Riflessioni sugli ideali umanitari del Movimento internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa, rapportati alle devastazioni inflitte a protagonisti armati e a popolazioni inermi. Questo il tema di un convegno, nella sede della Croce Rossa Italiana, aperto dal Commissario Straordinario CRI Francesco Rocca.
L’Ambasciatore di Svizzera in Italia Bernardino Regazzoni ha inviato un contributo scritto al dibattito che è stato presentato dal Ministro Mauro Reina, Incaricato d’Affari di Svizzera in Italia a.i. Fra gli intervenuti Paolo Bernasconi, Decano del Comitato internazionale di Croce Rossa, l’Ambasciatore Maurizio Moreno, Istituto Internazionale di Diritto Umanitario, Paolo Vanni, Università di Firenze, Delegato nazionale per la Storia della Croce Rossa, Paola Gaeta, Università di Ginevra, esperta di Diritto Umanitario, Massimo Barra Presidente Commissione Permanente di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa.
A cento anni della scomparsa di Henry Dunant, uno dei padri fondatori della più grande organizzazione umanitaria del mondo, la Croce Rossa Italiana, l’Ambasciata di Svizzera e l’Istituto Svizzero a Roma hanno organizzato un convegno nella Sala Palasciano del Comitato Centrale CRI. Henry Dunant, agente di cambio ginevrino e uomo d’affari, nel 1859 era in viaggio per l’Italia e si trovava proprio in Lombardia (allora colonia francese) dove infuriavano i combattimenti per l’Unità. Dunant fu involontario testimone dell’orrore provocato da una delle più sanguinose battaglie del Risorgimento che avvenne su quelle lande che videro il sanguinoso scontro fra l’esercito francese che, per volontà di Napoleone III, era intervenuto contro l’Austria a sostegno dell’indipendenza italiana. I due eserciti erano l’un contro l’altro ferocemente armati. Era il 24 giugno del 1859 e Solferino passò alla storia come teatro di una delle più violente battaglie che l’Europa aveva mai vissuto.
Gli scontri videro fronteggiarsi gli eserciti francese, comandato da Napoleone III, e quello austriaco, al seguito di Francesco Giuseppe. Nella vicina località di San Martino, per dare man forte agli alleati francesi, c’era pure l’esercito dei Piemontesi guidato da Vittorio Emanuele II. Un totale in campo di circa 300-350 mila uomini. Dopo i cruenti scontri rimasero a terra, fra morti e feriti, quasi 40.000 combattenti. I feriti venivano scarsamente con grande precarietà assistiti dai reparti infermieristici militari.
Fu grazie al forte spirito di solidarietà delle popolazioni locali e di alcuni volontari, che prese il via il vero e proprio soccorso; oltre ai luoghi della battaglia campale, le cittadine di Castiglione, Desenzano e Lonato, si trasformarono in un unico grande ospedale dove venivano curati e confortati tutti i feriti, senza distinzione di casacca, francesi, austriaci, italiani.
Da questo grande esempio di altruismo, Jean Henry Dunant trasse l’idea che si pose la base della struttura umanitaria di Croce Rossa: un organismo volontario e permanente di soccorso. alla cui creazione e perfezionamento l’uomo d’affari ginevrino dedicò il resto della vita. Dunant era infatti rimasto sconvolto dal numero impressionante dei morti e dei feriti che in quella carneficina rimasero sul terreno. E per di più si rese conto che i feriti venivano letteralmente abbandonati a se stessi.
"Qui si svolge una lotta corpo a corpo, orribile, spaventosa - scriverà successivamente Henry Dunant nel suo celeberrimo diario “Un souvenir de Solferino”- austriaci e alleati si calpestano, si scannano sui cadaveri sanguinanti, s'accoppano con il calcio dei fucili, si spaccano il cranio, si sventrano con le sciabole o con le baionette; è una lotta senza quartiere, un macello, un combattimento di belve, furiose ed ebbre di sangue; anche i feriti si difendono sino all'ultimo: chi non ha più un'arma afferra l'avversario alla gola, dilaniandogliela con i denti."
Impotente di fronte a queste scene di dolore e di disperazione, Dunant cercò invano medici, chirurghi e infermieri che potessero alleviare le sofferenze di tanti esseri umani.
"Il sole del 25 illuminò uno degli spettacoli più orrendi che si possano immaginare. Il campo di battaglia - continua Dunant nel suo diario - è coperto dappertutto di cadaveri; le strade, i fossati, i dirupi, le macchie, i prati sono disseminati di corpi senza vita e gli accessi di Solferino ne sono letteralmente punteggiati. Nei paesi tutto si trasforma in ambulanze di fortuna: chiese, conventi, case, pubbliche piazze, cortili, strade, passeggiate.” (....) “... l'acqua e i viveri non mancano e nondimeno i feriti muoiono di fame e di sete; vi sono filacce in abbondanza ma non mani sufficienti per applicarle sulle ferite. È dunque indispensabile, bene o male, organizzare un servizio volontario”.
