Direttore Responsabile Leandro Abeille


 
home
sommario
noi
pubblicità
abbonamenti
mailinglist
archivio
utilità
lavora con noi
contatti
ARCHIVIO

Del seguente articolo:

Gennaio-Febbraio/2010 -
La morte in un grilletto... e non solo
Classiche, bianche, leggere, pulite, intelligenti: impossibile farne a meno
Sergio Petiziol - 1° Cap. com. CRI (csg)

Nel variegato campionario degli strumenti bellici si trovano definizioni che, utilizzate per sintetizzare significati tecnico-operativi a uso degli addetti, disorientano o, peggio, ingannano l’opinione pubblica.
Con questa riflessione si apre questo importante articolo sul commercio mondiale delle armi, del nostro redattore Sergio Petiziol che, per precisa scelta contraria alle nostre abitudini, abbiamo deciso di pubblicare senza alcuna raffigurazione di arma.
Unica foto, per la quale, senza falsa ipocrisia chiediamo scusa per l’orrore e per la violenza che arrechiamo a una piccola vittima di questa carneficina mondiale, è il corpo di un bimbo dilaniato da una bomba. Forse una di quelle ‘a grappolo’ (le cosiddette ‘cluster bombs’), oppure di quelle ancor più orrendamente micidiali, definite ‘giocattolo’, progettate per attirare l’attenzione dei piccoli. L’obiettivo è infondere terrore fra la gente, dilaniando proprio i più indifesi, gli innocenti.
Il campionario ‘illustrato’ da Sergio non lascia nulla all’immaginazione ed è purtroppo drammaticamente chiaro. Anche, e soprattutto, alla luce di quanto con tanta superficialità ogni giorno si assorbe dai media, giornali o tv.


