‘Conte’ Federico e figlia Isabella se la ridono di gusto nel chioschetto di un parco di borgata, il ‘Tufello’ a Roma. “Guai a te se ripeti ancora che sono un ‘conte’ - bofonchia Federico il nobile - certo un tempo lo ero, per la mia antica famiglia napoletana... ma ormai me ne sono ufficialmente liberato e lo trovo un appellativo irrispettoso.
Il mitico foreporter Federico Garolla che, con le scarne macchine fotografiche del tempo, aveva vissuto gli anni ruggenti di determinazione e speranze nei quali la Repubblica germogliava, è lì, proprio lì, assorto nei suoi ricordi. Racconta dei suoi ‘appunti’ italiani su quella fiera voglia di Ricostruzione che profumava l’aria, gli appunti sui dolori di una guerra vissuta nella disperazione per le follie delle due dittature che avevano devastato l’Europa e il cuore della gente, i primi approcci con un’informazione libera come “Il Mondo” di Mario Pannunzio o L’Europeo di Arrigo Benedetti negli anni ‘50, via via l’Alta Moda di Emilio Schubert con la sua cloratissima Abbe Lane dai capelli ramati, quella di Valentino, Litrico o le Sorelle Fontana... Oppure nel cinema il timido accostamento al neorealismo di Rossellini, un De Sica che fuma una sigaretta nel traforo di Chiatamone a Napoli, la Bergman, Magnani, Loren, Koscina, Matroianni o Sordi - solo per ricordare qualche nome - che conquistavano spettatori nel fascino del bianco e nero.
Con Garolla ci eravamo fortunosamente conosciuti fortunosamente nel 1958 quando dalle redazioni milanesi veniva a Roma come inviato speciale. Pochi i mesi di collaborazione con lui quando - per primo in assoluto in Italia - avviò una grande struttura fotogiornalistica, la “Agenzia Italia”, imponendo una svolta radicale nel modo di fare informazione con le immagini. Uomo libero e di azione resistette però ben poco agli intrugli della burocrazia romana e riscappò a Milano. Lasciando però un indelebile segno in bianco e nero.
Stiamo parlando di oltre cinquant’anni fa: che dire di lui? Giusto riportare alcune considerazioni di un grande critico del fotogiornalismo italiano, Maurizio Rebuzzini: “Federico Garolla è un fotografo a tutto campo. Con maestria e capacità fuori del comune è passato attraverso molteplici generi applicati. Ma, in definitiva, è sempre stato un autentico fotogiornalista: la vocazione non mente mai. Lo è stato, come ci siamo dilungati, quando ha affrontato l’Alta Moda. Lo è stato, quando ha disegnato incantevoli ritratti di personaggi del cinema, della cultura e della società. Lo è stato, quando è passato alle più cadenzate sessioni di cucina e documentazione d’arte..., fotogiornalisti del calibro di Garolla hanno addirittura creato a quel tempo un linguaggio: una fotografia italiana che meriterebbe sollecita e diligente considerazione internazionale ”.
Considerazioni appropriate, queste, che valgono anche per tanti altri mitici fotografi del tempo, scritte però con un occhio sugli anni ‘60, quando ancora esisteva la fotografia, quella con la ‘F’ maiuscola, quell’immagine latente nella luce inattinica delle camere oscure.
Oggi tutto ciò è passato, altri sono i nuovi fotografi di cultura, altre le tecnologie, la chimica è soppiantata dal digitale, la camera oscura dalla postproduzione. Al nuovo non ci si deve opporre, eventuali nostalgie di un passato che non esiste più sono ridicole. Occorre però - per chi ama la fotografia - impegnarsi affinché queste memorie sui cui in tanti ci siamo impegnati, non vengano disperse. L’informazione di oggi nasce e si diffonde all’istante, tempo reale fra lo scatto del fotoreporter nel deserto di Ghaza e le redazioni di tutto il mondo e il passato può solo essere adeguatamente conservato. Lo Stato però, nella sua follia distruttiva (si pensi solo alla scuola di oggi), è totalmente incapace a farlo, l’editoria stampata corre h24 da un evento all’altro, dei contenuti è difficile parlarne e la Rete, formidabile se ben capita e ben utilizzata, vomita miliardi di notizie e spesso genera più nozionismo che riflessione. In questo momento, ad esempio, il “banco” dei media sembra vivere solo sul tema delle intercettazioni e degli scandali finanziari, che su altro. Non si sa come finirà quella iniqua e incostituzionale “legge bavaglio” imposta dal potere e fondata sul concetto della maggioranza “...non abbiamo più la libertà di parlare al telefono senza rischiare di essere ascoltati ... ” . Ma che significa? Chi mai fra tanti lavoratori liberi e indipendenti può aver paura di essere intercettato? Ma ci rendiamo conto di quale favore questa legge porterebbe alla criminalità se approvata?
Tornando ai nostri temi, questa complessa vita italiana come la si documenta nelle immagini? Con la foto di un anonimo ‘ricercatore’ con le cuffie in testa davanti a lancette tremolanti?
Il futuro dell’opera di Federico Garolla ha dunque solo un nome, quello di sua figlia Isabella che sta tenacemente organizzando e diffondendo con mostre, pubblicazioni, dibattiti, il prezioso “Archivio Garolla” . Un altro nome che spicca è quello di Tatiana Agliani a fianco a quello di suo padre Uliano Lucas: con Einaudi hanno recentemente pubblicato un’opera miliare della fotografia italiana: “L’immagine fotografica 1945-2000” nella collana Storia d’Italia Annali 20, Torino, 2004. Lucas è un altro mitico fotogiornalista dagli anni ‘60 che, da sempre, con un altro sparuto gruppo di ‘resistenza’ (tutti provenienti dall’Airf, Associazione Italia Reporters Fotografi, nata nal 1966 a Roma, che ha impresso una svolta determinante ai foto-cinereporter italiani e alla quale era iscritto pure Garolla) si batte per salvare dall’oblio culturale (e ciò, purtroppo, può siginificare anche dal ‘macero’) la preziosa opera di informazione dei Garolla, dei Luciano D’alessandro, Franco Pinna, Mario Dondero, Frabco Fedeli e di tanti altri.
L’incontro con il “Conte” Garolla e la figlia Isabella sembrerebbe non voler finire lì, nel chioschetto della borgata romana, ma le metropoli mozzano il fiato: Roma e Milano pur vicinissime con treni e aerei d’oggi, sembrano remote l’una all’altra. Gli orari implacabili trillano dai telefonini che scandiscono i tempi, anche se questi marchingegni possono fermare l’attimo fuggente per scattare una microscopica foto: tempi reali, si armeggia sul telefonino e Federico e Isabella sono già lì, belli e ridenti, pronti per essere trasmessi all’istante nel più sparuto paese del mondo, per il più nascosto organo o tv di informazione.
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