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Del seguente articolo:

Novembre-Dicembre/2010 -
Terra
Gli oceani, una 'pompa' di CO2
Paola Gregory

Tra i gas responsabili dell'effetto serra il ruolo principale spetta all'anidride carbonica (CO2), la cui concentrazione in atmosfera si pensa dovuta alle attività antropiche, basate sull'utilizzazione di combustibili fossili. In realtà, la presenza della CO2 dipende anche e soprattutto dalla interazione tra questo gas ed i vari componenti del sistema climatico: idrosfera, suolo, biosfera.
E' ben noto che gli oceani sono sia pozzi che sorgenti della CO2: questo è possibile per la presenza della Sostanza Organica Disciolta (DOM), che è un miscuglio di Carbonio, Azoto, Fosforo e rappresenta la più grande riserva di carbonio organico reattivo disponibile sul pianeta. L'oceano agisce come pozzo attraverso due diversi processi: il primo (pompa fisica) consiste nel trasporto di grandi quantità di CO2 verso il fondo nella formazione delle acque profonde, il secondo (pompa biologica) consiste nella diffusione e nel rilascio nelle acque profonde della DOM e del CaCO3 in modo tale che grandi quantità di CO2 vengono immagazzinate negli oceani. In conseguenza, mentre negli strati superficiali la concentrazione della CO2 è in equilibrio con quella atmosferica, in profondità si registrano livelli che sono 50 volte più alti di quelli atmosferici. Processi di risalita della acque di fondo, così come una ridotta attività della pompa biologica, possono incrementare la concentrazione di CO2 in aria.
Tali processi sono ancora in gran parte da approfondire, anche perché il prevalere dell'azione di assorbimento rispetto a quella di emissione, o viceversa, dipende in larga misura dalle caratteristiche dei bacini e dalle proprietà chimico-fisiche delle acque. Il CNR da oltre 10 anni studia il ruolo della DOM nel Mediterraneo attraverso campagne di misura ad hoc, evidenziando come le strutture fisiche e le variazioni della circolazione termoalina (la circolazione causata dalla variazione di densità delle masse d'acqua) siano determinanti nel regolare i processi di emissione ed assorbimento della CO2. In particolare, la concentrazione di Carbonio Organico Disciolto è più elevata che negli oceani a causa della maggiore rapidità con cui si formano le acque di fondo e questo implica un maggiore assorbimento della CO2.

Aerosol: una medaglia a due facce

Fra le maggiori incertezze rilevate anche nell'ultimo rapporto IPCC, particolare importanza va attribuita al ruolo degli aerosol (anche detti particolato atmosferico o polveri) sul bilancio radiativo (rapporto fra radiazione solare e emissione terrestre). Gli aerosol, infatti, influenzano il clima in modo diretto, riflettendo la radiazione solare verso lo spazio, ed in modo indiretto, modificando le proprietà e la distribuzione delle nubi. Ambedue questi effetti causano un raffreddamento del clima della Terra. E' ormai assodato che gli aerosol atmosferici prodotti dall'uomo hanno prodotto negli ultimi 100-150 anni un effetto netto di contrasto del riscaldamento prodotto dalla CO2 e dagli altri gas serra. Occorre notare anche che gli stessi processi (ad esempio l'uso di combustibili fossili o la combustione di biomasse) responsabili dell'immissione in atmosfera di gas serra, CO2 in primo luogo, causano anche la generazione di inquinanti gassosi e particolati (aerosol).
In questo senso, le problematiche del clima e della qualità dell'aria vanno quindi considerate come due facce della stessa medaglia. Basti considerare i noti effetti deleteri degli aerosol atmosferici sulla salute umana. L'esposizione agli aerosol inquinanti riduce l'aspettativa di vita media individuale di circa 8 mesi nei paesi EU-25 e per questo motivo i governi hanno introdotto o stanno introducendo a livello mondiale misure di limitazione della loro concentrazione in aria, che nella maggior parte dei paesi industrializzati e persino in alcuni paesi in via di sviluppo si va ormai abbassando, con un andamento che continuerà sempre più nel futuro. Tale diminuzione dei livelli di concentrazione è anche favorita dal breve tempo di vita degli aerosol, per cui limitandone le sorgenti la loro concentrazione è destinata a calare nello spazio di giorni. Al contrario, i gas serra hanno tempi di permanenza in atmosfera dell'ordine dei decenni o, in alcuni casi, di secoli, per cui limititandone le sorgenti la loro concentrazione diminuirà solo molto lentamente.
Conseguenza di tutto questo è che la parziale "protezione" che le emissioni antropiche di aerosol hanno fornito nell'ultimo secolo rispetto al riscaldamento prodotto dai gas serra andrà via via scemando, rendendo molto più urgenti le misure di riduzione dei gas serra.