La dottrina giuridica tradizionale distingue, in modo schematico, le armi in tre macrocategorie: convenzionali o classiche; chimiche e batteriologiche e armi nucleari. In linea di massima le armi convenzionali includono quelle bianche, le armi da fuoco e le incendiarie mentre la nozione di arma convenzionale” si ricava per esclusione, poiché appartengono a questa categoria le armi che non sono chimiche, biologiche o nucleari. Riguardo agli effetti, le armi chimiche o batteriologiche e quelle nucleari sono generalmente comprese in un’unica categoria, quella delle cosiddette “armi di distruzione di massa”. Oltre a quelle enunciate, troviamo poi altre definizioni i cui significati di prima battuta sembrano soddisfare la più elementare, superficiale, esigenza conoscitiva. Se non ci accontentiamo della semplice denominazione convenzionale e iniziamo ad analizzare nella sostanza le caratteristiche e gli effetti dei singoli strumenti, allora si svela ai nostri occhi e alla nostra immaginazione uno scenario molto più articolato, complesso e assolutamente poco rassicurante.
“Armi leggere”: un’arma “leggera”, come la mina antiuomo, si rivela in realtà un’arma di distruzione di massa, solo che la sua azione non si manifesta in modo plateale come una bomba atomica che in pochi secondi annienta un numero esorbitante di persone, ma richiede tempi molto lunghi, addirittura decenni, per giungere allo stesso risultato. Di fatto, fino ad ora, le mine hanno causato un numero di vittime innocenti superiore a quello causato da tutte le esplosioni nucleari avvenute. Nonostante sia passata una decina d’anni dall’entrata in vigore del Trattato di Ottawa del 1997 che proibisce la produzione, vendita, commercio delle mine antipersona, moltissimi paesi rimangono infestati dalle terribili armi e molti sventurati, inermi civili, continuano a morire. Secondo Human Right Watch, organizzazione statunitense molto attiva nel settore del monitoraggio dei diritti umani, nel solo 2008 le mine antiuomo hanno fatto 5.179 vittime in tutto il mondo, di cui circa un terzo bambini. Un risultato che non è bastato a convincere il presidente neo Nobel per la Pace, ad aderire al trattato accennato, anzi è notizia recente del novembre 2009 che gli U.S.A. non vi aderiranno. A far loro compagnia in questa posizione discutibile vi sono importantissime nazioni nella scena internazionale. Infatti, mancano all’appello anche la Federazione Russa, la Cina, l’India e il Pakistan. E intanto la conta continua: il 15 dicembre 2009 nel villaggio di Balanbal, in Somalia, sono morti sei bambini, appartenenti alla stessa famiglia, per l’esplosione di una mina anti-carro.
Un ingente numero di vittime si deve alle armi da fuoco automatiche come i fucili d’assalto “leggeri” tipo AK 47, il famigerato Kalashnikov, o il suo omologo e rivale americano M16. Anche il “carburante” dei fucili su menzionati, ossia i proiettili ad alta velocità e basso peso sono una trovata “leggera” rispetto agli standard dei loro predecessori. Infatti, è stato a partire dagli anni ‘60 per aumentare la rapidità del tiro e il volume di fuoco a parità di peso da trasportare, che si sono utilizzati proiettili più piccoli al posto delle precedenti pallottole. Il problema è che questi proiettili leggeri, a causa della loro massa inferiore, entrando in contatto con tessuti e ossa di diversa densità e consistenza compiono una serie di carambole all’interno degli organi tali da procurare laceranti, estese, fatali, sproporzionate e disumane ferite. Esperti chirurghi di guerra testimoniano di proiettili entrati nell’addome e usciti dai glutei dopo aver fatto gimcane all’interno degli intestini dei malcapitati. Leggerissimi sono oramai pistole e fucili automatici al punto che possono essere imbracciati con disinvoltura da bambini e adolescenti, promossi “soldati” sul campo, che a migliaia vanno a ingrossare le fila di formazioni regolari e non. Se la nostra indignazione si rivolgesse esclusivamente contro gli adulti delle innumerevoli milizie e fazioni che popolano le aree di crisi, che costringono i minori a seguirli nei loro demenziali giochi di guerra, commetteremmo certamente un errore di semplificazione. Vi sono, infatti, numerosissimi paesi “civili” che reclutano minorenni nelle accademie e scuole di