Ad Haiti le organizzazioni umanitarie ipotizzano che siano circa 800mila i bambini che vagano tra i campi spontanei di Port-au-Prince. Molti sono orfani, altri hanno qualche parente sopravvissuto al terremoto ma non sanno dove e come trovarli. A sei mesi di distanza dallo spaventoso sisma che ha scosso e distrutto il 60% di una città tra le più povere del mondo, l´Unicef traccia un bilancio, a volte illuminato da importanti successi, ma spesso offuscato da ombre di rassegnazione. I più piccoli sono quelli che non hanno sempre accesso alle strutture sanitarie, che vengono utilizzati nei lavori più duri, che subiscono le violenze fisiche e sessuali, che sono nel mirino di turpi commerci per i traffici di organi e adozioni improvvisate. Quelle di Haiti sono immagini che colpiscono al cuore, sono dilanianti, soprattutto per chi, come noi, sente evocare dal profondo una ferita di dimensioni certo diverse, ma comunque devastanti.
Chi percorre il territori dell’isola e spazia con gli occhi verso l’orizzonte, si può rendere facilmente conto che l’isola è coperta di tende azzurre dove trovano un precario e difficilissimo riparo quel milione e trecentomila persone che sono scampate alla morte immediata.
Oggi questi esseri umani, versano tutti in una indigenza estrema, sono in balia del caldo, della fame e delle malattie. La stagione dei grandi uragani è ormai alle porte ma, secondo la denuncia di diverse associazioni umanitarie, mancherebbe un reale coordinamento nella gestione degli aiuti che non riescono ad essere trasformati in interventi concreti. Il governo del piccolo Stato sembra avere fatalisticamente accettato la situazione.
Sei mesi dopo il terribile sisma, Haiti è ancora in ginocchio, e sono più di un milione le persone, bambini, donne e uomini e vecchi che vivono fra acquazzoni torrenziali e il caldo insopportabile.
Il settore della popolazione a rischio più elevato è però, come detto, proprio quello dei bambini, che sono la vera emergenza del dopo-terremoto. Una corsa contro il tempo per sostenerli, inteso proprio in termini meteorologici, quella necessaria per sistemare almeno i piccoli che vivono ancora nei campi temporanei: ad Haiti la pioggia non è un termine di disagio quotidiano, bensì la parola ‘pioggia’ deve essere intesa anche come diluvio e piene improvvise che tracimano trascinando con sé tutto ciò che investono, tende, tettoie, baracche, domicili di fortuna, animali e persone, grandi o piccoli che siano.
Le condizioni generali restano precarie. Basti pensare che solo 333 mila persone hanno accesso all´acqua potabile, che sono solo 62.800 i piccoli concretamente seguiti e accuditi, cinquemila le scuole sono state distrutte e non ancora ricostruite, che l´intero sistema di educazione stenta a decollare. Si calcola che ci sia meno di un gabinetto per un centinaio di abitanti e gli impianti igienico sanitari rappresentano una priorità nella ricostruzione dei centri abitati.
Dalla Federazione Internazionale della Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, all’interno del rapporto "Dal sostegno alle vite alle soluzioni di sostegno: le sfide igienico sanitarie ad Haiti" non cessano gli appelli alla comunità internazionale. Nel rapporto si sottolinea quanto, come nel periodo successivo ai disastri "l’emergenza acqua" sia valutata esclusivamente sotto il profilo dell’approvvigionamento all’acqua potabile, senza considerare invece l’aspetto che riguarda il sistema igienico sanitario, al punto che questo è definito "il gemello non considerato".
La Croce Rossa haitiana, la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa nei primi sei mesi del dopo terremoto hanno prestato cure mediche a 95.000 persone, vaccinato dal morbillo, dalla rosolia e dalla differite più di 150.000 haitiani e fornito materiali per i rifugi di emergenza a 120.000 famiglie ovvero più di 600.000 persone. Tutto questo impegno, però, è ancora largamente insufficiente. In tanti vivono ancora nei circa 1300 insediamenti spontanei. Accampamenti costruiti con teli e stracci, in mezzo alle strade, con l´acqua che sgorga dalle condotte spezzate o le pozzanghere che diventano serbatoi quando cessa l´erogazione. Il grande aiuto umanitario che hanno dato tante ONG ha fatto sì che quella che nel passato era stata connotata con la definizione dell’“isola degli schiavi” non sia oggi sprofondata tra le sue macerie.
Nove miliardi è la spesa stimata per ricostruire Port-au-Prince e i paesi che sorgono lungo la faglia che ha provocato il terremoto e Bill Clinton, inviato speciale degli Usa ad Haiti, denuncia ancora i ritardi nella ricostruzione, mentre il presidente Renè Preval, nella sua rassegnazione, afferma: “Il destino dell´isola resta legato agli aiuti della Comunità internazionale”.
Intervistato telefonicamente nelle scorse settimane, Bill Clinton ha sottolineato come i Paesi donatori abbiano fino ad ora versato solo il 10% di quanto pattuito, notando anche le "enormi difficoltà" delle operazioni di sgombero delle macerie e di ricostruzione delle case distrutte: le persone senza tetto sono ancora 1,6 milioni. "Nei prossimi due mesi inizieremo a lavorare a un ritmo più rapido, il potenziale è enorme", ha concluso l’ex Presidente, nominato ambasciatore delle Nazioni Unite per Haiti e un punto chiaro dei coordinatori degli aiuti internazionali per la ricostruzione dell’isola.
Come si vede in ogni terremoto la stessa storia: spenti i riflettori le promesse vengono disattese e i sopravvissuti rimangono nel lutto e nella disperazione, con una opinione pubblica infine stufa di lamentele e tristezze.
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