Franca Foffo, “E le stelle stanno a mangiare”...
mezzo secolo nel mito di “Mimmo alla Flavia”
“La ‘Taverna Flavia’, è stata la favola della mia vita fatta di tanti incontri che nel bene e nel male hanno lasciato un segno: serate divertenti e anche malinconiche, un duro lavoro, amicizie vere nate davanti ad un piatto di pasta e amicizie che si sono infrante, magari davanti a un gelato. Se da bambino mi avessero detto che un giorno avrei incontrato tanti personaggi che hanno fatto la storia del cinema, dello spettacolo e soprattutto di quel meraviglioso e unico periodo che tutti chiamano la Dolce Vita...” Mimmo dice che non ci avrebbe mai creduto. Chi parla è Mimmo Cavicchia, l ‘Avvocato’ per antonomasia, il celebre ‘oste’ romano che da oltre cinquant’anni, partendo con tanta fatica dalla facoltà di giurisprudenza, ha portato la sua Taverna Flavia ad essere una grande, unica celebrità nel mondo. Un vero e proprio tempio della ristorazione per lo star system da tutti i continenti. Mimmo è sempre lì all’ingresso, cravatta e abito scuro, ad accogliere prima gli amici storici e poi i vip. Per quelli che gli sono più vicini, li accompagna personalmente a un tavolo sempre ‘prenotato’, destreggiandoli in una preziosa galleria di foto con attori che portano la memoria ai fasti vellutati delle pellicole in bianconero, del colore più raffinato, del fascino del teatro. Accanto a sé, ogni sera, due splendide ‘assistenti’, le nipotine Franca e Roberta, anch’esse proiettate fra Roma e Parigi nel mondo del cinema, dell’arte, nonché verso... le saporite fragranze della cucina romana. Ed è stata proprio Franca che, nonostante le riluttanze di zio Mimmo, lo ha convinto a narrare la sua storia di ‘rispettoso’ vivandiere che, con ben celata arguzia, tanti amori, dissapori, tante piccole lacrimucce o sordide gelosie ha saputo cogliere, piroettando con i suoi piatti fumanti da un tavolo all’altro. Districandosi cioè fra le centinaia di immagini di attricie attori, un vero e proprio museo contemporaneo in progress che arricchiscono le pareti della Taverna.. Primo fra tutti fra questi amori, il galoppante e tumultuoso intreccio fra la splendida “Liz”, la Cleopatra dagli occhi di smeraldo, e il rude Richard Burton che, dal set di Cinecittà, si confondevano a sera nei complici piatti della Flavia. E proprio la nipote Franca, con la sua sensibile penna, ha saputo delicatamente trasferire queste storie in un piccolo, prezioso e illustratissimo libro che sta rapidamente diventando un cult di quel tempio sacro alla storia del cinema che è la Taverna Flavia. Il titolo: “Le stelle stanno a mangiare . La Dolce vita continua”, Sovera Edizioni. “Tutto iniziò nell'estate del 1955... - racconta Mimmo - lavoravo in un ristorante di mio padre Berardino ma, tra una fetta e l'altra del prosciutto che mi obbligava sempre a tyagliare, la noia mi assaliva... Da buon pesciolino (sono del marzo del ‘36) decisi di darmi alla fuga con la mia nuova automobile, in compagnia di una splendida doppiatrice di cui ero pazzamente innamorato. Certo Roma, la città eterna, mi fu galeotta: il tramonto all'ombra del Colosseo e il vento ponentino mi avevano giocato a favore mi persi nella nottata... La delicata prosa di Franca Foffo si sofferma poi sull’ira di papà Berardino che decise di inventarsi una ‘punizione esemplare’ per l’impenitente rampollo: e cioè un lavoro stabile e definitivo in un altro suo ristorante chiamato appunto Taverna Flavia. Per l’intraprendente giovane fu un duro colpo e dovette rinunciare a scorribande notturne, piccoli amori, al tennis, ai viaggi. “Studiavo ancora alla Sapienza, ma forse questa punizione quasi quasi mi divertì. Il mio intuito mi stava lentamente suggerendo una nuova strada. Per prima cosa mi guardai allo