formazione militare dove costoro sono avviati alle carriere e addestrati all’uso delle armi. Le armi leggere e chi le usa, sia giovanissimi sia adulti, sono una tragica realtà che si è dapprima affacciata per rimanere definitivamente alla ribalta come un dato di fatto nelle scuole di moltissimi paesi a causa delle evitabili stragi di innocenti messe in atto da insospettabili adolescenti. In moltissimi quartieri di città Nordamericane e dell’America Latina e, da qualche tempo, anche nelle civilissime Parigi e Londra, risuonano nella notte gli spari delle varie gang di giovanissimi che si contendono a colpi d’arma da fuoco la supremazia sul territorio. In tutto il mondo c’è una pistola ogni dieci persone, otto milioni di pistole e armi leggere sono prodotti ogni anno e ogni minuto una persona cade vittima delle armi leggere. Un “leggerissimo” fucile di precisione dotato di cannocchiale, di cui molti modelli sono in vendita negli scaffali di molte nazioni “evolute” o reperibili su Internet come “armi da caccia”, diventano degli spregevoli strumenti di morte. Lo sanno benissimo gli abitanti di Sarajevo che hanno visto morire a decine i loro concittadini nella famigerata sniper road, la “strada dei cecchini”. Lo sapevano benissimo anche coloro che freddamente li imbracciavano e con una ricerca precisa e cinica fra le potenziali vittime sceglievano prima di tutti bambini e bambine di ogni età. Quanto agli effetti delle armi cosiddette “leggere” non c’e da illudersi: avere i piedi, le mani, le braccia strappate, gli occhi, le orecchie e il viso bruciati per sempre da una mina antiuomo a scoppio, oppure gli intestini, i genitali o i polmoni perforati dalle sfere contenute in alcuni tipi di mine o dalle schegge di mine a frammentazione o l’intero corpo irrimediabilmente riarso da una mina al fosforo, non sono certamente conseguenze o esperienze da definirsi leggere. Con quale grottesco coraggio o ipocrita sfacciataggine potremmo considerare leggero un ordigno che riduce un vivace e vitale bambino di pochi anni a un raccapricciante fagotto disarticolato, sanguinante, lacero e annerito: un misto di brandelli di tela e carne?. Anche in questo caso l’uso del termine leggero potrebbe attribuirsi semplicemente e banalmente al peso fisico del fattore distruttivo impiegato, in genere pochi grammi di metallo nel caso dei proiettili o nel caso di determinati tipi di mine antipersona, qualche decina di grammi di esplosivo ad alto potenziale. Sempre in tema di peso del fattore considerato, bastano pochissimi grammi di agenti tossici chimici o biologici, dispersi in condotte idriche o di ventilazione per causare delle catastrofi di inimmaginabili proporzioni. In questo caso basta una leggerissima notizia di una possibile minaccia per creare ondate di panico - ricordiamo il caso dell’antrace - e mandare in tilt i sistemi di emergenza e sicurezza di intere metropoli. Leggerissima e impalpabile è la micidiale nube di vapori saturi prodotta dalle bombe air-fuel che si trasforma in un inferno perché produce un’esplosione, seguita da un’enorme fiammata che incendia l’area colpita sottraendo l’ossigeno in un ampio raggio, strappandone il residuo fino agli alveoli, facendo morire le persone con i polmoni collassati. Anche in termini di effetti le definizioni però non aiutano molto, e se quello che uccide subito nello scoppio di una bomba termonucleare è l’onda d’urto o l’enorme calore che si sprigiona nella deflagrazione, quello che continuerà a uccidere lentamente nei secoli sono i prodotti e i sottoprodotti radioattivi delle reazioni prodotte dall’esplosione.
“Armi amiche”. Le armi usate contro il nemico in secoli di battaglie hanno funestato anche le fila di coloro che le anno impiegate. Questa eventualità è catalogata con l’espressione idiotamente ipocrita di “fuoco amico”. Già, amico, … come il fuoco che nel corso della Prima guerra mondiale bruciò i polmoni e fece sputare sangue ai soldati austroungarici che avevano respirato, a causa di un cambiamento del vento, il gas lanciato contro i nemici dai loro commilitoni dell’artiglieria. Compunti funzionari dei Ministeri della Guerra e alte gerarchie militari si resero conto sul campo contando i loro morti e feriti che, a dispetto delle loro idiote previsioni, il gas leggero e sbarazzino, non