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Del seguente articolo:

Marzo-Aprile/2013 -
La situazione carceraria a Roma
Filippo Pegorari “Garante dei diritti delle persone private della libertà personale” e le iniziative di Roma Capitale nella sezione femminile di Rebibbia
Andrea Nemiz

Una risposta positiva su quanto la Corte Europea si era espressa in difesa dei diritti umani dei detenuti: oggi nel carcere romano si va anche a scuola di Alta Moda
‘Ricuciamo’, un progetto rivolto alle detenute del carcere femminile di Rebibbia che ha come scopo quello di attrezzare un laboratorio di sartoria stabile all’interno della casa circondariale femminile. Obiettivo: insegnare loro una nuova professione con il fine della riabilitazione nella società civile e per una futura emancipazione economica.
L’iniziativa, promossa dal Dipartimento Promozione delle Politiche Sociali e della Salute, prevede la formazione di trenta detenute attraverso un corso professionale tenuto da docenti di una nota Accademia di moda che, da anni, è punto di riferimento per chi ha deciso di specializzarsi nei vari settori dell’artigianato creativo.
Il progetto è stato presentato da Sveva Belviso, vice Sindaco di Roma Capitale, assieme all’avvocato Filippo Pegorari, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale negli istituti di Roma Capitale. Con loro, l’assessore al Patrimonio di Roma Capitale, Lucia Funari, il Provveditore dell’Amministrazione penitenziaria del Lazio, Maria Claudia Di Paolo, il direttore dell’Ufficio di esecuzione penale esterna di Roma e Latina, Antonella Di Spena.
“Il lavoro, per chi sta scontando una pena, rappresenta da un lato un percorso di riabilitazione sociale e dall’altro l’unica forma di prevenzione efficace per evitare di ritornare a sbagliare”, ha dichiarato il vice sindaco Sveva Belviso. Il laboratorio sartoriale, che sarà attrezzato di macchine da cucire e ricamatrici, prevede due incontri settimanali di tre ore ciascuno, su un percorso di nove mesi con due incontri a settimana, per un totale complessivo di 228 ore di formazione.
Il tirocinio sarà suddiviso in sei moduli, e le apprendiste acquisiranno competenza e professionalità in diversi settori della moda femminile: a partire dal rilievo delle misure sino alla creazione del cartamodello, il taglio del tessuto, la conoscenza delle attrezzature per la confezione di abiti su misura, la merceologia tessile, il ricamo a mano, la pittura su stoffa e tessuti, fino alla creazione di modelli nelle diverse tipologie di abiti e alloro confezionamento.
Il fine principale dei corsi è quello di dare la possibilità alle donne, che hanno commesso un reato, di riscattarsi imparando un mestiere che consenta loro, una volta espiata la pena, di poter essere nuovamente inserite nel tessuto economico cittadino. Il lavoro di sartoria è per eccellenza l’attività artigianale che maggiormente crea entusiasmo, le attività manuali, infatti, rappresentano nella nostra cultura, un passaggio di tradizioni intergenerazionali importanti in cui le donne sono state sempre le protagoniste.
Le candidate al Corso, che saranno seguite dagli insegnanti dell’Accademia Altieri, sarà affiancato da operatori della socializzazione, competenze socio-psico-educative sia a sostegno delle dinamiche di gruppo che per interagire con le capacità e le necessità delle partecipanti.
Al termine del percorso verrà realizzata una linea di abiti e accessori prêt-à-porter. I capi di abbigliamento saranno venduti attraverso esposizioni in mostre-mercato, con il coinvolgimento diretto delle partecipanti al laboratorio e attraverso la creazione di un sito internet dedicato, e tramite la formula del conto vendita. Gli introiti derivanti dalla vendita verranno, in parte utilizzati per la retribuzione delle detenute, in parte investiti nuovamente nel progetto.
Inoltre, la collezione di abiti e accessori verrà presentata all’interno di un evento-sfilata, costruito per l’occasione dalle associazioni che presentano il progetto e dall’accademia Altieri, e sarà inserita all’interno della manifestazione “AltaRomaAltaModa”, la fashion week capitolina che, con due appuntamenti annuali, crea molteplici occasioni di incontro tra qualificate “maison” italiane e nuove realtà produttive e creative internazionali.
«Questa esperienza vuole essere un modo per reinserire gradualmente le donne nella vita di tutti i giorni dando loro gli strumenti di sostegno per affrontare le paure e le insicurezze di questa fase. Confidiamo – conclude Belviso – che questo percorso fornirà loro i mezzi necessari così da ricostruire la propria normalità nel tessuto sociale ed economico del Paese».
