Si denomina ‘femminicidio’ l’assassinio delle donne. Ne parliamo
con un insigne psichiatra, il professor Piero De Giacomo
in quanto, in quasi metà dei casi le donne. vengono uccise
dal loro compagno. Spesso infatti il delitto viene perpetrato
dal partner (o da un ex partner) a causa della volontà della donna
di porre fine alla relazione. Nell’11% dei casi ciò è scatenato dalla gelosia
Si è sommariamente detto che il delitto contro il proprio partner sia per lo più perpetrato dagli uomini. C’è da dire, però che anche le donne possono essere molto aggressive verso il partner, anche se non arrivano quasi mai a ucciderlo. “Partiamo dal tentativo di spiegare quest’ultimo aspetto del perché gli uomini uccidono mentre le donne non lo fanno. Nel fornire una spiegazione scientifica di questa differenza ci dobbiamo porre nella situazione mentale di non farci prendere dalla indignazione per il trovarci in presenza di delitti così efferati, perché la rabbia che si prova in questa immedesimazione andrebbe a interferire con un’analisi strettamente scientifica del fenomeno”
L’interrogativo è appunto questo: perché gli uomini uccidono e le donne non arrivano mai a farlo?
“Questo fenomeno può essere spiegato con la differenza psicologica comunicativa fra gli uomini e le donne. Complessivamente è stato infatti accertato che l'atteggiamento medio generale della donna è improntato maggiormente al coinvolgimento. Quello dell'uomo, alla autonomia. Per fare un esempio dalla vita quotidiana: solitamente, di fronte a un problema che la donna gli propone, l'uomo tende a fornire rapidamente una soluzione e a chiudere, laddove la donna vorrebbe comprensione e immedesimazione. A osservare le conversazioni fra gli uomini e le donne sembra trapelare un diverso filo conduttore di fondo: per lui “mi rispetti?”, oppure “ho vinto?”. Per lei: “ti piaccio?” oppure: “ti sono stata abbastanza d'aiuto?” In sintesi l’uomo tende a risolvere i problemi e a concludere mentre la donna tende a valorizzare il rapporto. Nella esasperazione che porta al delitto, la donna può anche colpire - perché in sostanza vuole comunicare la sua rabbia - ma non uccide perché uccidere significherebbe la chiusura del rapporto. L’uomo tende invece a “risolvere” e poi a chiudere. Vale a dire che, nell’esasperazione della situazione che porta all’omicidio, il maschio assassino (alla sua maniera criminale) tende attraverso il delitto a risolvere e a chiudere. Alla base del delitto vi è quindi l’illusione di risolvere un problema. Si pensa che uccidendo l’altro si uccide anche la propria sofferenza. Uccidere cioè l’altro - che agli occhi dell’omicida è l’origine della sofferenza - per far cessare la propria sofferenza. “La tesi che vorrei sostenere a proposito dell’uccidere la donna è che questo tema sia collegabile alla dittatura. Cioè a un atteggiamento dittatoriale in cui “il suddito” (la donna futura vittima) che non rispetta la volontà del dittatore viene giustiziato. Per comprendere questo percorso possiamo ricorrere ad un modello della mente (MPE - per il lettore che volesse approfondire le caratteristiche di questo modello può cercare su Google la voce “Elementary Pragmatic Model”) che è in grado di fornirci dei percorsi chiari. “Per arrivare alla dittatorialità anzitutto vi deve essere una predisposizione alla sua accettazione. In secondo luogo la deformazione della mente può nascere dal perseguire una meta creativamente oppure dal trovarsi in una condizione di incertezza e ricevere una risposta oltremisura positiva: come per esempio può accadere incontrando una donna e ricevendo da lei una risposta che viene interpretata come di accettazione verso il di lui mondo (risposta di accettazione che non ci si aspettava e quindi vissuta come oltremisura favorevole). La dittatorialità può anche nascere dall’opporsi ad uno stato di accettazione passiva da parte dell’altro, oppure quando un certo “sogno” (intendendo per “sogno” una certa costruzione mentale che rappresenta una sorta di metafora - per es. una metafora di come noi vorremmo essere). Una volta che in noi si è instaurata la dittatura segue una distruttività dovuta a una perdita di controllo derivante dalla scomparsa di certi limiti, dalla incapacità di selezionare le nostre azioni, per cui compare nella nostra mente la possibilità - in precedenza non esistente - di uccidere (e questo non solo nella fantasia ma in azioni concrete).
Come nasce, secondo il nostro modello della mente questa incapacità a selezionare i nostri comportamenti?
Quando la dittatorialità si imbatte in ostacoli, in non accettazioni, in risposte negative, in qualcosa che in termine tecnico può essere definito “simmetrie” e non, come il dittatore vorrebbe, in accettazioni (che in termine tecnico possono essere definite come “complementarietà” ), nasce la confusione. Queste tendenze “oppositive” portano il dittatore al caos mentale e quindi alla perdita del lume della ragione. La dittatorialità può anche esser invocata per comprendere la restrizione del pensiero di questi soggetti , nel senso che avvertono l’accettazione del loro mondo da parte della donna come l’unica cosa importante della loro vita: essa non concedendo questa unica fonte di gratificazione In mancanza di essa la vita non ha alcun senso. Così nasce l’omicidio a volte seguito dal suicidio.
Quali possono essere le sfumature di questo modello mentale?
“Il modello mentale da noi adottato fa cogliere anche una sfumatura interessante: per coloro che perseguono una meta creativamente o per coloro che si trovano in una condizione di incertezza se l’atteggiamento dell’altro è di pseudo altruismo, cioè di accettazione di facciata che nasconde però un mantenimento del proprio punto di vista da parte dell’interlocutore, questo genera avversione, opposizione, rabbia. Quindi il fare finta di accettare il mondo del partner può scatenare irritazione, il che potrebbe rappresentare un’ulteriore componente che scatena la furia omicida. “Nella visone distorta di certi soggetti vi è anche da tenere in considerazione un elemento “proiettivo”: certi soggetti sentono di non valere nulla ma proiettano questa loro visione sull’altro. Cioè come proveniente dall’altro, come se l’altro li insultasse per la loro inettitudine (“non vali nulla”,”fai schifo”) e quindi questo “giustifica” una reazione di gravità “proporzionata”all’insulto che “si riceve”. “Questo tipo di omicidi ha una matrice diversa dall’omicidio per pietà che si verifica verso persone molto malate. oppure come l’infanticidio della madre verso il proprio bambino, come si verifica nella depressione post-partum.
Abbiamo letto articoli in cui si accusa la psichiatria di volere giustificare, anche attraverso l’uso di etichette, il femminicidio.
“ In realtà la psichiatria si pone come una scienza che studia e cura il disagio mentale. Va aggiunto anche che la Psichiatria più recente si pone in atteggiamento critico verso atteggiamenti nosografici eccessivi ed è sempre più alla ricerca di dimensioni basiche. Da questo punto di vista il Modello che abbiamo citato in precedenza, ne rappresenta un esempio illuminante, “Ho trovato interessante e condivido i consigli alle donne riportati da certa stampa su come prevenire situazioni persecutorie che possono sfociare in tragedie: “Fare attenzione alla persona con cui si decide di stare - provando a non infognarsi in storie con persone aggressive, violente, gelose, asfissianti, possessive, morbose, solo perché si ritiene di poterle cambiare o di non potere meritare di meglio”.
|