conosce bandiera e, spinto dalle mutevoli brezze, si abbatte su chiunque si trovi davanti, mentre negli occhi dei medici impotenti si leggevano mute le inesprimibili imprecazioni e bestemmie nel veder spegnersi, fra sofferenze atroci, tante giovani vite. L’effetto indesiderato portò a un risveglio dell’interesse per le implicazioni umanitarie e strategiche dell’uso di tale arma che sfociarono nell’adozione del trattato che proibisce l’uso dei gas. Il Divieto dell'impiego in guerra di gas asfissianti, tossici e similari e di mezzi batteriologici fu sancito dal Protocollo adottato a Ginevra il 17 giugno 1925 ed entrato in vigore il 9 maggio 1926. Peccato che il nostro paese, dopo la ratifica del trattato nel 1928, utilizzasse iprite, un potente gas vescicante e arsina, gas infiammabile e molto tossico, nella guerra di Abissinia. In tempi più recenti l'Iraq ha usato le armi chimiche su larga scala sia contro la resistenza, che contro la popolazione civile curda. A cavallo fra il 1987 e il 1988, il regime iracheno ha bombardato massicciamente le regioni curde con armi chimiche in venticinque occasioni. Solo nella città di Halabja, che aveva più di 70.000 abitanti, il 16-17 marzo 1988, i gas asfissianti, tossici hanno ucciso più di 5.000 persone e causato 10.000 feriti.
“Armi intelligenti”. A coloro che in epoche più recenti hanno avuto l’indecenza di definire “chirurgiche” certe armi che avrebbero colpito il bersaglio con una precisione millimetrica, non resta che inviare tutta la nostra indignazione per aver causato migliaia di morti civili perché la tanto dichiarata precisione si è rivelata una tragica, criminale e infame bugia. Lanciare un missile da crociera con testata da 450 chilogrammi di esplosivo ad alto potenziale significa essere chirurghi di precisione come lo è il macellaio di quartiere quando ripulisce le interiora del tradizionale agnello pasquale. Chirurghi che usano coltelli da scannatoio in luogo dei bisturi. E che dire dei baldi piloti che scaraventano bombe da cinquecento libbre durante cerimonie nuziali in sperduti villaggi afghani asserendo di eseguire ordini superiori per “fermare” sparuti gruppi di terroristi, ove questi vi fossero veramente. Anche i “buoni” sbagliano nell’usare le armi e allora la NATO deve scusarsi per aver causato danni alla popolazione civile. Solo nelle prime due settimane durante intervento contro Serbia, l'Alleanza “ammette” che i suoi aerei hanno sbagliato obiettivo in maniera devastante almeno tre volte. La prima, nel caso della cittadina di Alexinac, devastata dalle bombe intelligenti che lasciano però “stupidamente” intatta l'unica struttura militare, poi nel caso di un treno che è centrato in pieno da un missile teleguidato che avrebbe dovuto demolire il ponte sul quale il treno ha avuto la sventura di trovarsi in qual momento e infine nel caso di una mesta comitiva di profughi kosovari colpito da due missili perché scambiato per un convoglio di militari serbi in movimento. Che sublime intelligenza scambiare trattori e carri agricoli per mezzi blindati e carri armati. Tragica fallibilità, o forse le armi sono veramente intelligenti, ma ottusamente imbecilli sono coloro che le usano? Poveri noi! Allora dobbiamo dar ragione al medico e statista francese George Clemenceau che ebbe a dire che “la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla ai militari”. Dovremmo perciò inevitabilmente estendere simile considerazione anche all’uso delle armi. Ancora a proposito di armi intelligenti, se non sapessimo che tali denominazioni sono escogitate per comodità di definizione fra gli addetti ai lavori, che comprendono anche compiaciuti e solerti ricercatori e “esperti” militari, potremmo pensare che solo psicopatici socialmente pericolosi potrebbero definire grottescamente “intelligenti” armi che non sono dotate assolutamente di questo fattore che, pur fra mille dubbi ed esitazioni, è una prerogativa degli esseri pensanti.