specchio. Certo non ero bellissimo, ma piacevo. Abiti giusti, cravatte giuste e soprattutto scarpe giuste. Il piglio di un uomo, diceva mio padre, si riconosce dalle scarpe”. Mimmo decise così di assumere il ruolo di cerimoniere della sua Taverna e vi si tuffò dentro, per imparare al meglio, proprio sul campo. Formidabile il suo nuovo impegno, per carpire quanti più segreti possibile. Con grande intuizione, fece della Taverna (ancora governata da papà Berardino) un salotto parallelo a Via Veneto, una specie di vetrina di quello star system che aveva reso Roma, con Cinecittà, una nuova Hollywood. Ma non nella patria del cinema, in California, bensì proprio sul Tevere. Erano gli anni della “dolce vita”, spensierati e sprecona, con tanta voglia di vivere al limite della tra-sgressione e della futilità. Sempre alla ricerca di eventi spettacolari, magari seguiti da successi strepitosi. Negli anni Sessanta Ennio Flaiano e Federico Fellini, con Anita Ekberg e Marcello Mastroianni, entrarono di prepotenza nella sale cinematografiche con il celebre film “La Dolce Vita”. Una storia d’amore nella fantastica via Veneto, animata dai celebri fotoreporter romani il cui nomignolo felliniano non poco velatamente spregiativo (paparazzi), fu da loro sempre rigettato. Dopo una primissima uscita contestata a Milano da una critica bigotta, il film ebbe subito uno strabiliante lancio nel gossip mondiale e con esso gli autori fecero di quel mondo una lucida e impietosa analisi, una spietata critica radicale della società del tempo. Di quei celebri anni Mimmo ne è stato - e lo è tuttora - uno dei magici poli d’attrazione: tutti sgomitavano nell’avida ricerca dell’esserci dentro, nel delirio di essere presenti nella mitica Taverna che non era davvero dotata di saloni scintillanti, ma ricca ‘solo’ di tutti quegli anfratti, quegli intimi cunicoli costellati sì da foto di vita del cinema, ma anche vissuti dei suoi artisti ‘dal vero’. Sempre discretamente placcati da guardie del corpo, segretarie, press agent e, appunto, dagli intraprendenti fotoreporter romani. Protagonista, non semplice osservatore, dunque, Mimmo ha di quegli anni un ricordo partecipato, avvincente. Anche se quel mondo è forse oggi cambiato, la sua Flavia continua a essere affollata dai vip dello spettacolo e dello sport, della cultura, o dal must del giornalismo italiano e straniero. “... tra i miei primi clienti illustri,- racconta Mimmo - in una saletta riservat avevo, la magica Audrey Hepburn che stava girando “Vacanze romane” con Gregory Peck e veniva da noi sempre in compagnia del marito Mel Ferrer. Per lei, una mise en place perfetta. Ovviamente con la complicità del mio nobile maestro il Duca Marcello Caracciolo di Laurino che, per l'occasione, aveva rispolverato piatti, posate, bicchieri e tovaglie dell'Ottocento con lo stemma della sua nobile famiglia”. Fu così che nacque, per la diva della “Colazione da Tiffany”, una nuova ‘Vacanza romana’, con l’immancabile ‘Colazione alla Flavia’. Difficile ricordare tutti gli attori e i vip che vissero la Taverna nei decenni che seguirono. Nobili e regnanti, da re Gustavo di Svezia ai reali di Grecia, dai sovrani di Monaco, Ranieri e Grace, o a principi come Baldovino del Belgio e Paola Ruffo. Non era raro che Mimmo, per averli come ospiti, ricorresse pure a sottili stratagemmi per carpirne l’attenzione. Una grossa preparazione la orchestrò per avere a cena Soraya, “la principessa triste, dagli occhi di giada, colmi di malinconia”; in altra occasione ebbe Nixon, vicepresidente degli Stati Uniti. Non di rado arrivavano da lui anche personaggi che riteneva perfetti ‘sconosciuti’, ma che in realtà erano attori di profilo quali Peter O' Toole e Dustin Hoffman. I suoi interessi di allora (ma anche