Sensazioni ed emozioni in una giornata
per l’elisoccorso sul mare alla ricerca
di naufraghi o dispersi
Questo è l’intrigante titolo di un cartellone che pubblicizzava uno spettacolo teatrale e che è stato usato dalla scrittrice Francesca Balli in un servizio per “Mondo sommerso” , corredato dalle foto di Andrea Neri, sull’Elisoccorso al C.O.D.A.M di Marina di Massa. Pubblichiamo un estratto di quell’articolo in quanto, come rileva l’autrice stessa, la sua penna ha spesso preso le distanze dal rigore della cronaca giornalistica per suscitare invece il fascino delle intense e intime emozioni che i Volontari del Soccorso e gli specialisti del Reparto Volo della Guardia di Finanza sono chiamati ad affrontare ogni qual volta lambiscono la superficie del mare alla ricerca di naufraghi o comunque persone in difficoltà “Prima che quelle parole del manifesto stradale acquisissero un significato particolare ero già oltre, ma dopo qualche passo sono dovuta tornare indietro, mi sono soffermata davanti a quella frase e ci ho riflettuto a lungo, i giorni successivi. Quante volte ho avuto paura, e non ho colto occasioni che mi si presentavano e se ne andavano, forse per non tornare più. Poi, per quello strano destino spesso avverso, questa volta estremamente generoso, è accaduto di accorgermi di essere nel posto giusto al momento giusto. E allora quelle parole mi sono risuonate dentro: passava il treno da non perdere (...). La scrittrice racconta quindi la sua esperienza nel Centro di Formazione di Marina di Massa dove ha vissuto un qualche cosa che, afferma, va dunque raccontata per necessità, prima ancora che per piacere. “II presente è un corso di formazione per diventare aerosoccorritori in mare - prosegue Francesca Balli - un lavoro estenuante, fatto di mesi di preparazione fisica e psicologica per consentire ai volontari CRI di coadiuvare la GdF nelle operazioni di recupero e primo soccorso di naufraghi, a mezzo di elicotteri dedicati. Abituati come siamo agli effetti speciali, perché invasi dai media, sembra quasi normale. Invece, quando si comprende come funziona, non lo è. Al contrario. Dietro uno scarno titolo del telegiornale, magari in coda dopo la descrizione penosa di un pauroso fatto di cronaca, c'è un mondo intero, che dal particolare del singolo individuo fatto di duro allenamento, determinazione, passione, si estende alla squadra dove diventa impegno per la creazione di un'intesa, di un affiatamento assoluto e sorprendente, fino ad arrivare, allargando ancor più lo sguardo, alla collaborazione fra le diverse realtà militari e civili. Perché lo scopo è uno solo, comune: mettere a servizio delle persone strumenti di soccorso eccellenti, capaci di intervenire nelle circostanze più ostili, e risolverle. Qui la realtà supera l'immaginazione. E allora accade che un gruppo di ragazzi che un attimo prima appaiono diversi da noi solo per il fatto di indossare una divisa, cambiano costume e diventano eroi di sogni che sognavamo da piccoli, e a volte tuttora. Perché di fronte alle tante, troppe piccinerie, alle miserie umane che ogni giorno ci affliggono, vociate dai media nei nostri orecchi, scaraventate nel nostro campo visivo a toglierci il respiro e la capacità di credere che qualcosa mai possa cambiare in meglio, di fronte a tutto ciò, ecco non si può non desiderare qualcos'altro, più alto, grande, umano. Perché questo c'è davvero, anche se non se ne parla” (...) “La giornata in caserma è scandita da ritmi definiti, le attività si susseguono organizzate in un quadro preciso, senza tempi morti. Arrivo in punta di piedi, come un estraneo ammesso a condividere un rito familiare, ma è un'impressione volatile che svapora dopo i saluti, alle prime pacche sulle spalle. Siamo in caserma e si respira un'aria indubbiamente diversa da quella che c'è fuori, ma non fino al punto di cancellare, tutt'altro, il calore di un sorriso accogliente. La necessità di seguire il programma studiato non ci preclude la premura di una colazione in allegria. È ancora presto, l'aria è fresca e tutti abbiamo lo stesso desiderio di concederci il profumo e il tepore di un buon caffè. Subito dopo però, si comincia a lavorare e il primo gesto vero che da il via a questa giornata