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Del seguente articolo:

Giugno - Luglio - Settembre/2012 -
Un delitto datato a oltre vent'anni fa
Delitto di via Poma: ventidue anni di indagini
Carlotta Rodorigo

La sentenza di condanna in primo grado per l’assassinio
di Simonetta Cesaroni, avvenuto nel 1990, è stata ribaltata
in appello e l’uomo condannato per il tragico delitto, è tornato
in libertà. La parte civile prevede l’ipotesi di ricorso in Cassazione

Lacrime di commozione dopo il verdetto di assoluzione
per l'ex fidanzato della giovane assassinata. Raniero Busco
era stato accusato per il delitto avvenuto 22 anni fa in un ufficio
del quartiere Prati a Roma. L’imputato, che si è sempre
dichiarato innocente, ha finalmente visto la fine della detenzione. Il verdetto
della Corte a suo favore è stato accolto dalle urla di gioia dei suoi amici
che erano in aula e dal pianto di gioia dei suoi familiari



A distanza di 22 anni, questo tragico mistero di via Poma, torna a essere senza colpevoli: Raniero Busco, con la formula “per non avere commesso il fatto”, è stato assolto dall'accusa dell'omicidio dell'ex fidanzata Simonetta Cesaroni, uccisa a coltellate ai primi di agosto del 1990. Il Collegio, presieduto da Renato D'Andria, nel riformare la sentenza di primo grado, ha comunicato che depositerà le motivazioni in 90 giorni. Con questa decisione è stata quindi praticamente ribaltata la sentenza di primo grado che aveva condannato Busco a 24 anni. L’imputato, che aveva voluto assistere personalmente al processo in quanto aveva chiesto che i giudici lo guardassero in faccia per rendersi conto di quale abbaglio fosse stato preso contro di lui, ha accolto l’assoluzione in lacrime. Ha poi ha abbracciato la moglie, il fratello e i suoi avvocati. Decisiva per la libertà, la perizia disposta dalla Corte d'Assise. Secondo le risultanze della perizia il segno su un seno della ragazza uccisa, una prova che era a carico dell’imputato, non sarebbe riconducibile a un morso e, sul reggiseno della ragazza, oltre al dna dell'ex fidanzato, comparirebbero altri due segni diversi. Si è quindi così dissolta la prova principale contro Raniero Busco che era stato condannato a 24 anni di carcere. Quel segno sul seno della ragazza, che lo aveva inchiodato e che i giudici avevano ritenuto compatibile con la sua arcata dentaria, a quanto pare potrebbe non essere stato l’esito di un morso. È stata questa una delle clamorose conclusioni a cui sono giunti gli esperti nominati dalla I Corte d’Assise d’Appello. Il segno di quel morso farebbe quindi parte di una ricostruzione non verosimile. Ma non è stata solo questa la novità che è emersa dalla perizia super partes chiesta dalla difesa e voluta dai giudici. I genetisti e il medico legale incaricati della perizia, hanno anche scoperto che alcune tracce biologiche individuate sul corpetto di Simonetta, avrebbero stabilito con certezza la presenza di almeno tre soggetti maschili. Due dei campioni individuati sul reggiseno sarebbero attribuibili a Busco. Nessun morso, ma due piccole lesioni che, secondo i periti, potrebbero essere anche riferite ad altro, magari a qualche episodio diverso avvenuto incidentalmente. Quella del morso è stata solo un’ipotesi che ha dato vita a consulenze tecniche odontoiatriche forensi indubbiamente affascinanti e suggestive per la sofisticazione delle ricostruzioni proposte e che, all’inizio, si sarebbero spinte ad indicare una compatibilità con la dentatura dell’imputato. Sono state poi smontate. Un altro punto a favore di Busco è stato quello che non sarebbero riconducibili a lui neppure le macchie di sangue che fu trovato sulla porta e sul telefono della stanza del delitto. Busco, che è stato colto da malore dopo la pronuncia di assoluzione, ha lasciato l’aula sorretto dal fratello e, attorniato da una gran ressa di telecamere e fotoreporter è stato poi accompagnato in una stanza dai carabinieri che svolgono l'ordine pubblico in Corte d'Appello. Il ‘giallo’ di questo antico delitto ha pesato sulla città, senza un colpevole consegnato alla giustizia. Venti anni di investigazioni, le più sofisticate tecniche messe in campo, decine di testi, hanno animato i mesi del dibattito contro Raniero Busco che comunque si era già si era già rifatto una vita tranquilla, moglie e due figli. In aula sono stati chiamati in questi mesi tutti i protagonisti di questa oscura vicenda, e si pensava che dalle loro parole la morte di Simonetta Cesaroni divenisse più chiara. O che le dinamiche dell’omicidio riuscissero finalmente a essere svelate. Secondo gli avvocati della famiglia di Simonetta, questo contro Busco sarebbe stato un processo basato su prove indiziarie e la prova concreta avrebbe dovuto venire alla luce nel corso delle udienze, attraverso gli accertamenti tecnici, o i racconti dei protagonisti. Nel corso del dibattimento in primo grado furono chiamati a deporre anche personaggi rimasti poco conosciuti. In aula avrebbe dovuto esserci anche colui che, ai tempi del delitto, fu il portiere dello stabile in via Poma ma che però ha perso la vita suicidandosi in un paesello della sua terra, in Puglia, pochi giorni prima del processo.  Testimoni al processo anche amici di Simonetta, i suoi datori di lavoro, tutte le persone che la conoscevano e anche quelle che conoscono l’imputato. Busco ha sempre negato le sue responsabilità. In primo grado, però, non era stato creduto e due perizie fatte eseguire nel passato avevano sempre ricondotto a lui come indiziato anche perché tra i tanti dna analizzati uno, infatti, era stato proprio il suo. Ma, come si è poi visto, non è stato l’unico. Busco sarebbe stato incastrato - ha sempre sostenuto la sua difesa, che lo ha assistito nel processo - che contro di lui non c’era nulla di vero su quanto veniva contestato e una chiara risposta sarebbe venuta dall’aula. Dopo questa sentenza di assoluzione, ancora una volta la morte della bella ragazza bruna uccisa in uno dei più prestigiosi quartieri romani, continuerà a dividere l’opinione pubblica tra innocentisti e colpevolisti.


FOTO: il palazzo di via Poma nel quartiere Prati a Roma


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