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Del seguente articolo:

Settembre-Ottobre/2009 -
Il dolore negli eventi nefasti
La solidarietà nelle tragedie è di tutto il mondo

Nel libro di Rebecca Solnit “Un paradiso all’inferno”, la solidarietà che nasce dalle tragedie, un’appendice di Andrea Spila sulla tenacia degli aquilani nel riappropriarsi della vita


Un animalista perlustra le vie del centro storico dell’Aquila alla ricerca di gatti dispersi, una professoressa di biochimica scrive un libro in un camper per contribuire alla ricostruzione dell’università, una compagnia di teatranti gira per le tendopoli distribuendo nasi da clown, un gruppo di amici legati a un circolo culturale riempie un autobus di libri, un comitato di associazioni cerca i migranti nei campi per aiutarli a difendere i loro diritti, una docente decide di insegnare l’italiano e di imparare il punjabi e il cinese.
Che cosa hanno in comune queste storie di volontari aquilani? Subito dopo le scosse, nella scia della devastazione, i cittadini hanno reagito prontamente all’emergenza, arrampicandosi sulle rovine e scavando tra le macerie alla ricerca dei dispersi, raggiungendo i reparti pericolanti dell’ospedale per aiutare a evacuarlo, accogliendo familiari, amici e vicini nelle automobili e nei camper non danneggiati dal sisma. Nei giorni successivi, quando la gravità della catastrofe si è manifestata con il suo lungo elenco di vittime e con le immagini di città e paesi dal volto irriconoscibile, queste stesse persone hanno cominciato a ricostruire la loro città, non quella fatta di pietre e mattoni, ma quella dei rapporti umani e sociali.
Le storie di volontari aquilani raccontate in queste pagine hanno in comune l’amore che queste donne e questi uomini hanno provato, e in molti casi riscoperto, per la propria città, intesa come luogo di incontro e di confronto, come spazio di comunicazione e di dialogo, di collaborazione, di cultura e ricerca.
In queste righe, l’avvio di un saggio di Andrea Spila, pubblicato in appendice all’ultimo libro della celebre scrittrice americana Rebecca Solnit, Un paradiso all’inferno, recentemente tradotto in italiano e presentato a Coppito, in una delle Facoltà decentrate del capoluogo abruzzese. L’evento non nelle moderne strutture in cemento armato di quelle Facoltà che hanno retto alla furia della terra, ma in un sorta di ‘aula magna’, candida e moderna tensostruttura della Facoltà di Scienze. Piazzata in quel Polo universitario accanto alle altre strutture, quest’aula è vicina a uno spiazzo brullo e brulicante di volonterosi studenti provvisoriamente rannicchiati nelle classiche tende blu della Protezione Civile. Una tendopoli questa, novella e precaria cittadina della scienza, della cultura, di speranza e amore per la vita. Nonché tenace dedizione per lo studio. Sia nei ragazzi che nei loro docenti. All’ombra di quella grande tradizione universitaria che è propria del capoluogo abruzzese
Nel Polo, come tante formichine, giovani di ogni nazionalità si contendono un certo riparo, anche in qualche tenda-dipartimento per non studiare con i libri a terra. Altri, più fortunati, hanno conquistato con i loro prof qualche spazio negli strapieni corridoi o nei sottoscala di alcune di quelle Facoltà del Polo, che sono state lambite dal terremoto. Nei vialetti che si intersecano in questa cittadella attendata, un vero ‘campus’ di studio precario di fortuna, da lontano si scorge una ‘ghirlandata’ e raggiante neo laureata, che si avvicina mazzo di fiori al braccio. Affettuoso e festante il chiassoso codazzo di chi l’accompagna per una festa en plein air, panini e bibite alla mano.
Nel libro di Rebecca, presentato dunque nel pieno di quel prezioso intervento di Protezione Civile, le riflessioni proprio sulla forte solidarietà che nasce in tutto il mondo, quel sottile sentimento che non si declama ma si palpa concretamente nei fatti. Un sentimento che esorcizza paura e travalica qualsiasi religione o Stato.