“Armi non letali”. Indubbiamente il raggio di bassa potenza, preciso e calibrato di un laser, indirizzato agli occhi di un potenziale nemico non costituisce una minaccia mortale. Ma quando questa non rimane una semplice eventualità, ma diventa una concreta realtà allora il risultato evidente e incontrovertibile, è che quella vita che rimane da vivere alla malcapitata vittima, cieca per sempre, merita la formulazione del perenne e mai risolto dilemma: “Era forse meglio la morte?” Per fortuna, ma più che la fortuna è stata, forse, la consapevolezza dell’orrore e a porre rimedio a quesiti come questo è intervenuta l’adozione del V protocollo sulle armi laser accecanti nell’ambito della revisione della Convenzione su determinate armi convenzionali del 1980. Per la prima volta nella storia bellica e del diritto internazionale l’uso di un’arma è stato proibito in anticipo rispetto all’effettivo utilizzo. Un proiettile di gomma, di quelli “normalmente” sparati dalla polizia nelle manifestazioni con lo scopo di disperdere i manifestanti, rientra nella categoria delle armi non letali, ma se l’uso che se ne fa non rispetta le specifiche (Israele, Irlanda del Nord, ecc.) e se il proiettile raggiunge la vittima a breve distanza o in parti sensibili del corpo ne causa inevitabilmente la morte per trauma o lesioni agli organi interni. E nessuna morte, qualunque ne sia la ragione, può essere definita leggera. Anche i bastoni elettrici, i famigerati taser, sempre più utilizzati dalle polizie di tutto il mondo, che dovrebbero immobilizzare temporaneamente la vittima designata, spesso si trasformano in strumenti di morte a causa di un uso indiscriminato o ignorante.
“Armi bianche”. Quando la cieca e atavica violenza irrompe impetuosa travolgendo le labili barriere della coscienza individuale anche bastoni, coltelli e machete, da indispensabili strumenti di lavoro, si trasformano in armi di distruzione di massa nel volgere di brevissimi istanti. Drammatico è il caso del Ruanda, dove migliaia sono state le vittime della cieca follia collettiva dei gruppi etnici coinvolti. Qualcuno, probabilmente in mala fede, adduce a questa esperienza una valenza di attenuante a favore delle armi leggere asserendo che, in definitiva, qualsiasi cosa può essere usata come arma, non necessariamente le armi da fuoco. Tuttavia, come messo in luce da moltissimi osservatori internazionali al verificarsi di quell’enorme tragedia, è fuor di dubbio che magliaia di persone sono state assassinate mentre erano senza scampo, sotto la minaccia di pistole e fucili imbracciati da sparuti miliziani. Anche un solo bambino di pochi anni di età, che imbraccia un temibile fucile automatico può costringere all’impotenza valenti e robusti adulti maschi, figuriamoci se si tratta di donne, anziani e bambini.
“Armi divertenti, colorate”. Armi di distruzione di massa che invece di esser indirizzate contro il nemico, come prevedono gli usi e costumi di guerra e il diritto internazionale umanitario sono sparsi in abbondanza su foreste, fiumi ruscelli e laghi. Il famigerato agente Orange, usato in quantità mostruose in Vietnam per spogliare la rigogliosa vegetazione e individuare così i guerriglieri e le loro invisibili piste dall’alto. Insieme al napalm, infiammabilissima miscela di kerosene in gel, ha costituito uno dei più devastanti lasciti di una guerra che non solo ha causato moltissime vittime innocenti ma che ha lasciato un territorio completamente devastato e inutilizzabile per svariati decenni. Armi “giocattolo”: pappagalli verdi che scendono dal cielo e vengono raccolti dai bambini afgani ignari che la loro innocente curiosità infantile sarà ripagata da un’esplosione che, se sopravvivranno, li lascerà ciechi, sordi e con orrendi moncherini al posto delle mani. Stessa sorte tocca a chi, nella frenesia infantile del gioco, raccoglie quei simpaticissimi e curiosi barattolini gialli sparsi qua e là nei campi di moltissimi paesi devastati dalla guerra. Queste sono le famigerate bomblets, che compongono le altrettanto nefaste cluster bombs, le bombe a grappolo generosamente usate nelle guerre in Sud est asiatico e in Kosovo. Le munizioni a grappolo sono ordigni lanciati sull’obiettivo con vari sistemi: proiettili di artiglieria, razzi o contenitori sganciati da aerei o elicotteri e disperdono un numero variabile di sottomunizioni. Una volta raggiunta terra, queste dovrebbero esplodere, ma secondo stime delle Nazioni Unite dal trenta al quaranta per cento dei proiettili rimangono inesplosi, causando in seguito vittime fra la popolazione civile che vi s’imbatte inavvertitamente. Usate largamente in