ora) andavano sempre verso le 'sue' donne, le attrici di cui percepiva il fascino tratteggiando in loro il piacere di essere ammirate, fotografate, corteggiate. Nonostante i decenni trascorsi, ancor oggi la Flavia è sempre prodiga per gli avventori di nobili tracce e memorie come, per esempio, cenni di ritratti a penna, o autografi su qualche menù, o magari in una ciocca di capelli (quelli di Abbe Lane); Fra i mille e mille protagonisti nei ricordi di Mimmo, alta si leva però la fulgida immagine (forse si potrebbe anche dire ‘faraonica’ se si fosse trattato di un uomo), di Cleopatra, la splendida e austera Regina d’Egitto che gli sarà sempre amica fedele con il fascino dei suoi occhi color smeraldo: Elizabeth Taylor. La ‘Liz’ di cui l’oste Mimmo porta ancora nel cuore i gusti più raffinati, le intime passioni, i suoi prorompenti amori. Erano gli anni in cui - complice il set - Liz abbandonava Eddy Fisher, il marito, prima per inseguire Richard Burton e poi anche per stravolgersi in altre passioni. Sempre lambita, però, dal discreto e forse anche vagamente ‘geloso’ sguardo protettivo dell’amico Mimmo. Ma assieme a Mimmo, sullo sfondo c’è sempre un’altra protagonista, fondamentale, in ogni vicenda, ed è proprio la sua città, Roma. La Roma di quegli anni non era degradata e corrotta, ma era quella delle spensierate Vacanze romane e di tanti altri film che della sua maestà avevano fatto il loro scenario. Una Roma bonaria, sorniona, distaccata, che avendo vissuto nascita e morte di tanti imperatori e papi, di principi di ogni lignaggio, non si stupiva mai di nulla. Mimmo l'attraversava spesso, a piedi, ora solo per scaricare i nervi, ora in compagnia di belle e compiacenti ragazze, secondo i suoi più intimi itinerari, da Piazza di Spagna, a Via dei Condotti,a Piazza del Popolo, ai Fori con il Colosseo. E anche Trastevere, che era a quei tempi ancora accogliente e vivibile. Una volta Mimmo vi trascorse un'intera notte, sconcertato e stupito, in compagnia di una bella fanciulla americana, una “misteriosa mantide” la definì poi, che distribuiva pacchetti di dollari nella frenesia di diventare povera; lasciò a Mimmo un recapito, quasi in codice, ma poi sparì del tutto. Molto tempo dopo, l’oste seppe che era una giovane rampolla della famiglia dei Ford. Così il discorso ritorna sempre a Mimmo, un'istituzione, un amico, un oste che tutto il mondo del cinema si fa obbligo di frequentare: attento, discreto, ora amichevolmente affettuoso, ora impeccabile ospite, che ama il linguaggio dei fiori, protagonisti anch'essi di quell'avventura che è stata, e ancora è, la vita di Mimmo. Una sera, finalmente, il grande evento. Annunciata dalla soffiata di un press agent, la mitica Liz sarebbe venuta a cena! Per Mimo un attimo di sgomento, quasi un malore ma non voleva impressionarla: “non sono un un rubacuori, uno sciupa femmine di sicuro no! Ma che farò? come potrò attrarre la sua attenzione? Come ne uscirò? Non mi resta altro che fingere un malore per l’emozione, per poi svenire. Ebbene sì! Crollare ai piedi della diva e poi, che Dio ce la mandi buona”... Liz arrivava annunciata da un chiassoso vociare di fotoreporter stipati negli scalini d’ingresso alla Flavia... Detto, anzi pensato, e fatto! “Svengo a comando e sono a terra; percepisco le voci concitate dei miei amici fotreporter , Marcello Geppetti, Marcellino Radogna, Umberto Pizzi, Rino Barillari, Giacomo Alexis, Ivan Kroscenko, Paoletto Pavi..., sono lì, li riconosco tutti. Liz mi vede a terra, si avvicina, si china accanto a me, è preoccupata, mi dà dei colpetti sulle guance per farmi riprendere. Apro gli occhi e lei: ‘Mimmo, nice to meet you, I am Elizabeth Taylor!” “All’istante, sono magicamente ritto in piedi. La vedo stupita: le porgo il braccio