Selezione artificiosa e inutile che spesso screma - anche
cervelloticamente - aspiranti alle facoltà I test
non servono a favorire punte di eccellenza o a incentivare
il meglio e, non di rado, premiano la mediocrità
Le Facoltà di medicina e chirurgia, di odontoiatria, ma anche facoltà e corsi che immettono nelle professioni sanitarie – dalle caposala alle ostetriche, dagli infermieri ai tecnici - sono prese d’assalto alla vigilia di ogni nuovo anno accademico, quando gli aspiranti a queste lauree (ma anche altre, come architettura, e altre ancora, per un terzo di tutte le facoltà) debbono affrontare le prove di ammissione, rispondendo ai quiz. In queste facoltà – ma anche in tante altre – vige, come si sa, il cosiddetto “numero chiuso”. Per poterle frequentare bisogna superare i test presentati per l’appunto sotto forma di quiz, una formula prelevata da trasmissioni televisive a premi, che nel nostro Paese – come altrove - ha anche creato dei milionari, da “Lascia o Raddoppia” in poi. Oggi nulla si fa senza quiz. Alcuni sono astrusi, non pertinenti. Un premio, una lotteria, viene considerata questa prova che in tutte le sedi universitarie – da Milano a Roma, da Bologna a Catania – ha visto affluire migliaia di giovani usciti dalle scuole
Da che cosa muove questo corsa alla laurea in medicina o nelle altre affini e correlate? I dati statistici dicono che c‘è bisogno di medici (e ancor più di infermieri, ma questo è un problema avvertito già 15 anni fa, quando ministri della salute chiesero di aprire le porte agli extracomunitari o agli oriundi italiani residenti in America Latina o in Australia). Nei prossimi anni molti dottori in attività andranno in pensione, sia dagli elenchi della Medicina di base o di famiglia (cioè il nostro medico personale o di fiducia), sia – e ancor più – dai ruoli degli ospedali. Non è un problema che preoccupa i seguaci di Ippocrate. Lasciato un posto, se ne trova sempre un altro. Lasciata la sala operatoria nel pubblico, la si può trovare nel privato. Smesso l’esercizio sotto contratto, lo si esercita in proprio, assistendo e curando gli stessi affezionati pazienti, magari chiedendo un onorario mite o minimo versato a mani libere. In un’epoca nella quale la disoccupazione giovanile ha dimensioni e risvolti drammatici, specie tra i laureati in discipline umanistiche o nella super inflazionata “Scienze della Comunicazione”, i dati secondo cui nel nostro Paese c’è bisogno di medici costituiscono un messaggio che non poteva non trovare un immediato riscontro.
Fare il medico, prima o poi, rende anzitutto in prestigio (il medico non è il geometra,con tanto rispetto per ogni professionalità), ma anche in termini economici. Il corso degli studi è lungo e costoso (sei anni più 4 di specializzazione, oltre al doversi spesare, magari lontano dalla famiglia). Ecco perché i medici ambiscono ad alti guadagni, associano più incarichi. Lo status sociale impone che possano – e forse debbano - disporre di auto importanti, di residenze in città e fuori, di villa e barca. Ma molti vanno anche in motorino. Si può così assistere contemporaneamente alla ressa degli studenti che affrontano la prova dei quiz ma anche a liti di medici nelle astanterie degli ospedali, nelle sale-parto, o essere colpiti ogni giorno da notizie su interventi sbagliati, su morti incomprensibili. Con conseguenti azioni penali e pesanti risarcimenti, che inducono le strutture a stipulare polizze assicurative e molti medici a sottoscriverle personalmente, specie se si esercita la chirurgia estetica. Molti medici hanno addirittura paura di incorrere in interventi sbagliati e per questo rifuggono sia dalla chirurgia e anche dall’ostetricia e ginecologia. Spesso il medico ginecologo ricorre al parto cesareo, temendo di non portare a buon fine quello naturale. Se poi nel corso del travaglio si deve passare dal processo naturale a quello cesareo, spesso insorgono difficoltà. Ci fu un tempo in cui i medici – specie i più giovani, e la loro Associazione sindacale, quella degli Aiuti e Assistenti ospedalieri (Anaao) - si batté a furor di scioperi perché fosse introdotto il “tempo pieno” obbligatorio. Si istituì sì il tempo pieno, ma con correttivi. Si può esercitare la “libera professione” dentro le mura (“intramuraria”) o fuori (in cliniche e studi) e il relativo compenso viene suddiviso fra tutta l’équipe. E una percentuale resta alla struttura. Insomma i medici possono