Le "nubi brune", minaccia che arriva dall'Asia

I cambiamenti climatici sono un fenomeno tipicamente globale e questo determina un forte interesse per le perturbazioni introdotte dal rapido sviluppo economico di paesi in via di sviluppo, Cina e India in particolare, sul clima globale e quindi anche dell'Europa e dell'Italia. Il CNR è attivo nella ricerca sui cambiamenti climatici in queste aree, in particolare, attraverso Ev-K2-CNR. Quest'unità di ricerca partecipa al progetto ABC (Atmospheric Brown Cloud) attivato dall'UNEP, l'Agenzia delle Nazioni Unite sull'Ambiente, al fine di studiare l'effetto sul clima delle "nubi brune" che si formano su vaste zone inquinate del globo, in particolare dell'Asia.
La componente principale di queste nubi è rappresentata da minuscole particelle carboniose prodotte dai processi di combustione industriale in impianti con misure di controllo inadeguate, ma anche, forse in modo preponderante, dalla combustione di centinaia di milioni di fuochi domestici che bruciano in modo incontrollato ed inefficiente combustibili di cattiva qualità nelle aree più disagiate del pianeta. Queste particelle assorbono la radiazione solare e scaldano l'atmosfera, andando quindi ad aumentare l'effetto prodotto dai gas serra. Si stima che le nubi brune possano contribuire dal 15 al 30% del global warming.
L'unità di ricerca Ev-K2-CNR ha attivato nell'ambito del progetto ABC una stazione di misura nel Laboratorio Piramide in Himalaya, a 5050 m di quota. Tra gli importanti effetti delle "nubi brune" c'è infatti lo scioglimento dei ghiacciai himalayani, causato dall'aumento della temperatura e dalla deposizione delle particelle carboniose sulle superfici nevose, che assorbendo la radiazione solare ne favoriscono lo scioglimento.
La riduzione dell'estensione dei ghiacciai himalayani ed il cambiamento dei regimi del monsone asiatico avranno un grosso impatto sui sette maggiori fiumi dell'Asia che nascono nella catena himalayana (Gange, Indo, Brahmaputra, Salween, Mekong, Yangtze e Fiume Giallo), influenzando in modo rilevante la vita di miliardi di persone.