destro, accompagnandola al tavolo. Mio padre mi osserva emozionato. La seguono Kirk Douglas, Charles Bronson e Vincente Minnelli; Liz aveva girato con lui ‘II padre della sposa’ al fianco di Spencer Tracy. Che cosa vorrà gustare la diva? Semplice. Fettuccine con i piselli. Mi cade però l'occhio sul suo collo. Ma che cicatrice! Un piccolo intervento che aveva subito a Londra pochi mesi prima (ero informatissimo!) aveva lasciato il segno. Panico. Fettuccine? Ma come farà a mangiarle? Senza pensarci un attimo mi precipito in cucina e ordino piccoli "cappelletti" con piselli. Li avrebbe assaporati con più facilità, pensai. Arrivai con il piatto fumante. Liz fa finta di niente, ma i suoi occhi viola lasciano trapelare disappunto, nervosismo. Ma se c'era uno nervoso qui, quello, dovevo essere io! Mi giustifico in un inglese maccheronico. Douglas mi lancia una smorfia furbetta e sorniona. Cerco conforto nello sguardo del mio maestro del ‘saper vivere’, ma lui mi fulminò con uno sgardo!. Un elegante ma preciso rimprovero. Avrei voluto morire, sprofondare in un abisso” . “Proprio lì iniziò la mia favola - svela Mimmo - proprio quando la conobbi nel '61 e cominciò a venire alla sera dal set di ‘Cleopatra’, uno dei più importanti kolossal che furono mai realizzati a Cinecittà”. Anche la splendida attrice rimase colpita dalla figura di questo giovane oste, magico per gentilezza e bravura. Trascinava dietro di sé artisti e fotografi e fece della Taverna Flavia il suo ritrovo preferito. Ne decretò il successo e la centralità nel mondo del cinema anni Sessanta. Erano gli anni in cui - complice il set di Cinecittà - Liz lasciava il marito, prima per innamorarsi di Richard Burton e poi per inseguire altre passioni, sotto il vigile (ma forse anche geloso) ‘occhio amico’ di Mimmo. Liz richiama poi a sè Burton che era visto dapprima con sospetto da Mimmo, ma poi, nella crisi dei suoi rapporti con la Taylor, lo aiutò amorevolmente, fino a diventarne amico. Ricordi che fanno di Mimmo un personaggio particolare: generoso e timido, appassionato e prepotente, mosso dal virus della pubblicità» (ogni mattina legge tutti i giornali per vedere se parlano di lui). Spesso, però, si riconosce lui stesso, come si dice in romano, ‘fuori di zucca’. Senza però allontanarsi mai dal rigore della cucina e del servizio. Sistema sempre personalmente gli ospiti a tavola, vicini o lontani secondo i loro reciproci rapporti passati o presenti, evitando che antichi mariti si potessero incrociare con qualche ‘amica’, abbandonata o immersa in nuovi amori. Distribuisce cioè con occhiuta oculatezza posti a tavola, disponendoli secondo il vario comporsi o ricomporsi delle coppie. Per la sua generosità e correttezza fa molta attenzione a rimane inoltre ben lontano da quel mondo di affari che gravita intorno ai divi e non di rado si diverte a offrire un pranzo o a strappare un assegno di pagamento. Contento solo di aver vicino cotanti personaggi. Lo appaga la variopinta umanità che affolla le sue salette, la diversità dei caratteri, la volubilità degli umori e dei rapporti sentimentali che ora favorisce, ora cerca di deviare: “amori che sbocciano o si appassiscono - racconta - litigate furiose, amanti vere, presunte, nascoste o svelate al mondo, sorrisi falsi, abbracci affettuosi, baci d'amore e baci d'addio. Ed io spettatore di questa fauna variopinta, complice di quel mondo colorato... Per me questo è il massimo della vita. È divertente. Sembra di vivere un film mai girato”. Di quel film mai girato, Mimmo è stato protagonista e un po’ anche regista. E come un grande cameraman, crea inquadrature che svelano anche qualche dote di vero fotografo: intelligenza, occhio, cuore. Quando ha bisogno di consigli o di qualche consolazione trova sempre