è, giustamente, l'alzabandiera. Rotte le righe si prepara l'attrezzatura, ci si veste e si parte per il mare” (...) “Per tutta questa settimana poi, nei giorni precedenti a questo, gli istruttori romani della GdF ospiti della caserma di Massa hanno seguito direttamente i volontari, con impegnativi programmi di addestramento che per gli allievi hanno preso forma solo nel momento in cui sono stati via via chiamati ad attuarli e volti a creare situazioni di forte impatto fisico e psicologico per valutare le capacità di reazione dei futuri soccorritori. L'obiettivo è infatti quello di formare personale altamente qualificato e specializzato, da organizzare in squadre capaci di intervenire in contesti ambientali estremi, assicurando agli infortunati non solo il recupero ma anche l'assistenza sanitaria nel trasporto”. “Un soccorritore non sa mai cosa lo aspetta finché non vi si trova davanti. La differenza è che i soccorritori ne sono perfettamente coscienti, senza che questa consapevolezza li inibisca in alcun modo, anzi. Proprio di ciò hanno fatto il loro punto di forza, imparando a porsi di fronte agli eventi con quella lucidità che consente di individuare le diverse possibili alternative di reazione e porle in essere, e mentre io mi immagino nelle stesse circostanze attonita non credere ai miei occhi, domandarmi il perché, lasciarmi bloccare dalla paura, loro hanno già individuato la migliore decisione da prendere e l'hanno attuata. Perciò, il solo guardarli e sapere che ci sono è un sollievo e un motivo di orgoglio. La prima fase dell'esercitazione consiste in un recupero con aeromobile, a mezzo verricello. È una bella giornata, il mare è calmo. Siamo a circa 2 miglia dalla costa, e i ragazzi nell'acqua potrebbero essere un allegro gruppo di subacquei che si prepara ad un'immersione. Nell'aria nessuna tensione, solo un buon profumo di iodio. Poi si comincia a sentire il ronzio dell'elicottero che si avvicina e i visi si voltano, tutti a quel punto con la medesima espressione concentrata. Sono stupita da questo oggetto che volteggia sopra di noi, vira e si abbassa fino a fermarsi in equilibrio sui sub da recuperare, con una facilità che per una macchina, e una macchina così ingombrante, sembra impossibile. Eppure avviene proprio lì davanti a me e non riesco a distogliere lo sguardo tanto ne sono affascinata. Mentre mi incanto davanti a quello spettacolo, gli elicotteristi aprono il portellone, calano il verricello. Quando il primo sub comincia a salire fino a entrare nel mio campo visivo, appeso a un filo d'acciaio in mezzo al blu l’emozione mi toglie il respiro. È un film! Mi riprendo e mi guardo intorno: sotto all'elicottero non è più la bella, quieta giornata di prima. La forza del vento agita il mare e scuote le persone disperdendole, l'acqua schiaffeggia il viso, punge gli occhi. Nel raggio di azione dell'elicottero è improvvisamente cambiato lo scenario: bisogna rimanere a galla, nuotare controcorrente, capire dove siamo e dove andare tra un'onda che schiaccia giù e l'altra che solleva nelle nebbie dell'acqua polverizzata dal vento, e respirare... Se non si indossa la maschera è un problema, e un naufrago, di solito, non ce l'ha. Visto dall'esterno è irreale, quasi ridicolo: un cerchio che è un girone infernale, e appena più in là, pochi metri oltre, arcobaleni e pace. Eppure, anche nel girone, fra tante sensazioni non c'è posto per il panico. La seria preparazione dei soccorritori permette loro di mantenere la calma necessaria per dominare la situazione e per operare al meglio. Non ci sono scatti, dispendi inutili, anzi pericolosi, di energie. I movimenti sono misurati, attenti, calibrati. Vorrei dire spontanei, e quasi non oso tanto mi sembra impossibile, eppure è proprio questa l'impressione che si prova. Di naturalezza e determinazione insieme, di precisione assoluta. Il caso ha già fatto la sua parte creando il pericolo: dopo non può avere più spazio. E nessuno, qui, intende lasciargliene... In un gruppo di soccorritori ognuno ha il suo compito e fa la sua parte, ogni singolo gesto, sopra e dentro il mare, si incastra negli altri perché il meccanismo funzioni. E una volta messo in moto funziona come un orologio, in automatico. In poco tempo