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Del seguente articolo:

Marzo - Maggio/2010 -
Haiti, il cuore delle Infermiere Volontarie
Haiti, nove le prime infermiere volontarie a Port au Prince per l’assistenza con l’ERU italiana a migliaia di vittime del terremoto

“Papà muoio vero?” Questa straziante domanda, fatta in francese al padre che se lo stringeva al cuore da un bimbo di cinque anni al quale avevano amputato un piede, la porterò sempre nell’anima. Un pianto che non riuscirò mai a cancellare dalla mente”
Con questo toccante ricordo l’infermiera volontaria Dianora Guicciardini, catapultata ad Haiti nel primisismo staff di emergenza della Croce Rossa Italiana, ricorda quei momenti di dolore e sgomento.

Donne che dedicano la vita al prossimo per alleviare le sofferenze nella disperazione, donne che al richiamo dell’emergenza, all’istante, abbandonano affetti e vincoli del quotidiano, professionalmente preparate a qualsiasi evento e che si possono anche venire a trovare nel vortice di un disastro inimmaginabile, queste sono le Infermiere Volontarie. Guicciardini non è che un nome, pari a quello di tutte le altre 16.000 che, alla chiamata del loro Ispettore Generale, Sorella Mila Peretti e del Segretario Generale Monica Dialuce, senza esitare sono pronte a partire per qualsiasi destinazione, anche ignota. Per Haiti, le prime sono partite a notte fonda in aereo, altre si sono unite al Contingente Militare Italiano Interforze a bordo della portaerei Cavour, l’ammiraglia della nostra Marina Militare per andare a operare nell’isola caraibica nelle zone devastate dal terremoto.
Le parole di Sorella Dianora che pubblichiamo in questo articolo sono tratte in parte dalla news letter “Crocerosin@”, il loro nuovo organo di informazione diretto da S.lla Monica Dialuce e, in parte, anche da alcune sue corrispondenze da Port au Prince, pubblicate dal quotidiano “Il Riformista”, diretto da Antonio Polito.
Inserita nel primo gruppo inviato dalla Croce Rossa Italiana ad Haiti, S.lla Dianora Guicciardini, 34 anni, Ispettorato Provinciale di Firenze, ci parla della sua esperienza di volontario, maturata dopo l’università a Londra, con un corso di crocerossina nel capoluogo toscano.
“Fin da bambina - racconta Guicciardini nell’intervista sulla new letterer - i miei genitori avevano incentivato la mia ‘voglia’ di natura mandandomi ai campi wwf. Lì ho scoperto la bellezza del mondo del volontariato e ho continuato per tutta la vita, impiegando le mie vacanze con varie associazioni umanitarie. Successivamente, ho poi capito che se volevo continuare ad essere operativa nel settore, avrei dovuto specializzarmi e la Croce Rossa è la migliore scuola in questo campo...
“La mia prima esperienza sul campo l’ho iniziata con il terremoto dell’Aquila, quando sono stata assegnata al Posto Medico Avanzato del Campo di Collemaggio. Il campo era interamente gestito dalla Croce Rossa e la mia disponibilità era h24, come quella dei medici che si alternavano durante il mio turno. Avevamo una tenda pneumatica allestita con medicheria, curavamo gli ospiti del campo e anche molti pompieri, che rimanevano feriti nelle operazioni di soccorso e messa in sicurezza della città...
Nella news letter delle Infermiere Volontarie, Guicciardini parla quindi della grande differenza climatica che riscontrò quando fu mandata a operare sui due terremoti, l’Aquila e Haiti: “in territorio abuzzese operavamo sui 5 gradi con piogge costanti mentre, ad Haiti, i gradi erano anche 40; ovviamente a Pourt ou Prince la situazione era peggiore per via della totale distruzione delle infrastrutture logistiche: basti pensare, che l'Ospedale Centrale aveva perso 9 edifici su 17. Il governo era in gravi difficoltà, le scuole chiuse, il cibo di difficile reperibilità: Haiti ritengo sia stato uno dei più pesanti disastri naturali che la Croce Rossa si sia mai trovata ad affrontare. Basti pensare che per il sisma di Sumatra furono impiegate circa 22 ERU mentre ad Haiti, dieci giorni dopo il sisma le ERUpresenti erano già 36.