Vapor d'acqua, il primo gas serra

Anche se si parla quasi esclusivamente dell'effetto serra dovuto all'anidride carbonica (CO2), il principale responsabile dell'effetto serra dell'atmosfera è il vapore acqueo. L'importante differenza fra questi due gas è però che il vapore acqueo ha scambi rapidi con i suoi immensi serbatoi distribuiti sulla superficie terreste (oceani, ghiacciai e vegetazione) e che la sua concentrazione in atmosfera non può essere alterata in modo significativo dai processi antropici di produzione di vapore. Nel caso della CO2, invece, gli scambi con i serbatoi sono molto lenti e la concentrazione atmosferica naturale è bassa, così che l'accumulo in atmosfera dovuto alla produzione antropica diventa significativo. Pertanto, la produzione di vapore acqueo non altera l'equilibrio radiativo del sistema Terra e non può influenzare il clima, mentre la produzione di CO2 introduce una perturbazione ed è vista con preoccupazione in quanto effetto "forzante".
Il ruolo secondario della CO2 come gas serra è spesso utilizzato per minimizzare il problema dell'uso dei combustibili fossili, pertanto bisogna chiarire che l'importanza della CO2 è relativa al valore della sua forzante e non al rapporto con l'effetto serra relativo al vapore acqueo. Il ruolo dominante del vapore acqueo come gas serra è invece importante in quanto parte di un meccanismo di retroazione (feedback). Infatti la sua concentrazione in atmosfera è controllata dalla dinamica atmosferica e può essere alterata da variazioni climatiche, generando un cambiamento del suo effetto serra e un'ulteriore perturbazione del clima. Se la retroazione è negativa (cioè se un aumento della forzante della CO2 porta, attraverso i cambiamenti climatici, ad una diminuzione dell'effetto serra dovuto al vapore acqueo) abbiamo una riduzione degli effetti, se la retroazione è positiva (cioè un aumento della forzante della CO2 porta ad un aumento dell'effetto serra dovuto al vapore acqueo) la perturbazione introdotta dalla forzante è destinata ad avere effetti crescenti nel tempo con una variazione irreversibile del clima.
Un aumento della temperatura dell'atmosfera implica che può essere contenuta nell'aria una maggior quantità di vapore acqueo, e questo suggerirebbe l'esistenza di una retroazione positiva. Tuttavia, maggiori concentrazioni di vapore comportano anche una maggiore formazione di nubi, che causano un aumento della parte riflessa dell'energia solare in ingresso (albedo terrestre) ed un raffreddamento. La determinazione del segno della retroazione dell'acqua è insomma estremamente complessa ed è ancora oggetto di dibattito scientifico: molti parametri devono essere meglio quantificati, anche tenendo conto della loro variabilità geografica e stagionale. In particolare, mancano osservazioni adeguate per la caratterizzazione dell'effetto serra nella regione spettrale del lontano infrarosso, dove si verifica circa la metà dell'effetto serra dovuto al vapore acqueo, a causa di difficoltà nella strumentazione comunemente utilizzata, che necessita di sistemi di raffreddamento criogenici a bassissima temperatura non utilizzabili nel caso di misure fatte con strumenti montati su satellite.
Il CNR ha affrontato con successo anche questa difficile sfida tecnologica, aggirando il problema con la costruzione di uno strumento in cui sono ottimizzati sia il metodo di misura che l'efficienza strumentale, rendendo idoneo alla misura anche uno strumento non raffreddato. Questo nuovo strumento, chiamato REFIR e realizzato in tutte le sue parti presso l'Ente, unisce semplicità di concezione e operabilità.
Una prima misura è stata effettuata portando REFIR ad una quota di 35 km - praticamente fuori dall'atmosfera che causa l'effetto serra - con un pallone stratosferico. Il volo è avvenuto in una zona tropicale, partendo dalla base di Teresina in Brasile. Lo strumento, guardando verso il nadir, osserva l'intero spettro dell'emissione della Terra verso lo spazio, che a seconda delle frequenze spettrali coincide con l'emissione della superficie terrestre o con l'emissione della superficie attenuata dall'assorbimento dei gas serra, con una risoluzione spettrale che include anche il lontano infrarosso. Dalle righe presenti nello spettro osservato è possibile riconoscere i gas che contribuiscono all'effetto serra e determinare la loro distribuzione in quota: si tratta della prima misura dell'effetto serra effettuata in modo così dettagliato e completo, che comprende anche la regione poco studiata del lontano infrarosso dove si manifesta la maggior parte dell'effetto serra dovuto al vapore acqueo. Un contributo fondamentale.


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