diversi sub sono recuperati. Poi l'elicottero si deve muovere. Con gli occhi degli altri. L'elicottero, per fare quella che a me è sembrata una semplice evoluzione, ha bisogno di una perizia e di un coordinamento inimmaginabile. Anche qui, Mondo Sommerso a parte, il personale a terra, almeno tre persone, si dedicano, a calcolare tempi, pesi, carburante, ognuna legata all'altra quasi membra dello stesso corpo: mani, occhi, orecchi destinati a compiere un unico gesto perfetto. In un contatto continuo via radio, passa uno strano codice che si traduce per il pilota nel vedere dove non può attraverso lo sguardo dello specialista, e nel portare e mantenere l'elicottero laddove il verricellista possa operare. Trovo in questa collaborazione, nella necessità di creare intesa e sintonia assolute, un fascino infinito. Dopo una sosta a qualche metro dalla superficie per il recupero di alcuni sub, mi incanto a seguire con lo sguardo l'elicottero allontanarsi e navigare qualche minuto, perché stare immobili sul mare troppo a lungo non è possibile, senza creare una pericolosa sofferenza al motore. Dunque l'elicottero lentamente riparte e compie un ampio giro a dipingere una cartolina, stagliato contro le vette candide delle Apuane. Il ronzio affievolito rinforza e mi riporta al volo che prosegue, disegnando una curva morbida per poi rientrare; adesso è una sagoma contro sole, scura, che si avvicina con frastuono assordante, sempre più grande e minacciosa... Potrebbe essere la scena di un attacco, un vero e proprio assalto, se dal portellone sopra di noi non vedessi un tranquillo equipaggio compiere con la massima padronanza le manovre che ho imparato a riconoscere”. Qui finisce il racconto del primo incontro al Centro. Il giorno successivo, prosegue la giornalista,“dopo una giornata come questa, è impossibile non desiderare salire sull'elicottero e capovolgere la prospettiva. Ma un pensiero così ho quasi timore ad esprimerlo a parole. Ieri sera tuttavia, in pochi minuti, la mia incredulità si è dovuta arrendere alla estrema disponibilità della GdF. Partecipare all'esercitazione dall'elicottero, completando con ciò la straordinaria esperienza del giorno precedente, seppure complicato, è possibile. Complicato lo dicono loro, in realtà capisco dopo che è molto complicato, e occorre l'impegno di diverse persone, colonnello, piloti, istruttori a calcolare tempi e modi. La giornata era già pianificata nei particolari e fare spazio ad altri, seppure solo tre, impone di rivedere tutto. A partire dal rispetto delle forme, alla gestione del carburante, per trovare un equilibrio che in elicottero non può che essere perfetto. Come qualcuno mi spiega affinché anch'io segua il discorso e comprenda le difficoltà da risolvere, i consumi dell'elicottero variano in base ad una serie di fattori molteplici: nella giornata di domani sono previsti recuperi doppi, che richiedono di partire leggeri. Ma partire leggeri non consente divagazioni. Comincio a rendermi conto di quanto sia complesso, quello che mi pareva un "semplice" passaggio... E già così mi riempiva di emozione. Passo da un viso all'altro, da una voce all'altra, dalla speranza alla disillusione. In pochi minuti vengono formulate varie ipotesi, fino ad individuare quella ottimale. Ancora una volta, mi sorprende la rapidità con cui si affronta la situazione inaspettata, la quantità di dettagli apparentemente marginali presi in esame per valutare l'opportunità di una soluzione piuttosto che di un'altra. L'esito positivo è un sollievo, una gioia grande, poi capisco che sul "se" dubitavo solo io, gli altri pensavano tutti, solo, a "come". Perché queste divise non sono così estranee e lontane come me le immaginavo, lassù su un piedistallo non si sa bene a che fare. Sono qui,a dare spiegazioni, a mostrare com'è organizzata la loro giornata intorno al servizio alla gente”. “La realtà comunque è che adesso sono qua in mezzo alla pista e l'elicottero è appena atterrato... E non stiamo salendo per un giro turistico, ma per quella che si rivela una spettacolare dimostrazione delle capacità operative di una squadra di elisoccorso in mare. Nei pochi minuti necessari per riaccendere il motore, il pilota mi prepara: