Biciclette, motorini, sedie, fiori, cascate: questi alcuni
dei soggetti che Vignoli fotografa sin dagli anni ‘90 e che oggi
sono entrati in un libro di testi e immagini. Questa fase
del suo itinerario artistico è stata caratterizzata da una sorta
di doppia ispirazione. Le stesse cose che avevano richiamato
l’attenzione del suo occhio, bisbigliavano anche
nella sua mente. Continuavano a dirgli qualcosa che non poteva
essere solo per immagini. Così sono nati i suoi ‘fotoromanzi’...
La maggior parte di queste immagini sono di biciclette ad Amsterdam. Lì la gente ha un grande e radicato senso della democrazia. I cittadini di quella città scesero in piazza per dimostrare contro la deportazione degli ebrei durante l’occupazione nazista, e credo che ci volle un bel fegato. Mi pare che la società olandese, nella sua tolleranza e nella sua libertà, possa essere letta con efficacia attraverso la quiete della bicicletta... Questo racconto è del ‘96, ma quanto è cambiata la società olandese da allora. Non mi sembra sia migliorata, ma auguro alla sua gente che conservi sempre le prerogative di grande democrazia”. Il nuovo libro di Roberto Vignoli è stato presentato da Francesca Pietracci, storica dell’arte, e da Angiola Codacci Pisanelli dell’Espresso, a un ristretto gruppo di amici al Circolo Arci della Garbatella. Vignoli ci sembra che parli dei suoi ‘fotoromanzi’ (come li definisce lui stesso), con grande affetto, e anche con velati ammiccamenti alla passione che è dentro ciascuno di noi. Può essere corretta questa interpretazione? “Certo, è proprio così che nasce la tentazione. Si chiama panteismo, ed è quiescente, subdolamente colorata da riflessioni a sorpresa. Viaggiare significa farci i conti, anche quando l’anima addestrata di un laico non cede volentieri al misticismo, sempre in agguato. Non è solo vedere gente più o meno diversa, ma anche cose, e tutte: spontanee o artificiali. I segni che la vita lascia su di esse sono vicine al processo della fotografia. Passa per la testa di stringere a sé un sasso per farsi raccontare quel che ha visto o sentito durante la sua esistenza; e così di abbracciare un palo, ascoltarne il cuore. Pensarlo un po’ pellicola ma senza conoscerne il mezzo, chimico o fisico, per guardare le immagini latenti che possiede. Solo la poesia ci riesce, ma essa si concede senza preavviso”. Sembrerebbe che tu ti sia veramente innamorato di questa estensione dell’uomo sulla strada...? “Sì, avrei voluto abbracciarle queste biciclette, sane o malate, mutilate o integre, per sapere con chi sono andate a spasso, cosa hanno visto di bello e di brutto, e cosa ne pensano di questo pianeta, loro che silenziose si ritrovano a scivolarci sopra senza boria e senza pretese. Non di rado soffrono pure ma, stanno in silenzio, lasciano che qualcuno le privi di una ruota o del sellino, senza un lamento, senza chiamare il medico. E senza dire chi è stato”. Sei uno scrittore che si esprime per immagini, ma queste fantasie nascono solo dalla pellicola? “Dove e come nascano non so, ma io vedo le bici - e le fotografo - quasi come dei cuccioli che ci danno in mano la loro sorte, magari difesa solo da una catenella, un piccolo lucchetto; sono piccoli ed eroici quanto possono. Ma se restassimo noi abbandonati in strada malamente legati a un palo, potremmo sentirci tranquilli? Con tutto il genere umano attorno? Se ci pensassimo bene dovremmo munirci almeno di un piccolo cannone!”. Ma come le vedi le bici abbandonate nella strada? “Le biciclette più belle sono quelle che dormono. Io ho cercato di fotografare tutte le biciclette che dormivano profondamente, o anche che schiacciavano soltanto un pisolino nel loro innocente sonno. Ho fotografato anche qualche bicicletta morta. È triste vedere il loro corpo senza vita, ma non quanto per un essere umano: su una bicicletta morta si può sempre scherzare, perché non puzza e perché, a sorpresa, potrebbe sempre resuscitare. Le biciclette bianche e quelle nere, inoltre, stanno sempre bene insieme: nessuna discriminazione relativa al colore... Neanche verso quelle gialle o quelle rosse o quelle piccole o quelle grandi. Solo quelle a noleggio fanno una vita grama, si sentono utili e tristi come le puttane. E tui ne hai amata qualcuna? “Mah, forse potrebbe essermi anche capitato... le trovavo sperdute, senza famiglia, in quel perenne bordello che le spaccia per perfette, nascondendo gli innumerevoli acciacchi dovuti al cattivo uso o alla vecchiaia. Un giorno mi feci coraggio e mi presentai a una olandesina, esile e giovane, bellissima. Non ci capivamo, se non a gesti. Non sapevamo cosa fare e dove andare, stavamo lì a sorriderci come scemi. Mi sentivo molto impacciato. Poi le presi con timidezza il manubrio e lei non parve protestare; continuò a sorridermi. Allora ce ne andammo a spasso insieme. Mi fece vedere dov’era la sua casa, un barcone abbandonato. Non aveva più nessuno al mondo, restò un bel po’ lì davanti. Era triste, il suo fanale cercava forse un cenno dalla finestrella dove si intravedeva una vecchia tendina lacerata. Restammo fermi finché ne ebbe voglia. Le nuvole correvano leste nel cielo, in lontananza si udivano note dei Beatles. Intensa la contemplazione. Poi, a sera, mi accompagnò all’automobile. Era parcheggiata lontano. La mia compagna di strada sembrava triste... Dignitosa, mi salutò formalmente e tornò sulla sua strada... Avevo già pagato alla partenza. In cielo, gli aironi avevano spiccato il volo dal molo del traghetto
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