S.lla Guicciardini sottolinea quindi quanto le sia stata preziosa quella sua prima esperienza in Abruzzo dove toccò letteralmente con mano le difficoltà degli operatori sia nell’impatto con il dolore, con la morte, che per approfondire la gestione della vita quotidiana nell’emergenza ma, afferma, i disagi logistici non le pesarono più di tanto.
La Sorella, ad Haiti, ha fatto invece parte del cosiddetto “Gruppo Zero”, quello che ha avuto l'impatto più duro con la realtà terremotata e che si è trovato a vivere i disagi di un’emergenza sin dal suo inizio. “Il contingente con il quale sono partita era formato da una squadra molto preparata e con alle spalle missioni importanti; in soli dieci giorni, lavorando duro, siamo riusciti ad urbanizzare la zona dove operavamo in circa e siamo entrati in pieno regime nel nostro ‘base camp’ entro i venti giorni dall’arrivo”. Questa attività di logistica apparentemente collaterale, ebbe però il grande significato di dare alloggio, cibo e accesso ad acqua sicura per i 500 volontari della Croce Rossa presenti con le varie ERU ad Haiti. Molto più da gestire invece, aggiunge Sorella Dianora, era tutto quello che relativo alla sfera emotiva, per il quale, rivela, “ho ancora difficoltà ad affrontare il dolore, soprattutto in ambito pediatrico, dove ho dovuto assistere a tanti interventi propio sui più piccoli devastanti, e perciò non sono in grado di poter dire che non mi abbiano cambiata almeno un po'....
“Sono seduta per terra in uno spiazzo davanti all'aeroporto di quello che resta di questa città - scrive invece S.lla Guicciardini in una delle sue corrispondenze quasi quotidiane per ‘Il Riformista’ - e vedo atterrare enormi aerei carichi di aiuti umanitari mentre decine di elicotteri sorvolano il nostro campo in fase di allestimento: l'odore di morte aleggia, è come una guerra; sono arrivata da cinque giorni con il convoglio umanitario di Croce Rossa Italiana da Santo Domingo, la congestione dei voli su Port au Prince ci ha costretto a raggiungere via terra il nostro obiettivo: otto ore di strade sconnesse in una natura bellissima e poi il confine, un cancello fatto di ferro e filo spinato che ci spalanca le porte dell'inferno. Ci sono camion di aiuti, file interminabili e centinaia di sfollati che non escono, oltre questo cancello si decide vita e morte di persone che non sanno cosa sarà di loro. Ad Haiti ci sono ancora i cadaveri per le strade, gente disperata li abbandona agli incroci nella speranza che qualcuno li prenda e li porti via, non possono occuparsi dei morti quando la sorte dei vivi è appesa a un filo. Muoversi in città senza una mascherina o una bandana è a dir poco impossibile. Siamo stati all'ospedale della città e abbiamo visto che di 19 edifici solo 7 ne sono rimasti in piedi e comunque nessuno li vuole occupare. Il risultato? Migliaia di feriti -sia per il sisma che per malattie croniche - vivono e vengono curati mentre sono accampati nei giardini. I medici arrivati da tutto il modo fanno quello che possono, la Croce Rossa cura in un ospedale da campo ferite che in Italia sarebbero da camera sterile, non ci sono anestetici e le infezioni aumentano con il passare delle ore. Il responsabile è un medico norvegese che ci mostra la sala operatoria ovviamente attendata, la gente ha lo sguardo perso nel vuoto, ma a lamentarsi sono in pochi: sanno di essere fortunati ad essere vivi. Alle mie spalle il campo base della Croce Rossa Italiana è in piena attività, si allestiscono tende, cucine, potabilizzatori, energia elettrica, bagni, fogne: stiamo costruendo una città. Intanto la vita continua. La popolazione si è subito riorganizzata per quanto possibile, ma i mercatini improvvisati si appoggiano a muri pericolanti, carrozzieri di fortuna lavorano accanto ad asili crollati come fossero stati di sabbia. La vita e la morte sono molto, molto vicine. Se davvero dovesse arrivare la temuta nuova scossa sarebbe una tragedia nella tragedia, non esistono zone rosse e una nuova scossa farebbe crollare gli edifici rimasti in piedi per inerzia. E intanto seduta per terra conto gli aerei. Sono le sei di mattina, le tende sono già un forno, ma fuori l'aria è ancora fresca. Davanti a me salgono colonne di fumo nero e acre, mi dicono che qualcuno sta bruciando i cadaveri su copertoni di camion...