pronta ad aiutarlo una sua antica amica, grande protagonista del cinema muto, Francesca Bertini. Sempre grande tenerezza nei loro incontri nei quali si svela la più recondita anima di Mimmo, una sensibilità quasi disarmante. Altra protagonista di questa vicenda, sempre sullo sfondo della Dolce Vita e ancora in quella sua città che ama e adora e dove si sente amorevolmente accolto in seno, un nuovo e altrettanto importante incontro. Proprio in quel caldo e languido seno romano, infatti, ecco un’altra grande protagonista della Roma felliniana: è Veruschka, la splendida icona del fascino e della bellezza, personaggio chiave della fotografia e dell'arte. La super modella al tempo più famosa nel mondo. “Il suo incedere era sempre regale - ricorda Mimmo - e non voleva davvero nascondere le sue nobili origini. Il suo nome, Veruschka, un vezzeggiativo in russo della baronessa Vera von Lehndorff-Steinort, figlia del conte Heinrich, un ufficiale della riserva divenuto uomo chiave della resistenza tedesca antinazista e fucilato con l'accusa di aver preso parte al complotto del 20 luglio 1944 per uccidere Adolf Hitler. Al suo ingesso alla Flavia Veruschka emanava un'aurea di seduzione, una sorta di magico sortilegio. Un solo sguardo e pareva di essere portati fuori dalla retta strada e quale uomo non si sarebbe sentito di inginocchiarsi ai suoi piedi?” “Una vera gioia di vita per fotografi, artisti, stilisti e tutti la desideravano - spiega Mimmo - e la sua calda e roca voce assomigliava a quella di Marlene Dietrich” Un corpo denso di armonie che altro non è che un tabernacolo dell'arte. “Schiva e riservata - prosegue Minella sua entusiastica descrizione - mentre mangia di tanto in tanto, sposta dal bellissimo viso una ciocca dei suoi lunghi capelli biondi. Le mani sono affusolate, le gambe magre. lunghe e interminabili, gli occhi di un azzurro intenso. Sa bene di essere osservata da sguardi languidi e indiscreti al tempo stesso. Le piace essere desiderata, ogni forma di arte è per lei un fatto prima di tutto erotico. È la figlia di Amore e Psiche, Volupta, la personificazione del puro piacere sensuale”. Con “Blow Up” Michelangelo Antonioni la consacrò al grande pubblico, copertine di Vogue e dei più famosi rotocalchi del mondo. “Le sue avventure sentimentali, i suoi amori veri o presunti facevano letteralmente impazzire i giornalisti. Noi leggevamo. E sognavamo”. Era l'epoca dei Beatles, delle contestazioni, delle minigonne, della libertà sessuale. Un'epoca in cui il fervido desiderio di ribellione portava a rompere tutti gli schemi, tutti i tabù. Eppure Veruschka non era solo corpo. “Irradiava bellezza fisica e mentale - sottolinea Mimmo - e non le importava niente di ciò che era effimero. I suoi occhi aperti e sognanti sembravano darle grande sollievo mentale e un piacere intimo. Dal suo sguardo trapelava una profonda ricerca all'interno di se stessa, una forte introspezione. Il desiderio di trovare l'essenza vera delle cose. L'analisi dei sentimenti, dei desideri, di ciò che pensa, del senso dell'identità. E le altre donne lo sanno”. “È piena estate. L'aria è molto calda. All'imbrunire Zefiro, il vento di Ponente, inizia a soffiare. La baronessa ama il buon cibo. Gusta l'insalata che creai proprio per lei, la famosa "Insalata Veruschka", a base di lattughella, sedano, ovoli, tartufo bianco e scaglie di gruyére. Un must della Flavia! Talmente must o cult, un’insalata che è stata spesso riproposta con lo stesso nome anche da altri ristoratori romani. E per di più, "volata", ancora grazie al suo celebre nome, pure oltreoceano”.
FOTO di MARINETTA SAGLIO: Franca Foffo, l'autrice di "Le stelle stanno a mangiare", assieme allo zio Mimmo Cavicchia
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