“Il corso professionale, che inizia oggi, assume grande importanza sotto diversi profili perché non soltanto conferisce alle detenute una professionalità facilmente spendibile anche in epoca successiva alla detenzione ma anche perché trasformandosi da subito in laboratorio permanente offre l’opportunità di ricavare un reddito dal lavoro svolto». Lo ha dichiarato Filippo Pegorari, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Roma Capitale. “E soprattutto importante che una parte dei ricavi della vendita servirà e rifinanziare l’iniziativa così da offrire anche un ricambio costante alla forza lavoro - ha aggiunto - e il nostro ringraziamento va sia all’on.le Belviso che ha condiviso sin dall’inizio questo progetto che all’ assessore al Patrimonio, Lucia Funari che ha messo a disposizione un negozio per la vendita delle confezioni”.
L’Italia era stata condannata nei mesi scorsi dalla Corte Europea dei diritti umani per lo stato di degrado delle proprie strutture carcerarie. I giudici di Strasburgo hanno anche stabilito che, per alcuni che avevano fatto ricorso a causa della loro detenzione in celle troppo anguste (tre metri quadri) e in una generale situazione di sovraffollamento, dovranno essere risarciti per danni morali perché vittime di trattamento inumano e degradante.
Sulla situazione degli istituti di detenzione romani, ne avevamo parlato tempo fa con l’avvocato Filippo Pegorari, il “Garante dei diritti delle persone private della libertà personale” riguardo agli istituti di pena di Roma Capitale a proposito del decreto “salva carceri” e di quali innovazioni ha portato nella situazione carceraria romana: “assolutamente nessuna novità - ci ha detto - e questo Decreto, certamente positivo, non è davvero tutto ciò che serve e la norma già esisteva nel nostro ordinamento giuridico; lato positivo è che con quel Decreto si sono allungati gli ultimi mesi di detenzione domiciliare, portandoli da nove a diciotto, e pertanto risulta accorciata la pena detentiva in carcere.”
Rispondendo poi a una domanda a proposito del cosiddetto sistema delle ‘porte girevoli’ del Decreto, il Garante ha detto che questo termine “identifica quello stretto periodo che intercorre tra il fermo di una persona e la sua collocazione in carcere: ossia, il fermato, dopo la sua identificazione in un ufficio delle forze dell'ordine (carabinieri, corpi di polizia e guardia di Finanza), se il fermo è confermato, deve essere immediatamente tradotto nel carcere di Regina Coeli e vi può rimanere per un massimo di due o tre giorni a disposizione del magistrato che lo dovrà interrogare. Le camere di sicurezza dei tre corpi delle forze dell’ordine - ha aggiunto Pegorari - non sono però idonee a ospitare una persona fermata. Dove e quando il fermato lascia la camere di sicurezza è però una decisione che deve sempre prendere il magistrato; la situazione delle carceri romane i infatti molto complessa e appare anche cronicizzata. Il Decreto Salva Carceri non svuota quindi nulla, il sistema carcerario è obsoleto e il carcere romano do Regina Coeli (che è nato nel 1600 come convento per le suore (le antiche Mantellate), un paio di secoli più tardi, nel 1800, venne adibito a casa di reclusione, ossia carcere. L'uso di Regina Coeli come ambiente di reclusione oggi si è trasformato in una utilizzazione abnorme della custodia preventiva è quando un cittadino sospettato vi viene recluso, perde ogni reticenza e la paura di oppressioni interne, che non sono rare prima ne rimane atterrito e poi si induce a confessare tutto per uscire da quella situazione”.
Nel quadro delle iniziative intraprese dal Garante a sostegno delle persone in carcere, lo scorso anno Pegorari aveva già avviato un’iniziativa nella sezione femminile della casa di reclusione di Rebibbia. Essa fu definita come una sorta di ‘fai da te per la pulitura delle celle’. Vennero infatti consegnati una quarantina di contenitori di vernice e affidati alle detenute per il tinteggio delle celle. L’iniziativa era stata promossa dall’assessore capitolino all’Ambiente, Marco Visconti, e dal Garante stesso. Nel suo commento l’avvocato Pegorari disse che con quella iniziativa si era contribuito in modo concreto alla pulitura delle celle, considerando che l’amministrazione penitenziaria si era vista costretta a tagliare i fondi destinati proprio a tale voce.
Anche l’anno precedente l’assessore Visconti, in una precedente iniziativa, aveva consegnato alla stessa casa di reclusione femminile una decina di pecore da latte di razza sarda per la promozione del lavoro nell’istituto penitenziario.
Nel corso del suo impegno in favore della qualità della vita delle persone recluse, il Garante ha spesso toccato il tema della cultura: nel corso di un recente convegno sull’editoria si espresse a favore della lettura: “i libri possono rappresentare un’ottima opportunità d’inserimento lavorativo per le persone recluse e un mezzo per difendere la cultura penitenziaria in modo da eliminare le barriere oggi esistenti tra quella città considerata scomoda e l’altra considerata normale”.


FOTO: L'avvocato Filippo Pegorari, il Garante dei Diritti delle persone private della libertà personale negli istituti di Roma Capitale - foto di Davide Bartoli


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