“Il caldo è sempre più oppressivo e la polvere che respiriamo è una costante. Il campo base è quasi pronto, speriamo di potere spostare tutti entro domani mattina. Ieri è stata una giornata campale, ma la soddisfazione è tanta e il morale alto. Il gruppo di Croce Rossa Italiana non si ferma un attimo e basta uno sguardo per capirsi. Tutti i team leader delle Società nazionali di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, dopo aver fatto un sopralluogo nel nostro campo, sono rimasti a dir poco impressionati, tanto da farci i complimenti ufficiali per il lavoro svolto. Un riconoscimento che fa piacere e che in situazioni del genere è ancora più importante. Siamo qui a rappresentare 150mila volontari italiani ed è per noi un orgoglio e un onore sapere che la nostra struttura logistica è apprezzata a livello internazionale.,,
“Ma il tempo si dilata e sembra quasi di aver lasciato l'Italia da tanto tempo. Per le piccole cose ci si arrangia come si può, ora la cucina è quasi pronta e ieri sera abbiamo anche mangiato un piatto di pasta caldo, tutti insieme intorno ad un tavolo. Una cosa non da poco. In più il team che lavora alla potabilizzazione dell'acqua è riuscito nel miracolo: ieri abbiamo avuto acqua e quindi la doccia: sarà banale, ma è proprio vero che si apprezzano le cose più semplici solo quando ti vengono tolte. Quando usciamo dal campo con i nostri mezzi, lo scenario è sempre terribile, anche se si vede procedere l'attività umanitaria. Le nostre distribuzioni di acqua, cibo, kit igienico-sanitari, medicinali agli ospedali da campo, continuano senza sosta. Certo, c'è ancora molto da fare, ma la macchina degli aiuti va avanti a spron battuto senza perdere neanche un istante. Anche un sorriso, però, è molto importante in questi momenti di emergenza. Regalare un sorriso a un bimbo che ci guarda dalla strada è sempre importante, una di quelle cose che riscalda il cuore: anche il profilo psicologico diventa sempre più una questione importante. "Ama, conforta, lavora, salva", questo il nostro motto nel corpo delle Infermiere Volontarie. E qui a Port au Prince, queste parole sono realtà, minuto dopo minuto.
Il "Campo Italia" è finalmente in piedi. Il primo volontario della Croce Rossa spagnola entra nella struttura che sarà utilizzata dalle 19 squadre di emergenza (il più grande dispiegamento del Movimento internazionle di Croce Rossa mai avvenuto). Le squadre sono arrivate ad Haiti da tutto il mondo. Dopo giorni di lavoro gli operatori della Croce Rossa Italiana possono mettere a disposizione un prezioso punto di riferimento per gli aiuti. A ogni tenda va dato un nome: su quella più grande non abbiamo avuto dubbi. L’abbiamo chiamata ‘L'Aquila’. Un collegamento simbolico con l'Italia, che testimonia la continuità dell'impegno al fianco di chi è più debole. Il campo, che si trova a 500 metri dall'aeroporto di Port au Prince, preparerà 1500 pasti al giorno. Quando le cucine saranno a regime però, i pasti saranno distribuiti anche alla popolazione. Un contributo prezioso per tentare di spegnere negli occhi di questa gente la domanda di aiuto. Serve acqua. Solo qui, dove l'acqua è preziosa, riusciamo a capirne il valore. Il nostro potabilizzatore che produrrà 8000 litri d'acqua all'ora è una soluzione tecnica fondamentale. Un secondo è in arrivo con la nave Cavour. Il Campo Italia ospiterà 300 operatori (delle 19 ERU impiegate) da tutto il mondo, dall'Europa fino al Giappone, passando anche per il Quatar...