passato ma anche nel presente: nell’agosto del 2008 Human Rights Watch ha riferito che l'aviazione russa ha sganciato cluster bombs sulle città di Ruisi e di Gori, in Georgia. Nella prima incursione sono stati uccisi tre civili e cinque sono rimasti feriti mentre nella seconda sono morti otto civili e altre decine sono state ferite. Tra le vittime un giornalista olandese. Un giornalista israeliano è stato seriamente ferito e un veicolo corazzato dell'agenzia di stampa Reuters è stato perforato da una scheggia. Fortunatamente, in un rigurgito di assennatezza, i leader mondiali hanno deciso di porre fine a questi strazi adottando una Convenzione si prefigge di proibire l’uso, l’immagazzinamento e il trasferimento delle munizioni a grappolo con previsioni sull’assistenza alle vittime, sulla bonifica delle aree colpite e sulla distruzione degli stock di munizioni e altre disposizioni analoghe a quelle sulle mine antiuomo sottoscritte nella Convenzione di Ottawa. La Convenzione, che è stata sottoscritta a Oslo il 3 dicembre 2008, entrerà in vigore al deposito della trentesima ratifica. Centoquattro stati hanno firmato ma solo ventisei hanno ratificato fino ad ora e fra questi non vi è il nostro paese. Bianchi sono l’abbacinate fiammata e il fumo densissimo e persistente sprigionati dalle bombe al fosforo usate dagli israeliani contro i civili nella striscia di Gaza durante la devastante campagna biecamente denominata “Piombo fuso”. A sostenerlo non è il “solito” complotto antisionista ma un rapporto della missione del Consiglio dei diritti umani dell'ONU, istituzione neutrale che ha subito la distruzione di un centro di assistenza ai rifugiati.
“Armi pulite”: la bomba al neutrone, attraverso l'esplosione di un ordigno termonucleare di potenza relativamente limitata, produce l'emissione di fasci di particelle. Queste, prive di carica elettrica, riescono ad attraversare la materia con grande facilità senza provocare devastazioni ai manufatti ma in grado di uccidere tutti esseri viventi privi di adeguata protezione. A seguito di valutazioni sulla disumanità di tale arma, che cancella la vita, ma lascia intatte le strutture, sembra che la comunità ne abbia abbandonato l’uso o, molto più semplicemente, l’abbia temporaneamente accantonata per i costi e per le difficoltà inerenti all’uso bellico. Sembrerebbe, dunque, che tale arma non sia stata utilizzata, anche se vi sono testimonianze attendibili che sia stata usata dagli americani in Afganistan con esiti devastanti, durante l'attacco all'aeroporto di Baghdad, prima della resa del 1993.
“Armi ecologiche”. Le munizioni sono molto inquinanti come dimostrato da ricerche svolte negli USA che evidenziano che il personale adibito alle pulizie dei poligoni di tiro presenta livelli di piombo nel sangue dieci volte quelli consentiti dallo stesso governo statunitense. Allora la ricerca si è subito sbizzarrita e in un periodo stimabile fra i cinque e i dieci anni avremo degli inneschi “verdi” per munizioni. Nel frattempo permangono sui terreni del Kosovo e dell’Iraq tutte le delizie legate all’uso di munizioni contenenti uranio impoverito.
Cos’altro si potrebbe ancora aggiungere sulle armi. Esaurite le categorie tecnico-scientifiche e politico-sociologiche potremmo terminare con una notazione di carattere teologico. Se le armi, usate durante lunghissimi secoli per sconfiggere nientemeno che il demonio, sono assolutamente innocue per gli esseri umani, consistendo in aspersioni di acqua benedetta e declamazioni rituali di formule dai sacri testi delle liturgie esorcistiche, affatto non lo sono state le armi evocate in tutti i tempi da stregoni e sciamani ma, anche e soprattutto, da disinvolti ministri dei più svariati culti. Armi sacre, stanche di cozzare contro le altrettanto sacrosante, temibili e resistenti scimitarre dell’Islam, le spade dei crociati, protagoniste di orrende carneficine, si sono rivolte contro le tenere membra di donne, vecchi e bambini nei villaggi della Palestina nel corso di interminabili e sanguinosissime crociate Le baionette usate per sbudellare gli avversari e le mazze chiodate per finire i nemici annichiliti dai gas asfissianti, armi benedette da zelanti sacerdoti con lo stesso rito, officiato in lingue diverse, prima dei furibondi massacri della prima guerra mondiale sul Carso e sull’Isonzo: cattolici contro cattolici, soldati italiani contro soldati austroungarici. Armi sante, benedette dai pope ortodossi o dai preti cattolici, come le lame degli infami miliziani serbi e croati che hanno sgozzato e mutilato inermi vittime civili in desolate e dimenticate località dei Balcani.