imbracatura, jacket, cuffie. Quindi, briefing. Sull'elicottero è tutto ancorato, tasche chiuse, oggetti legati, con l'elica che gira e il portellone aperto non possiamo permetterci di far cadere qualcosa... Verrebbe risucchiato. Spostarsi non si può, a casaccio. In pochi minuti apprendo l'essenziale per non essere d'intralcio alle manovre e poi si parte. Guardo la terra sotto di noi, sennò nemmeno mi accorgerei che abbiamo iniziato a volare. È incredibile la disinvoltura con cui l'equipaggio manovra una macchina, che in questi giorni, via via che mi veniva mostrata, mi era apparsa quasi ingestibile per la sua estrema complessità e delicatezza. Mentre nelle cuffie scorrono in codice le istruzioni di volo, in uno scambio continuo che qualcuno, cogliendo il mio smarrimento traduce per me prima ancora che lo chieda, si conferma e si rafforza l'impressione che già avevo avuto dal mare: la professionalità di questi ragazzi, frutto della loro determinazione, di una preparazione accuratissima e fondata su una passione infinita, è ammirevole. C'è un mondo intero, che dal particolare del singolo individuo fatto di duro allenamento, determinazione, passione, si estende alla squadra dove diventa impegno per la creazione di un'intesa, di un affiatamento assoluto e sorprendente, fino ad arrivare, allargando ancor più lo sguardo, alla collaborazione fra le diverse realtà militari e civili. Perché lo scopo è uno solo, comune: mettere a servizio delle persone strumenti di soccorso eccellenti, capaci di intervenire nelle circostanze più ostili, e risolverle” (…). “Oggi rivivo lo spettacolo al rovescio. In un attimo siamo sul mare, l'elicottero si posiziona in equilibrio sui sub per i recuperi doppi, che significa due persone attaccate al verricello che penzolano nel vuoto, e piano piano sono tirate su fin dentro l'elicottero. Subito dopo di nuovo si buttano in mare, aspettando che tutti abbiano terminato, per poi tornare a riva a nuoto o con il gommone di appoggio. Potrà succedere un giorno che, dopo il recupero, qualcuno attenderà in acqua il ritorno di un aeromobile o di un'imbarcazione, mentre gli altri si occupano del trasporto degli infortunati. Un soccorritore è addestrato a sopravvivere in condizioni estreme; innanzitutto va messo in salvo il naufrago, e sul momento può non esserci tempo, o spazio, per tutti. Non posso fare a meno di affacciarmi dal portellone dimenticando come ci si muove all'interno dell'abitacolo ma mentre io non penso, altri pensano per me, senza farmelo pesare, e bilanciano la mia goffaggine con movimenti precisi, equilibrati. Il mare è lì sotto, tanto vicino che sembra di poterlo toccare allungando la mano; se non fosse che ci sono persone in acqua e che ogni tanto qualcuno mi tira indietro per lasciare che i sub recuperati entrino in cabina, potrei essere sulle giostre. Affacciata nel vuoto non respiro, tanto è forte il vento... o forse è troppo forte l'emozione. Gli occhi che incrocio sono sempre concentrati ma tranquilli, decisamente se non fossi stata qui non lo avrei potuto credere. Scendo dall'elicottero acceso facendo attenzione a seguire le istruzioni (sì, c'è un criterio anche nel muovere quei pochi passi per allontanarsi): la forza del vento mi spazza via come un soffio su un dente di leone” (...) “Il mio è uno sguardo colmo di ammirazione e gratitudine. Senza illudermi che sia sempre e per tutti in questo modo, con la firma Walt Disney; certo, fermo restando i limiti di ciascuno, e di qualcuno in modo particolare. Ma con la certezza che per tanti altri non è così. Che molti non si accontentano di essere professionali, preparati, "bravi": vogliono essere migliori. E non hanno paura. Del mare, del cielo, del pericolo, ma soprattutto di credere in qualcosa di più”. “Con una gentilezza e un garbo che la vita in caserma, l'attività pericolosa e logorante non hanno diminuito nemmeno un po'. Decisamente, sono andata troppo al cinema. Quando lo faccio notare, e sottolineo l'elasticità mentale, la disponibilità, la capacità di adattamento alle diverse circostanze e la rapidità di soluzione dell'imprevisto, un sorriso accompagna il commento disarmante, quasi stupito: "è normale, è il nostro lavoro...”
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