La saggista, partendo dal terremoto del 1906 a San Francisco (la città in cui vive), tocca tanti immani eventi luttuosi come le Torri Gemelle, lo Tsunami del 2004 e arriva alle migliaia di persone che, nel 2005, sono sopravvissute all'uragano Katrina a New Orleans. Lì erano in tanti i disperati, bloccati dalla furia delle acque. Furono però raggiunti da nipoti, zii, da vicini di casa, o anche da perfetti sconosciuti che, nonostante il pericolo, li hanno tratti in salvo. Nella sua preziosa indagine sulla determinazione di donne e uomini vittime di calamità naturali - proprio dove in tanti ci si riscopre solidali - la saggista americana (tra l’altro considerata come un’erede di Susan Sontag) si domanda perché proprio coloro che ci dovrebbero rassicurare, proteggere, non di rado non sono all’altezza dei loro incarichi. C’è però da dire che non è stato certo un problema dell’Aquila, questo. L’abnegazione dei soccorsi è stata infatti esaltante.
Rebecca fa invece una preziosa indagine sulla volontà dei disperati coinvolti nella battaglia per rimanere aggrappati alla vita e, riguardo al Katrina, parla anche di quell’armata di proprietari di barche che invasero New Orleans per tirare giù dai tetti intere famiglie, sfidando proprio i divieti dell’esercito americano. I più sfortunati tra chi attendeva un qualsiasi soccorso, a centinaia scomparvero nelle acque. In tanti, polizia inclusa, vigilanti, esercito - e diversi media pure - avevano stimato troppo pericoloso tentare di evacuarli da quella città allagata e infetta. Scarsi gli aiuti, portare in salvo gli ammalati dagli ospedali pareva essere un azzardo eccessivo.
Quell'uragano è stato esempio, epico ed estremo, sia del peggio che può accadere in una calamità, ma anche della solidarietà che scatta con una forza tutta sua, irrefrenabile e spontanea.
Proprio come nelle storie dei disastri raccontati nel libro di Rebecca, Spila ha avuto la fortuna di incrociare quei volontari aquilani che, dopo lo ‘shock’ (in tutti i sensi), sono scesi in strada ancora increduli. Sgomento, dolore, disperazione. Tutto è stato messo da parte e in tanti hanno scelto di reagire da subito a quel funereo destino che sapevano prima o poi avrebbero incrociato. Spila, che li ha incontrati fin da subito dopo il sisma, li descrive spesso gioiosi, a volte entusiasti dei loro progetti ma, soprattutto, nei loro volti e nelle parole ha letto sia l’amore per la vecchia città distrutta, così come per quella nuova che ha preso forma grazie all’altruismo, all’improvvisazione e alla solidarietà del loro impegno. Costoro hanno lavorato a fianco della Protezione Civile, dei Vigili del Fuoco e della Croce Rossa con la sua preziosa e imponente rete di Volontari del Soccorso e il suo Corpo Militare. Hanno inoltre collaborato con la pluralità delle squadre dei tecnici specializzati per l’essenziale più immediato a partire dalle tendopoli. Questi cittadini - annota Spila - si sono innamorati del loro nuovo ruolo pubblico e civile, facendosi catturare da un incantesimo nel quale l’impegno, l’improvvisazione e l’empatia si presentano spontaneamente.
Proprio come nelle storie dei disastri mondiali raccontati da Rebecca, nel suo saggio Spila ha concentrato l’attenzione su quei volontari di quartiere che, orgogliosi e caparbi, hanno ‘messo mano’ (metaforicamente e non) per la rinascita del loro tessuto urbano.
Un’impresa apparentemente disperata al momento della tragedia ma, in realtà, l’unica reale e concreta forza umana che, proprio perché sorta dal basso, ha tutti i titoli per collocarsi al fianco delle Istituzioni, per collaborare e fare tesoro del passato nella costruzione di un futuro migliore.


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