darsi da fare in diverse direzioni. Mettendo insieme tutti questi elementi – disponibilità di posti nei prossimi 5-10 anni e possibilità di buone remunerazioni – si spiega la corsa verso la laurea in medicina, anziché verso lauree più facili, più brevi, meno costose, ma che alla fine risultano meno utili, se non inutili. D’altra parte noi contemporanei diamo un’importanza fondamentale al potere della medicina, alle sue ininterrotte conquiste sul piano della ricerca e della terapia. In sostanza alla sua capacità di guarire e di prolungare la vita. E’ per questo che per affrontare la malattia non si bada a spese. Ma è stato così da sempre. Comunque, perché negare a un giovane una spinta vocazionale, umana ed etica, solidaristica per un’attività che ha componenti fondamentali nell’empatia e nella compassione? Non sarà così per tutti i 90 mila candidati che si sono presentati a sostenere i quiz per frequentare medicina nell ’anno accademico 2010-11. Ma i posti erano solo 8 mila. E’ una lotteria, come ogni concorso. L’eccezionale afflusso ha aperto un’ampia discussione sulla validità dei test e sulla loro attendibilità per indicare una vocazione ad esercitare la medicina. Per cui si sono fatte diverse proposte di modifica. Tipo: estromettere al secondo anno chi non dà sufficienti prove, valutare i risultati degli ultimi due anni di scuola media superiore. Proposte e ipotesi. Si vedrà. Ma sicuramente non se ne farà niente. La realtà è che la salute è diventato un tema prioritario nella nostra società, dove non si vuole invecchiare e dove – a maggior ragione – non si vuole vivere in stato di malattia, ma in benessere. Test difficili, candidati molti, posti pochi, perché non c’è capienza nelle facoltà, che mancano di attrezzature e tecnologie, a causa degli scarsi investimenti. In ogni caso non mancano organizzazioni che suggeriscono scappatoie per superare le prove. Candidati non ammessi ci riprovano negli anni successivi. Nel frattempo studiano alcune materie e si presentano per sostenere esami a gògò. E’ invalsa pure la moda di andare a iscriversi in Romania o in Spagna e poi rientrare in Italia. Tanto per fare un esempio, i candidati per la laurea in medicina a Bologna sono stati 2.271 per contendersi appena 330 posti. In odontoiatria 600 candidati per 30 posti. Non va meglio per le professioni sanitarie: 3300 candidati per 700 posti. L’organizzazione medica e sanitaria italiana - non risponde a questi obiettivi. La manovra di riduzione della spesa pubblica, il blocco delle assunzioni e degli aumenti retributivi colpisce in modo pesante, come sempre, la sanità. Il numero dei precari viene progressivamente dimezzato. Migliaia di giovani medici, in attesa di un a sistemazione definitiva, ossia di passare da precari a strutturati, rimarranno senza lavoro e dovranno arrangiarsi. Andranno a far prelievi, iniezioni, visite cardiologiche in palestre e centri sportivi o praticheranno piccoli interventi di bellezza (mastoplastica e addominoplastica, interventi al seno e nel corpo, - la cosiddetta liposcultura - punturine per gonfiare le labbra con l’acido iarulonico, riduzione delle rughe col botulino e blefaroplastica per eliminare o ridurre le borse sotto gli occhi) magari a casa propria, o nella casa del paziente, quando non in un sottoscala. Con rischi per chi ci capita. La riduzione dei medici crea scompensi ben più gravi nei reparti di pronto soccorso e deteriora la qualità, oltre che la quantità, delle terapie. Dei medici che vanno in pensione dai prossimi mesi e fino al 2014, solo uno su tre sarà sostituito. Ciò comporterà la chiusura dei reparti ambulatoriali per consentire prestazioni adeguate ai ricoverati. Le liste d’attesa si allungheranno. La mancanza, in particolare, di 1.500 anestesisti, compromette gli interventi di analgesia un po’ a tutti i livelli ma soprattutto nel parto indolore. Risparmi invece – suggeriscono gli esperti - si possono conseguire evitando gli abusi, i ricoveri impropri o troppo lunghi, gli interventi superflui e il superconsumo, specie per i farmaci, le analisi, gli esami. Bisognerebbe anche ammodernare gli ospedali, che in gran numero risalgono a 70, cento anni fa, rendendoli funzionali e dotati di moderne tecnologie. Per questo occorrono investimenti che non si ha il coraggio di fare o che non si fanno perché prevale l’esigenza del quotidiano e della spesa corrente.
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