Di fronte a tanto orrore e convinto che l'unica cosa da poter fare era solo quella di ricorrere alla buona volontà degli abitanti del paese, Dunant stesso si improvvisò infermiere e, radunando uomini e donne dai paesi vicini, insieme portarono sulla tragedia acqua, viveri, bende, biancheria per poi tornare incessantemente sui campi di battaglia per raccogliere altri feriti. Nonostante tutto Dunant era ben consapevole dell'insufficienza dei soccorsi in rapporto alle necessità. "Si rendono perciò necessari infermiere e infermieri volontari, diligenti, preparati, iniziati a questo compito che, ufficialmente riconosciuti dai comandanti delle forze armate, siano agevolati ed appoggiati nell'esercizio della loro missione”. Proseguendo nel chiedere ovunque dai paesi vicini aiuti umanitari e citando il fatto che in un'epoca in cui si parla tanto di progresso e di civiltà (visto che purtroppo le guerre non possono essere sempre evitate), Dunant si domanda anche per quale motivo non si debba “insistere perché si cerchi, in uno spirito d'umanità e di vera civiltà, di prevenire o almeno mitigarne gli orrori?”.
Con questo proposito, dopo la fine della guerra, Dunant torna a Ginevra, ma non riesce a dimenticare quelle atrocità. Trasferisce nel suo diario tutta l’amarezza, le emozioni, l'angoscia e l'impotenza provate durante quella strage con l’obiettivo di sensibilizzare l'opinione pubblica per la realizzazione del suo progetto: creare una Società di soccorso volontario in ogni Stato, con il compito di organizzare ed addestrare squadre per l'assistenza dei feriti in guerra. Propone che i feriti e il personale sanitario vengano ritenuti neutrali dalle Parti belligeranti, protetti da un segno distintivo comune.
Il libro ebbe grande successo con vasta risonanza in tutta Europa e creò immediatamente un clima favorevole alla realizzazione concreta degli ideali in esso contenuti.
Nel 1862 Dunant aderì alla “Società ginevrina di Utilità Pubblica” e, insieme ad altri cinque cittadini svizzeri - il giurista Gustave Moynier, il generale Henry Dufour e i due medici Louis Appia e Theodore Maunoir - fondò una Commissione di lavoro, il “Comitato ginevrino di soccorso dei militari feriti”, che costituì un primo concreto passo che aprirà la strada a quello che diventerà il Comitato Internazionale della Croce Rossa.
In esso i due principi innovatori e ancora oggi fondamentali delle attività umanitarie in sede di conflitti:
- la neutralità del ferito e del personale
volontario
- l’imparzialità del soccorso.
Nel convegno che si è tenuto alla Sala Palasciano della Croce Rossa a Roma, il Commissario straordinario Francesco Rocca aveva posto in apertura proprio l’accento sull’obiettivo di sviluppare una riflessione sull’attualità del messaggio di Dunant. Un messaggio che proprio oggi deve essere rilanciato con forza alla luce sia dei nuovi conflitti armati che degli equilibri geopolitici in continuo cambiamento e in continui conflitti. E per affrontare gli inesorabili problemi legati ai contesti bellici che, sempre e innanzitutto, rimangono inesorabilmente coinvolti proprio i più vulnerabili: i feriti, i prigionieri, i rifugiati.
Il libro di Henry Dunant “Un souvenir de Solferino”, con il suo racconto davanti allo strazio della battaglia, diede il via alla mobilitazione delle popolazioni: vecchi, bambini e anche ragazze che non esitarono a strappare i lenzuoli dei loro corredi di nozze per farne bende destinate ai feriti. Il libro commosse il mondo.
“...Nell'Ospedale e nelle Chiese di Castiglione sono stati depositati, fianco a fianco, uomini di ogni nazione. Francesi, Austriaci, Tedeschi e Slavi, provvisoriamente confusi nel fondo delle cappelle, non hanno la forza di muoversi nello stretto spazio che occupano. Giuramenti, bestemmie che nessuna espressione può rendere. Risuonano sotto le volte dei santuari. Mi diceva qualcuno di questi infelici:- "Ci abbandonano, ci lasciano morire miseramente, eppure noi ci siamo battuti bene!".
Malgrado le fatiche che hanno sopportato malgrado le notti insonni, essi non riposano e, nella loro sventura implorano il soccorso dei medici e si rotolano disperati nelle convulsioni che termineranno con il tetano e la morte...
Dalla notte del 24 giugno 1859, qualche ora dopo la battaglia che aveva visto a confronto gli eserciti franco-italiano e quello asburgico, mentre sulle colline coperte di cadaveri e di feriti ancora lampeggiavano i bagliori delle arme austriache in ritirata, i Castiglionesi si videro riversare in paese migliaia di soldati feriti di tutte le provenienze. Di fronte al pietoso spettacolo di 9000 corpi mutilati, di volti sfigurati che anelavano un soccorso, di flebili voci che imploravano la morte, il popolo di Castiglione, e le donne sopratutto sfidando pudori, pregiudizi e l’iniziale diffidenza di mariti e fratelli, cominciarono a soccorrere i feriti, sapendo cogliere amorevolmente il dolore “umano” oltre gli stendardi, i contrassegni delle divise e gli incomprensibili idiomi. Ben presto strade, piazze, chiese e abitazioni si improvvisarono luoghi di soccorso mentre la confusione aumentava insieme ai cadaveri e feriti che continuavano ad arrivare”.
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