorio che mi è parso la stoccata finale. Tutto si squassava, nulla sembrava potesse resistere a quello sconvolgimento sovrumano. In quegli istanti mi son sentito terrorizzato, sgomento, ero quasi incredulo affranto nel capire quanti sarebbero stati schiacciati dai crolli, per un attimo non sapevo che fare. Ho anche capito che nel terremoto devastante non è tanto la scossa ma la sua durata, meno di mezzo minuto, che è stata come un'eternità.... Mi sono ripreso dopo pochi istanti, miracolosamente illeso, il tempo per scaraventare nella federa del cuscino le poche cose care che avevo a portata di mano e, scavalcando a tentoni e in modo maldestro muri crollati, la polvere che ansimando mi si scagliava in gola, al buio pesto, mi sono precipitato in strada, sul sagrato della mia chiesa”.
“Non nascondo che in quel frangente prima mi sono aggrappato alla fede ma immediatamente dopo sono passato alla razionalità. Attorno a me urla di dolore, grida di aiuto, urla di disperazione di tanti miei parrocchiani rimasti intrappolati in casa... quasi tutte le porte non si aprivano, bloccate dai muri dissestati, quelli minimamente abili non riuscivano a fuggire e i vecchi erano immobili nella loro disperazione... da loro solo velati gemiti. In questa mia razionalità percepivo concretamente quel meraviglioso rapporto fra Padre e Figli che dava a tutti un filo di speranza. Forse avrei voluto anche fuggire ma mi sono ricacciato in gola questo pensiero e ho iniziato – a tentoni e con pochi altri dal coraggio innegabile, a tentare di salvare quante più persone possibile, di portali in luoghi all'aperto. Alcuni in qualche casa hanno raccolto delle lenzuola che, attorcigliate e lanciate sui balconi del primo piano hanno permesso a chi poteva di calarsi in basso. Dove siamo riusciti a entrare abbiamo portato via gli anziani, proprio ‘sulle spalle’... Finalmente sono arrivati i mezzi dei Vigili del Fuoco spostandosi con le loro ululanti e ossessionanti sirene che ci davano però un filo di speranza. E per arrivare a noi, assieme alle ambulanze della Cri, delle Misericordie, scavalcavano strade quasi impossibili che impedivano l'accesso a causa delle macerie dei crolli.”
Don Francesco non è prodigo di parole, non si esibisce nel suo altruismo, anzi loda quello degli altri ma, in un caso solo non può parlare altri che lui. "Sono arrivato a fatica vicino al letto di un mio parrocchiano, Evandro, era sotto un cumulo di sassi e macerie, mi ha chiamato chiedendomi di stargli vicino e di non farlo morire da solo, siamo riusciti a tenerci per mano... mi ha chiesto i Sacramenti.... non sapevo che fare, non li avevo... ho solo stretto la mano aiutandolo a pregare con me... a un tratto la sua mano, che mi stringeva disperatamente, ha mollato la presa.... Ho pianto...era morto sotto le macerie.”
“Statti tranquilla, mamma, stiamo bene...” Queste le parole che Don Francesco ricorda del suo chierichetto, Vincenzino, che quella notte era a letto e dormiva con i genitori: alla prima scossa il letto è immediatamente sprofondato al piano di sotto, poi si è poi ribaltato, e tutti sono precipitati a terra... La mamma, arrampicandosi su ciò che era rimasto del tetto della casa, urlava e chiedeva aiuto... il bimbo, piangendo, la rincuorava. Una coppia di parrocchiani li ha sentiti, si sono arrampicati fino a loro salvando Vincenzino ... sono poi arrivati i Vigili del Fuoco che hanno messo in salvo anche il papà.
Da sei mesi il sacerdote, oltre agli indispensabili impegni di parrocchia, passa la sua giornata – assieme ai volontari della Croce Rossa – ad assistere materialmente e spiritualmente i rifugiati della dozzina di tendopoli allestite nei dintorni dell'Aquila che, nei tempi più duri del dopo terremoto, sono arrivate a ospitare una decina di migliaia di rifugiati Oggi sono scesi a circa un migliaio. Un mistico impegno di fede, di vita e di affettuosa socializzazione, quella di don Francesco in questo periodo, non solo con i bisognosi ma anche con tutte le giubbe rosse - i volontari Cri e soprattutto con gli uomini in tuta mimetica del Corpo Militare della Croce Rossa. Questi reparti militarizzati, oltre al lavoro della logistica per il buon funzionamento delle tendopoli (moltissime allestite dalla Protezione civile ma non poche quelle che hanno impiantato loro stessi) hanno gestito e gestiscono tuttora le mense di tutti i campi. Questa esperienza ha profondamente segnato in questi sei mesi la vita 'sul campo' del giovane sacerdote.
Racconta che i suoi più intimi appunti li custodisce gelosamente in un libretto che non ha mai fatto vedere a nessuno. Lo ha affettuosamente denominato “Diario di un curato di tendopoli”.


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