“Pronti via, si ricomincia, dormire cinque ore sembra quasi un lusso, sveniamo appena spenta la luce e ci svegliamo al primo C130 che atterra, di solito verso le sei. Stamani mi sono svegliata pensando alle altre sorelle in missione, ne abbiamo 8 sulla Cavour che speriamo di vedere arrivare davanti a Port au Prince per il 2 di febbraio. Sono in navigazione e stanno allestendo le nuove sale mediche e operatorie che si trovano nella portaerei. Per loro la missione sarà ancora più lunga e più intensa perché una volta che avranno trovato il modo di trasportare i feriti a bordo saranno attive 24h su 24h. È una grande missione anche la loro, una missione che ricorda il glorioso passato delle tante navi ospedale e delle tante crocerossine che vi hanno lavorato e che, in alcuni casi, hanno anche perso la vita per servire i più vulnerabili... sono decine e decine gli elicotteri militari e civili che ci sorvolano atterrando e decollando dall'aeroporto vicino. Volano bassi e veloci, sanno dove vanno, sono in missione, qui c'è tanta tanta energia...
Sorella Guicciardini riflette sui bagni che ormai funzionano, le docce pure e la cucina che “sta per sfornare una valanga di penne al pomodoro e tutto grazie al grande lavoroche tutti insieme abbiamo fatto in questi giorni”. Parla del suo diario di corrispondente che ha portato avanti con fatica “ dormendo in terra e mangiando barrette energetiche, senza corrente e tanto meno l’accesso a interne che mi risultava un filino difficile. La tenda ufficio della quale sono responsabile è quella che si potrebbe dire una reception: registro i volontari della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa che da tutto il mondo sono venuti ad Haiti, ognuno di loro ha una specialità. Dalla ragazza inglese che non diresti mai, ma è una specialista nel costruire fogne, fino al delegato coreano specializzato in pediatria. Quando si lavora in queste missioni, e in condizioni cosi estreme, tutti sono indispensabili e non è retorica; la ragazza inglese è tanto importante quanto il dottore coreano; una cosa non funziona se prima non è stata organizzata l'altra, è tutto ciò è come un gigantesco puzzle. Ho due panche di legno e relativo tavolo, il mitico capo elettricista che è italiano e da luce a tutto il campo, mi ha fornito di presa multipla, il massimo del lusso, ho attaccato la stampante che è già sommersa di polvere e il caricatore per la radio del campo che è la nostra salvezza quando usciamo per tubi, fili, pane e tutto quello che serve. Uscire è importante perche ti dà la possibilità di vedere come si stanno muovendo gli aiuti e la differenza da un giorno all'altro è tanta. Stamani uscendo a prendere il pane nel forno italiano della Fondazione Rava, abbiamo assistito alla consegna di viveri al campo profughi davanti all'aeroporto. La Croce Rossa sta anche consegnando gli 'shelter kit' (3 teli plastificati, vanga, piccone, martello, chiodi, filo di ferro e piccolo manuale di montaggio ). La famiglia che li riceve provvede personalmente al loro assemblaggio dando quindi un valore aggiunto all'operazione, si costruiscono il proprio riparo eventualmente aiutandosi tra loro, il fattore psicologico è molto importante, gli uomini che prima lavoravano possono cosi continuare a prendersi cura delle famiglie. Ieri ho visto una delle cose più tristi da quando sono arrivata in questo posto maledetto e bellissimo: decine di bambini , con indosso le divise della loro scuola, che tutte le mattine si recano su quello che è rimasto del'edificio. Sotto quelle macerie sono morti quasi 100 dei loro compagni e la struttura è totalmente pericolante ma loro non sanno dove andare, dicono che quella è la scuola e ci vogliono tornare, i pavimenti sono pieni di quaderni, le aule diroccate hanno ancora qualche banco dentro, sulla lavagna la lezione del 12-01-10.... ogni scarpetta nera tra le macerie è un bambino rimasto coinvolto, la speranza è che siano scappati o al massimo ricoverati in ospedale ma l'espressione dei piccoli che vagano tra ciò che resta dell'edificio non promette nulla di buono....