E per finire pensiamo all’impatto che hanno le armi anche nel nostro linguaggio. Dai comunicatori pubblici di ogni specie, passando per i “lucidi” e polemici commentatori dell’eccelso e del banale per finire, addirittura, con i giornalisti sportivi, non riusciamo a resistere all’irrinunciabile attrattiva del gergo castrense e al macabro fascino di ricorrere, con metaforica "eleganza", alle armi: essere ad armi pari, spezzare una lancia, portare sugli scudi, battere in ritirata, fare armi e bagagli, fare una tabella di marcia, essere in prima linea, aprire le ostilità, affilare le armi, sottoporre a bombardamento mediatico, correggere il tiro, trattare una resa onorevole, sparare a zero, battere in ritirata, sconfiggere l’avversario, essere nel mirino, affilare le spade, essere alle prime armi, stringere d’assedio, non concedere tregua, levar le tende, espugnare il campo avversario, lottare fino allo strenuo, venire dalla gavetta, eccetera, eccetera. E nella cronaca politica? E’ tutto un echeggiare di "stringere alleanze, fare a braccio di ferro, vincere o essere sconfitti alle elezioni, tradire gli alleati, passare allo schieramento nemico" e così via.
Non va meglio con la storia che, se è maestra di vita, lo è altrettanto e ancor di più di morte. Le innumerevoli rievocazioni di immani tragedie e di piccoli eventi bellici si susseguono non solo per il giusto e doveroso ricordo delle vittime ma, purtroppo, anche per quel carico epico implicito e grevemente fascinoso del ricordo delle gesta eroiche - si tace colpevolmente sulle debolezze e vigliaccherie - immancabile corollario di tutte le guerre, passate, presenti e future. Se molti sono i monumenti che celebrano le glorie delle armi e dei combattenti, ben pochi ve ne sono a omaggio di chi ha rinunciato all’uso delle armi per preferire i mezzi e i metodi del dialogo. E se nelle nostre aule si presta poca attenzione agli ammaestramenti che i fatti dolorosi suggeriscono ancora meno spazio, è dedicato alla pace e ai profeti che in tutte le epoche ne sono stati i portatori. A questo punto e via di questo passo pare che alle armi non si possa rinunciare.
Che cosa resta da dire se non che ognuno di noi dovrebbe fare un piccolo sforzo per non cadere in questa spirale irresistibilmente perversa. Chi scrive ha scelto e continuerà a essere un operatore di pace nel Corpo Militare della Croce Rossa Italiana. Ma……. anche qui cado male! Forse sono fuori dal mondo perché scopro che molti colleghi si esercitano, e non ne fanno mistero, al tiro con fucili e pistole. Forse la qualifica di “militare” ne fa derivare conseguentemente in modo esplicito, necessario e inevitabile l’uso delle armi? Non si evochi, per carità, l’eventualità che, giacché l’uso delle armi è consentito agli operatori umanitari, in forza delle Convenzioni di Ginevra, per autodifesa e per la protezione di beni e persone sotto la loro protezione, che sparare agli eventuali assalitori, mirando per colpire e magari uccidere, sia auspicabile nel comportamento di un operatore di pace neutrale. A chi, invece, adduce a tal esercizio il valore di pratica sportiva, si potrebbe obiettare che rimane difficile comprendere cosa ci sia di “sportivo” nel passare ore fissi in piedi o stesi a terra a guardare un bersaglio e tirare un grilletto. Salvo che, non si reputi il tiro con le armi un adattamento tecnologico di stampo modernistico - occidentale della pratica orientale del tiro con l’arco laddove, per i praticanti dell’ascetismo meditativo asiatico, questo riveste il significato di pratica mistico-religiosa. Comunque sia, piaccia o no, non resta che concludere che delle armi, qualsiasi esse siano, pare impossibile fare a meno.
Si salvi chi può!


<<precedente sommario successivo>>
 
<< indietro
ricerca articoli
accesso utente
login

password

LOGIN>>

Se vuoi
accedere a tutti
gli articoli completi
REGISTRATI

Scrivi il tuo libro: Noi ti pubblichiamo!

Le parole di una vita

Cittadino Lex

gg