Quinto anno di una ricerca realizzata da un loro gruppo di volontarie, Sonia Giari, Cristina Karadole, Chiara Pasinetti, Cinzia Verucci. Un’altra ricercatrice, Anna Pramstrahler, analizza invece come sono apparsi nel 2009 sulla stampa i casi riconducibili a questa atavica violenza
Abbiamo una media di circa 100 casi l’anno nei quali, per circa tre quarti, le donne sono vittime di familiari o partner. occultata dai media. Questa la spia di un disagio sociale e di uno squilibrio nelle relazioni tra i generi, che sono cambiate nella realtà ma non nell’immaginario maschile. Donne uccise dagli uomini: per molti è un fenomeno marginale, spiegabile con facili stereotipi come il raptus individuale oppure, sempre più spesso, l’eccessiva presenza di immigrati venuti per delinquere o comunque estranei alla nostra cultura. Almeno questa è l’immagine che traspare dai media, ma che contrasta drammaticamente con i dati reali: le donne vengono uccise quasi sempre da familiari e partner, entro le mura di casa, e le persone straniere figurano più tra le vittime che tra i colpevoli. Ma soprattutto, c’è un nesso evidente tra la violenza estrema e quella quotidiana e diffusa, entrambe profondamente connesse ai mutamenti in atto, ma ancora incompiuti, dei rapporti tra i generi e soprattutto nella loro percezione e assimilazione da parte degli uomini. Anche quest’anno quelle che vengono rilevate nello studio della Casa delle donne di Bologna sono le morti che derivano non da una causa qualsiasi, ma che hanno la loro origine nella violenza contro le donne perpetrata dagli uomini, ossia sono riconducibili alla relazione di potere tra i due sessi. Si tratta dei casi definiti con il termine femicide dalle criminologhe statunitensi Diana Russell e Jill Radford, e che in parte si differenzia dal concetto di femminicidio, coniato dall'antropologa messicana Marcela Lagarde in seguito a fatti come quelli di Ciudad Juàrez, che include tutte le forme di violenza sistematica contro le donne. In Italia ne hanno parlato, tra le altre, Barbara Spinelli in Femminicidio e Daniela Danna in Ginocidio usciti entrambi un paio di anni fa. Al di là delle questioni terminologiche, il nucleo comune di queste analisi, e delle conseguenti richieste di riconoscimento giuridico della specificità del fenomeno, è che la subordinazione del genere femminile a quello maschile, ancora oggi costitutiva dell'ordine sociale, è la radice di una violenza diffusa a più livelli, che può giungere alle conseguenze estreme dello stupro e dell'assassinio. Anche nel 2009 si è purtroppo confermata la drammaticità del fenomeno: 119 donne uccise per mano di un uomo in Italia, dato sottostimato poiché si tratta solo dei casi riportati dalla stampa, con un leggero ma costante aumento dall’inizio delle rilevazioni: 84 nel 2005, 101 nel 2006, 107 nel 2007, 113 nel 2008. E' confermato anche per quest’anno, come nei precedenti, il dato di realtà sulla provenienza geografica: sono italiani il 70% delle vittime e il 76% degli autori, quindi risulta sconfessato lo stereotipo che vede la violenza come fenomeno collegato all’immigrazione e a culture differenti da quella occidentale.Un altro dato significativo riguarda il luogo del delitto, che quasi per il 70% dei casi è l’abitazione della vittima e questo conferma quanto per la donna non sia la strada il luogo di maggior pericolo, anche se questa è comunemente considerata, dai mass media e dall’opinione pubblica, il luogo in cui le donne più rischiano di subire violenza. Un’altra costante è che il crimine viene commesso nella maggioranza dei casi da un uomo che ha o ha avuto una relazione di affetto significativa con la donna: nel 54% dei casi il partner, nel 9% l’ex, nel 20% un parente. Non a caso l’indagine sul 2008 si intitolava Donne uccise dai loro cari. Impressiona il numero dei figli che uccidono le madri, con una costante nel quadriennio di circa l'8%, molto spesso a seguito di liti: un altro indice di disagio sociale diffuso nella odierna società italiana. Nel 31% dei casi la donna è stata uccisa a causa della sua volontà di porre fine ad una relazione affettiva, mentre nell'11% il movente è la gelosia. Alto è anche il numero degli omicidi commessi, a detta della stampa, a seguito di raptus o di problemi psichici, il 18% del totale. In oltre la metà dei casi l’autore non ha precedenti di violenza, anche se questo dato è poco attendibile a causa delle mancate denunce: secondo un’indagine condotta dall’Istat nel 2006, solo il 7% delle donne che subiscono violenza in Italia agiscono legalmente contro l’aggressore. Anche se il fenomeno è complesso e diversificato, sembra comunque di cogliere una costante, che per la verità viene spesso taciuta o minimizzata negli articoli di cronaca analizzati dalla ricerca: molte uccisioni di donne appaiono come reazioni estreme alla messa in discussione o all’esplicito rifiuto di ruoli sessuali, appartenenti a uno schema patriarcale e superati nella realtà odierna, in seguito alle conquiste femminili e all’indipendenza acquisita da parte delle donne, ma non ancora intimamente accettata da tutti gli uomini. Un tema che rimanda all’ineludibile presa di coscienza maschile, oltre che all’indispensabile lavoro di prevenzione e protezione nei confronti delle donne che vivono relazioni a rischio, svolto in primo luogo dai centri antiviolenza.
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