“Oggi dovrebbe arrivare il Cavour, se cosi fosse potrei finalmente riabbracciare le sorelle imbarcate, non ho loro notizie ma spero di avere la possibilità di poterle accogliere. Non che qui ci siano grossi problemi anzi, la grande comunità mondiale di Croce Rossa che si è sistemata al nostro campo è uno stupendo mix di culture diverse e motivazioni uguali, difficilmente nella vita mi succederà ancora di fare parte di un così grande gruppo di persone speciali che mettono tutto da parte per aiutare gli altri. Tutti qui hanno lasciato a casa lavoro e affetti importanti, alcuni a casa capiscono le nostre motivazioni, altri no ma il tempo sarà giudice delle nostre scelte Piano piano ognuno di noi cede un po': c'è chi ha bisogno di stare solo e si chiude nel magazzino, chi ha febbre e dolori che risolvo con vitamine e due chiacchiere all'ombra, da tenere sotto controllo sono quelli che non si lamentano mai, è difficile capire quello che li succede e giro a dare pacche sulle spalle con scuse a caso per vedere un po' come va. Le missioni all'estero come queste sono così, toste. La cucina, che è di nostra responsabilità è ormai super operativa e riusciamo addirittura a fare più pasti di quelli richiesti, questo ci permette di dare da mangiare anche al personale locale che lavora con noi al mantenimento delle tende e della sicurezza. Le ragazze locali che sono state assunte per aiutare in cucina sono meravigliose, c'è chi ha perso i genitori nel terremoto, chi è malata di cuore e per la quale cerchiamo medicine. Il primo giorno erano timide e cupe, non parlavano nemmeno tra loro... oggi cantavano ‘O' sole mio’ pelando patate. Diamo da mangiare a tutti e poi stremati ci sediamo intorno ad un tavolo e mangiamo anche noi facendo due chiacchiere e tirando le somme della giornata, questo è il momento più bello per noi. La tensione si allenta....
“Ieri notte ho avuto paura per la prima e forse ultima volta, mentre cenavamo tutti insieme intorno al nostro tavolo hanno cominciato a sparare a 20 metri dal campo. Gli uomini della nostra squadra hanno capito subito che non erano petardi, io ci ho messo un po' di più. Poi hanno individuato che tipo di arma fosse. Io onestamente mi sono piazzata tra i due più robusti a testa bassa e li sono rimasta. Mai nella mia vita avevo sentito sparare per uccidere e per di più cosi vicino. Dico sparare per uccidere perche ci sono buone possibilità che di questo si sia trattato; il business della sicurezza privata è enorme e i vari quartieri hanno guardie armate a difesa di magazzini pieni e case private. La procedura con i cosiddetti "sciacalli" è questa : prenderli, legargli le mani, sparargli in testa e lasciare i cadaveri per strada a monito per chi volesse fare altrettanto....
