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Del seguente articolo:

agosto-Ottobre/2010 -
Ambiente
Parchi per una sola terra
Paola Gregory

Un piccolo paese del bellunese, una storia antica, ex-colonia della Repubblica Marinara di Venezia e triste teatro della I guerra mondiale, situato nella valle del Piave, ai piedi delle Dolomiti è diventato la capitale mondiale delle aree protette. “Parchi per una sola terra“, questo il titolo della Conferenza nazionale promossa con l’ospitalità del Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi (PNDB), che festeggia 15 anni. Il convegno è stato una tappa fondamentale verso quello Mon-diale della Natura che si terrà a Barcellona e ha visto la partecipazione di esperti e tecnici impegnati nelle aree protette di tutto il mondo. In particolare Lindi Harvey, vicedirettore del National Park Service degli Usa, che vanta oltre 20.000 dipendenti occupati nella gestione di circa 400 parchi nazionali, di cui il più antico, Yosemite, risale addirittura al 1916. “Apriamo le braccia per aiutarvi, siamo pronti ad ampliare sensibilmente la partnership con l’Italia”, ha dichiarato la direttrice del Parco, riportando la grande esperienza acquisita sul campo dall’ente parchi americano che compie addirittura cent’anni. Paul Grigoriev, responsabile del Programma Europa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) si è concentrato invece sulla questione del cambiamento climatico, sulla necessità di incrementare le aree protette e arrestare il calo della biodiversità, obiettivo esclusivo del progetto “Countdown 2010”, promosso dalla stessa IUCN e illustrato da Andras Krolopp. Fissato nel 2001, l’obiettivo del 2010, entro cui si sarebbe dovuto invertire il trend, appare oggi troppo ambizioso e si spera almeno di rallentarlo per quella data. “Si tratta di un obiettivo centrale – ha spiegato Krolopp – che era stato lasciato esclusivamente agli ambientalisti, finché nel 2007 a Postdam è stato aggiunto all’agenda del G8. E sono proprio i Paesi più industrializzati ad aver i maggiori problemi al riguardo. Del resto, P.I.L.. e biodiversità sono inversamente proporzionali”. Ed è proprio la parola G8, che aleggia nefasta a gettare ombra sull’entusiasmo generale e a depotenziare in maniera decisiva le aspirazioni del convegno, nonostante l’attenzione di tutti a “bypassare” l’argomento. Conclusosi nei giorni scorsi, il G8 giapponese dedicato all’emergenza ecologica è stato un vero flop. Di nuovo nulla di fatto per il trattato di Kyoto, a cui non è servito neanche lo spostamento d’obiettivo dal 2012 ad un lontanissimo e quasi provocatorio 2050. Usa, India e Cina non hanno trovato un accordo neanche questa volta sulla riduzione di gas serra. Nonostante ciò, i lavori della conferenza si sono svolti con la consapevolezza di aver mosso un piccolo passo ma di grande importanza. Nel susseguirsi degli interventi dalle altri parti del mondo, in particolare Costa Rica, Slovenia, Romania, Finlandia, Francia e Spagna, è emersa la volontà di assumere criteri gestionali comuni e di condividere le esperienze, in modo da rispondere alla scommessa dei cambiamenti climatici in modo coerente. Insomma, una vera e propria riunione degli “stati generali” dei Parchi che, dopo questa panoramica internazionale, ha focalizzato la discussione sulle aree protette nazionali, portando alla ratifica di un documento d’intenti, la Carta di Feltre, che ha ricevuto per ora 21 adesioni individuali e che sarà presumibilmente sottoposta all’attenzione del Parlamento. Questo impegno parte dal Ministero dell’Ambiente, affinché si possa dare avvio, proprio sulla base della Carta in oggetto, a una reale politica ambientale italiana. Si tratta di un documento, come ha spiegato il presidente del PNDB, Guido De Zordo, redatto “dalla ‘gente dei parchi’ ed indirizzato ai tecnici ed agli amministratori delle aree protette ed alla politica ad ogni livello, affinché si pongano le basi e si faccia nascere realmente il” sistema nazionale delle aree protette”. Articolata in due parti, la Carta delinea, da un lato, i compiti e le responsabilità degli enti che gestiscono i Parchi, dall’altro, quanto invece spetta agli organi elettivi per renderlo fattibile. I gestori dei Parchi si impegnano, recita il documento, “a coinvolgere sempre di più le ‘genti’ quali attrici delle politiche di conservazione ed a mettere in atto strategie e progetti capaci di contrastare e arrestare la grave perdita di biodiversità e la frammentazione degli habitat”, minacce sostanziali per il futuro dell’umanità. “Dobbiamo trovare una strada italiana alla conservazione e tutela dell’ambiente – ha spiegato Nino Martino, direttore dell’area protetta bellunese – aumentando la capacità di coinvolgere gli abitanti. Dobbiamo trovare una mediazione tra la necessità delle persone di vivere meglio il proprio ambiente e il dovere etico di conservare questi territori, che non sono roba nostra, ma sono in prestito e dobbiamo conservarli per consegnarli alle generazioni future”. Per contro, gli “stati generali” dei Parchi chiedono alla politica di fare di essi “strumenti di gestioni e pianificazione del territorio, di crescita culturale e formazione permanente delle genti, degli amministratori, degli operatori economici e culturali – si legge sulla Carta – attraverso la promozione e il consolidamento di un vero Sistema delle aree protette con la certezza di risorse finanziarie, umane e legislative tali da permettere il conseguimento degli obiettivi prefissati”. La due giorni feltrina è ancora solo un piccolo passo fatto dalla “gente dei parchi” che si scontra non solo con i veti più o meno espliciti dei poteri forti, G8 in testa, e del grande capitale, ma anche con l’ostracismo degli scettici, e anche per così dire “in famiglia” – infatti, diverse associazioni ambientaliste e altre organizzazioni presenti a Feltre hanno rifiutato di firmare la Carta, senza peraltro addurre significative giustificazioni, se non evidentemente la paura di diventare sgraditi alla partitica locale.


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