L’Infermiera volntaria parla poi dei container che erano erano sul Cavour, quattro dei nostri uomini sono stati elitrasportati due giorni fa sulla portaerei ormeggiata al largo e hanno cosi potuto recuperare il materiale della Croce Rossa che vi era stato caricato dall’Italia. Appena attraccati, lo hanno messo sulle banchine e sono venuti via terra in quasi 24 ore di viaggio, accolti da noi come se non li vedessimo da un mese. Chissà come sarà al ritorno in Italia, quando non li vedrò più tutti i giorni. Comunque ora il gruppo è ricomposto e abbiamo tanto da fare per sistemare tutto: è arrivato il tanto atteso potabilizzatore con insacchettatrice che ci permetterà di garantire alla popolazione 3600 litri di acqua potabile ogni ora e sono anche arrivati i condizionatori, le celle frigo e un container di servizi igienici. Ho quindi finalmente notizie di prima mano delle otto crocerossine imbarcate: a quanto pare il morale è alto anche lì e si stanno preparando a entrare in piena operatività. Mi piace saperle vicine! Qui al campo le giornate scorrono veloci e faticose, siamo abituati ormai ai decolli e ai voli radenti di aerei ed enormi elicotteri a tutte le ore, ma al caldo torrido proprio non riusciamo ad abituarci. Una settimana fa mi sono fatta tagliare i capelli alla meglio con un paio di forbici da elettricista, il nostro 'chimico' si è offerto per il lavoro e devo dire che il risultato, che nell'immediatezza era disastroso, ora inizia a prendere una forma accettabile. Comunque meglio così perché con questa polvere e questo caldo proprio non potevo più andare avanti con i capelli lunghi e poca acqua. La cucina, nostro punto di forza, ha ottenuto le tanto agognate zanzariere per le 4 enormi finestre che si affacciano sul campo attendato, è una piccola miglioria, ma tutto quello che facciamo per ottimizzare le strutture ci porta un grande entusiasmo. Quando non hai nulla, tutto diventa importantissimo. Le uscite dal campo sono una grande prova per il nostro morale, fuori la gente si accalca ai cancelli nella speranza di un lavoro, per strada ancora morti a più di venti giorni dal sisma, bambini nudi nelle tendopoli girano tra spazzatura e fogne improvvisate. Il lavoro, da queste parti, va avanti senza sosta.
A una specifica domanda postale sulla news letterdelle Infermiere Volontarie, S.lla Dianora descrive anche il livello di stanchezza che assale tutti coloro che lavorano in prima linea, sul fronte umanitario: “Curiosamente la stanchezza per me è stata più forte i primi giorni, con il passare del tempo i compiti si definivano e le giornate passavano a grande velocità, arrivavi alla sera senza accorgersene, più che di stanchezza forse si può parlare di fisiologica debilitazione, che alla lunga, potrebbe abbassare il rendimento, ma un mese non è un tempo sufficiente perché questo accada, almeno non per noi che bene o male, dopo una settimana avevamo risolto il problema del cibo e dell'alloggio. Per superare i momenti più difficili - aggiunge - occorrono nervi saldi e tanta umiltà, occorre saper chiedere aiuto a un compagno e quindi, ammettere e condividere un eventuale momento di debolezza, è molto importante. Lavorando in squadra, il crollo di un elemento può inficiare l' operatività di tutto il gruppo e questo lo sai prima di partire, vieni preparata con briefing e sai cosa ti aspetta, non sono missioni improvvisate e questo aiuta molto.
Scrivere un diario - conclude S.lla Dianora nella news letter dedicata alle informazioni per il mondo delle Inferniere Volontarie, “è stata comunque per noi una grande occasione per per fare conoscere il nostro operato e per la Croce Rossa tutta di sensibilizzare la popolazione e raccogliere fondi.
Avevo inziato questa intervista dicendo che porto sempre nel cuore l’immagine del bimbo straziato da una menomazione ma, debbo anche dire, porterò sempre nel cuore pure la mia squadra formata da quegli uomini speciali che mi hanno sempre protetta e tutelata. Paola Gregory
Sorella Manica Dialuce Gambino è il direttore della news letter “Crocerossin@”, Capo Redattore S.lla Francesca Arru, Comitato di Redazione S.lla Micaela D’Andrea e S.lla Patrizia MIRACOLA, impaginazione grafica S.lla Francesca ARRU
La newsletter è un servizio dedicato al personale del Corpo delle Infermiere Volontarie C.R.I..e la diffusione è a cura deLL’Ufficio Direttivo Centrale Ispettorato Nazionale II.VV. C.R.I.- Sede: Via Toscana, 12 00187 Roma


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